Card.Pizzaballa: "dolore e sconcerto" per le vittime. Una "nuova leadership" per la pace

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Ad AsiaNews il patriarca latino ripercorre i drammatici eventi dell’ultimo periodo, la guerra, l’uccisione delle due donne cristiane. Una morte “evitabile”, impossibile scambiarle per miliziani di Hamas. Il conflitto causa dolore che divide, ognuno “chiuso nel proprio”. Il silenzio di Gerusalemme e Betlemme, la mancata visita a Gaza. Ricominciare dalle persone, “per ricostruire”.

“Dolore e sconcerto” per le due vittime cristiane, madre e figlia, uccise da un cecchino all’interno del compound della parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza. E la consapevolezza che è necessaria “una nuova leadership” per tornare a parlare di pace, dialogo, convivenza fra le parti perché con quella attuale non sembra possibile “costruire con chiare prospettive”. È quanto racconta ad AsiaNews il patriarca di Gerusalemme dei latini card. Pierbattista Pizzaballa, che il 30 settembre scorso ha ricevuto la berretta cardinalizia da papa Francesco, sette giorni prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre che ha stravolto la regione. Tornando a insanguinare una Terra Santa per troppo tempo relegata ai margini e dimenticata dalla comunità internazionale, ma sotto la cenere dell’oblio e dell’indifferenza ha continuato ad ardere la fiamma degli opposti estremismi, della violenza e della negazione dell’altro. Un clima di odio e di sopraffazione che ha alimentato un nuovo, e ancor più cruento conflitto a Gaza.

L’attacco ai cristiani

A tre giorni dall’uccisione di Nahida Khalil Pauls Anton “Umm Emad” e di sua figlia Samar Kamal Anton, colpite dai proiettili dei cecchini israeliani mentre stavano attraversando una strada nell’area antistante la chiesa parrocchiale, la comunità cristiana è ancora scossa. Prevale una “sensazione di dolore e di sconcerto per quanto accaduto” racconta il porporato, anche perché il militare ha aperto il fuoco “nonostante tutti i coordinamenti” e a dispetto “di tutte le informazioni che già c’erano” sulle persone accolte in parrocchia. Sul fatto che la chiesa, la casa delle suore di Madre Teresa e gli altri edifici dell’area non fossero certo un obiettivo militare e che, all’interno, non vi erano armi, combattenti o altro materiale che potesse giustificare un attacco. E che ha colpito civili inermi, e innocenti. “Non esistono guerre ragionevoli - prosegue il porporato - ma quanto successo era evitabile dal mio punto di vista, perché il luogo era conosciuto e si sapeva chi ci fosse all’interno”. Le due donne che sono state ammazzate a sangue freddo, aggiunge, erano “molto visibili, si percepiva che fossero due anziane” e di certo non avevano nulla che le potesse far scambiare “con un giovane combattente di Hamas”. Era necessario, afferma, “essere più attenti” se si può parlare di errore o di tragica fatalità. 

Tuttavia, le due vittime si inseriscono in un quadro più ampio di dolore, violenze e vittime innocenti che colpisce tutta la popolazione della Striscia, cristiani e musulmani, in particolare i civili con migliaia di decessi fra donne e bambini. “Non voglio fare una tragedia solo per le vittime cristiane” sottolinea, ma va allargato lo sguardo “su due milioni di persone chiuse dentro” Gaza, da tempo prigione a cielo aperto, e che dalla guerra lanciata da Israele in risposta all’attacco terrorista di Hamas “conta già oltre 20mila morti”. “Ecco - afferma - i nostri morti fanno parte di quelle 20mila e più vittime” che hanno insanguinato la Striscia in poco più di due mesi, con la questione aperta degli ostaggi ancora nelle mani dei miliziani e di una fragile diplomazia internazionale che lavora a una nuova tregua. Al riguardo, lo stesso patriarca in risposta a una domanda di una giornalista si era offerto per uno scambio con i prigionieri. “Ci sono stati dei contatti [per intavolare uno scambio con prigionieri], ma si sapeva molto bene” che non avrebbero avuto seguito. “Avevo parlato nel metodo - aggiunge - e non era una frase fatta”. Nelle scorse settimane il primate latino ha incontrato “i parenti delle vittime e degli ostaggi”, ma non solo loro perché “è necessario incontrare tutte le realtà che sono fra noi. In questo momento - osserva - sembra che delle due parti [israeliana e palestinese], ciascuna voglia avere il monopolio del dolore, ma non è così” perché questa tragedia riguarda tutti. 

