Adel Misk, il "vuoto momentaneo" del dopo-Sinwar non fermerà la lotta contro Israele

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Per l’attivista palestinese lo scontro è destinato a continuare, perché “ha radici ben più profonde” dei leader che combattono. Netanyahu rivendica una vittoria da offrire al popolo israeliano, ma “uccidendo un uomo non si elimina un’idea”. Le possibili ripercussioni sui colloqui per la tregua e per la sorte degli ostaggi ancora in mano ad Hamas. Ne riferisce AsiaNews.

L’uccisione di Yahya Sinwar causa un “vuoto momentaneo” all’interno “di un partito che ha comandato per anni” a Gaza e che si trova di fronte a un futuro immediato “non semplice”. Tuttavia, pur dovendo scontare “l’eliminazione di alti dirigenti, il partito non è morto, così come non lo era quando è stato fatto fuori Ismail Haniyeh a Teheran” o quando è stato colpito Hassan Nasrallah per gli Hezbollah libanesi. È quanto afferma ad AsiaNews Adel Misk, medico neurologo, esponente della società civile palestinese, commentando l’annuncio di ieri dei vertici israeliani sull’operazione, peraltro casuale, che ha portato alla morte del leader militare di Hamas. Egli era la mente dietro l’attacco del 7 ottobre 2023 al cuore di Israele che ha provocato circa 1200 vittime e il sequestro di oltre 200 persone, alcune tuttora nelle mani del movimento radicale islamico, scatenando la guerra nella Striscia. Un conflitto che ha causato oltre 43mila morti e si è allargato al “fronte nord” contro il Partito di Dio e che rischia di incendiare l’intera regione, con un confronto aperto fra lo Stato ebraico e l’Iran.

“Uccidendo una persona, anche un capo - prosegue Adel Misk - non si elimina un’idea. Certo si crea un vuoto, ma il conflitto non finisce e una delle mille domande adesso è chi potrà essere il successore e raccoglierne l’eredità”. Un elemento non secondario, spiega l’attivista, perché “ora il punto è chi sarà a trattare per fermare la guerra o discutere un accordo sugli ostaggi. Questo è un grande interrogativo. Stanno celebrando quella che definiscono una ‘grande vittoria’, ma io non sono così sicuro che tale si possa considerare”. Questa operazione è stata voluta dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu “per accontentare l’opinione pubblica” del suo Paese, ma se prima “vi era un interlocutore per le trattative, in cui rientrano anche gli oltre 10mila palestinesi nelle carceri” dello Stato ebraico, ora “resta il vuoto. Da israeliano, io sarei molto preoccupato”.

La morte del leader di Hamas Yahya Sinwar - quello che a tutti gli effetti era il ricercato numero uno di Israele - rappresenta uno dei momenti chiave della guerra a Gaza, sebbene resti ancora difficile capirne gli sviluppi. Nato nel campo profughi di Khan Younis, nel sud della Striscia, da genitori originari di Ashkelon, nel sud di Israele, rifugiati dopo lo spostamento di massa dei palestinesi nella guerra che seguì la fondazione di Israele nel 1948. Sinwar è stato arrestato per la prima volta nel 1982, all’età di 19 anni, per “attività islamiche” e incarcerato una seconda volta nel 1985 ed è proprio in questo periodo che conquista la fiducia dello storico fondatore di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin. Egli ha trascorso gran parte della vita adulta nelle prigioni israeliane (dal 1988 al 2011), al cui interno si è affermato come leader carismatico imparando l’ebraico e “studiando” da vicino il “nemico israeliano”, prima del suo rilascio come parte di uno scambio di prigionieri: la liberazione di circa un migliaio di palestinesi per il soldato israeliano Gilad Shalit.

Immediate le reazioni alla notizia dell’uccisione del leader di Hamas, partendo da Netanyahu che plaude ai “coraggiosi soldati” delle Forze di difesa israeliane che hanno portato a termine la missione. Il capo del governo ha esaltato il ruolo dei militari, sebbene l’uccisione - come è emerso nelle ore successive all’annuncio - sia stata frutto del caso e non di una operazione programmata dell’intelligence. I libanesi di Hezbollah annunciano una “nuova fase” del conflitto con Israele caratterizzata dalla “escalation nel confronto con il nemico” che si “rifletterà negli sviluppi e negli eventi dei prossimi giorni” partendo dall’utilizzo di missili a guida di precisione. Infine l’Iran, secondo cui la morte di Yahya Sinwar rafforzerà “lo spirito di resistenza” mentre il capo del movimento palestinese “diventerà un modello per i giovani e i bambini che porteranno avanti il suo cammino verso la liberazione” dalla “occupazione e aggressione” dello Stato ebraico.

Adel Misk, già volto di The Parents Circle, associazione che riunisce circa 250 israeliani e 250 palestinesi, tutti familiari di vittime del conflitto, sottolinea come “la situazione, giorno dopo giorno, sta precipitando non solo a Gaza, ma nella stessa Cisgiordania. Stiamo assistendo alla distruzione di un territorio e allo sterminio di una comunità” accusa, nel “colpevole silenzio” della gran parte dei governi e della comunità internazionale. “Non dei popoli - precisa - anche in Europa, dove vediamo la solidarietà verso i libanesi e i palestinesi, ma dei decisori politici e dei responsabili al potere. A distanza di 70 anni [dalla Seconda guerra mondiale e dall’olocausto degli ebrei per mano della Germania nazista], le vittime di allora si sono trasformate in carnefici”.

Per l’attivista palestinese la morte di Sinwar non segna la fine della “lotta contro l’occupante” che ha radici più profonde, e che sono “alla base di quanto avvenuto il 7 ottobre. Si parla di attacco terroristico palestinese” ma pochi approfondiscono o ricordano “le cause che l’hanno generato”. “Una occupazione militare a Gaza - prosegue - che da 18 anni ha trasformato l’area in una prigione, in cui i suoi abitanti sono sotto stretto controllo e non possono muoversi liberamente”. E la guerra ha causato devastazioni ancor più profonde “con i suoi 43mila morti, i 100mila feriti, due milioni di persone costrette a lasciare le proprie case che, oggi, all’80% sono state demolite”.

Criticità che non riguardano solo la Striscia, ma comprendono anche l’intera Cisgiordania dove Israele sta combattendo una guerra parallela e silenziosa che si somma a Gaza. “[I leader israeliani] vogliono ridisegnare i confini, tracciare una nuova mappa - sottolinea - come quella presentata da Netanyahu all’ultima assemblea generale Onu: non esiste Gaza, non esiste la Cisgiordania, tutto viene cancellato davanti al mondo in maniera spudorata. Assistiamo ogni giorno a queste violenze, da Jenin a Nablus fino a Betlemme”. Per il futuro prossimo, conclude Misk, resta da vedere i passi che intraprenderà Hamas e se “saprà diventare a tutti gli effetti un movimento politico sotto l’ombrello dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina), con un riavvicinamento a Fatah grazie anche ai colloqui in corso”.

[Fonte: AsiaNews; Foto: Free Malaysia Today - CC BY 4.0 Deed]