Isolati e divisi nel dolore

Dal 2020 decimo patriarca latino di Gerusalemme, il porporato francescano è nato in provincia di Bergamo nel 1965 e opera in Terra Santa dal 1999, una realtà che conosce a fondo. Nel maggio 2004 l’elezione a Custode, confermata in altre due occasioni. Il 24 giugno 2016 è nominato amministratore apostolico per raggiunti limiti di età del patriarca Twal, alla guida di una giurisdizione che abbraccia i cattolici di rito latino in Israele, Palestina, Giordania e Cipro e un territorio suddiviso in 71 parrocchie e sei vicariati. “Purtroppo, quello che si prova oggi - sottolinea - non è un dolore che accomuna, che rende solidali ma ciascuno resta chiuso nel proprio. Non è aperto all’altro”. “Parlare di dialogo - riprende il porporato - ora non ha senso, perché non c’è. L’unico terreno di dialogo diretto, di discussione, oggi è sulla liberazione degli ostaggi, ma non vi è altro. Sono a conoscenza di altri contatti in corso, per capire cosa fare” in una fase successiva, ma anche in questo caso “mi sembra che non abbiano le idee molto chiare”. “Invece - avverte - quello che serve è proprio questo: una strategia, una prospettiva, visioni per il futuro” anche se al momento “il dialogo fra le due parti non ha molto senso”. Qui entra in gioco il ruolo di una comunità internazionale a lungo assente che, secondo il card. Pizzaballa, “deve aiutare a dare gli orientamenti” coinvolgendo la parte finora esclusa dal tavolo. “Quello che vedo - spiega - è che tutti parlano del futuro dei palestinesi, però nessuno parla con i palestinesi. Per parlare di futuro bisogna parlare anche con loro, non solo su di loro. Invece, in questo momento non viene data loro voce”. 

Nuovi leader per la pace

Palestinesi senza voce, vertici israeliani che oggi conoscono solo il linguaggio della guerra a tutto campo, per sradicare la minaccia di Hamas. Ma non vi è traccia di umanità, le vittime civili e le sofferenze di milioni di persone sembrano essere relegate ai margini della storia che si sta scrivendo in queste settimane di conflitto “folle” come lo ha definito p. Ibrahim Faltas. Ecco perché sembra necessario, per quanto improbabile, un ricambio a livello di guida per poter tornare a dialogare, a costruire invece di abbattere e uccidere. “Adesso - afferma il patriarca latino - servirebbe una nuova leadership” perché con quella attuale “non credo sia possibile costruire chiare prospettive” di dialogo, confronto, di trattative tanto dure e dolorose quanto necessarie, per allentare la tensione e ripristinare una prospettiva di convivenza. 

In passato questo era il periodo in cui il patriarca visitava la comunità cattolica di Gaza, celebrando prime comunioni e cresime, visitando i malati e la messa nella terza domenica di Avvento. “Non esserci quest’anno - sottolinea - è un grande dolore. Oltretutto il periodo è coinciso proprio con l’uccisione delle due donne. Queste persone che hanno dato la loro vita, ci ricordano il dolore della comunità e il bisogno di solidarietà” a fronte di una situazione “tragica”. Alla mancata tappa nella Striscia si lega anche il silenzio a Gerusalemme, a Betlemme, nella chiesa del Santo Sepolcro o alla Natività che, di questi tempi, erano gremite di pellegrini e luogo di preghiera, di pace. “Il silenzio e Gerusalemme deserta in un tempo di solito fecondo per i pellegrinaggi - afferma il cardinale - è un peso spirituale, umano, perché una città vuota è una città morta. Tuttavia, vi è anche un elemento economico, per tutti coloro i quali lavorano soprattutto in questo settore del turismo religoso”.

“La speranza, che non è ottimismo, è figlia della fede e sorella della carità, quindi - prosegue - dobbiamo vedere le tante persone che ancora oggi sono capaci di carità, di tenerezza. E con fede essere capaci di andare oltre, avere uno sguardo capace di superare il dolore del presente e che sappia vedere anche la fine di questa notte perché anche questa, come tutte le notti, finirà”. Il patriarca termina la sua riflessione riprendendo la metafora del “condominio” a lui cara, per descrivere la Terra Santa: “In questo tempo è stato distrutto, ma i condomini [cristiani, ebrei e musulmani] ci sono ancora tutti. Bisogna ricominciare dalle persone, poco alla volta, con pazienza e con determinazione ricostruire quello che è stato distrutto. E anche nel dialogo ebraico e cristiano bisogna andare avanti, si deve andare avanti - conclude - nonostante tutto ciò che sta succedendo”.

(Fonte: AsiaNews - Dario Salvi)