Card. Raï, "l'assassinio di Nasrallah è una ferita nel cuore dei libanesi"
La morte del leader Hezbollah, Hassan Nasrallah, commentata dal patriarca maronita, card. Boutros Raï, ieri durante la messa a Dimane: “Una ferita nel cuore dei libanesi”. Nel Libano sotto le bombe israeliane i conventi aprono le porte agli sfollati. La testimonianza di padre Toufic, a Tiro, che ospita nel suo convento 160 sfollati. Le storie drammatiche della piccola Sila, rimasta orfana, e del generoso Abbas. Ne riferisce Daniele Rocchi sul Sir.
“L’assassinio di Hassan Nasrallah ha aperto una ferita nel cuore dei libanesi”. Con queste parole il patriarca maronita, card. Béchara Boutros Raï, ha commentato l’uccisione del leader di Hezbollah avvenuta nella notte di venerdì 27 settembre durante un raid dell’aviazione israeliana su Beirut.
Durante la messa, celebrata ieri a Dimane, la sua residenza estiva, situata a 100 chilometri dalla capitale libanese e a 30 dalla città costiera di Tripoli, il patriarca maronita ha ricordato le vittime di questi giorni, pregato per la guarigione dei feriti e invocato la pace da raggiungere “attraverso negoziati e mezzi diplomatici, poiché con la guerra tutte le parti escono sconfitte”. Nell’omelia, rilanciata dal sito abouna.org, il patriarca maronita ha fatto appello “all’unità tra i libanesi il cui baluardo è la testimonianza di tanti leader cristiani e musulmani che hanno creduto nelle cause della verità, della giustizia, del sostegno ai più deboli, richiamandoci all’onestà e alla lealtà per il bene della patria”. Un’eredità da raccogliere, per il cardinale, che deve “spingerci a difendere il Libano da ogni aggressione” e “a eleggere un Presidente della Repubblica che restituisca al Libano il suo posto tra le nazioni”. Come è noto, il Paese dei Cedri da due anni non riesce a nominare il suo Presidente (per statuto deve essere cattolico maronita, ndr.) a causa dei veti incrociati dei partiti in Parlamento, dove Hezbollah ha 13 seggi, ma il blocco politico che lo sostiene ne conta ben 62 su 128.
Il card. Bechara Raï ha fatto appello alla comunità internazionale “chiamata ad agire seriamente per fermare il ciclo di guerra, uccisioni e distruzioni nel Paese, e preparare il terreno per una pace giusta che garantisca i diritti di tutti i popoli e di tutte le componenti della regione”.
“È tempo – ha concluso – che tutti i libanesi capiscano che non hanno nessuno che li aiuti se non loro stessi, uniti e solidali tra di loro, impegnati a gestire gli affari della casa libanese nello spirito del Patto nazionale” siglato nel 1943 e che divide i poteri dello Stato in base alle diverse confessioni. Non più tardi di due settimane fa, secondo quanto riportato dall’agenzia libanese National News Agency (Nna), il patriarca, celebrando a Mayfouk, ha puntato l’indice contro coloro che cercano di destabilizzare il paese dall’interno. “Ci sono fazioni nella nostra società – le parole del cardinale – che desiderano che il Libano sia una terra vuota, dove possono attuare i loro piani senza l’interferenza di uno Stato, delle leggi o di una Costituzione. Costoro preferiscono che sia una proprietà immobiliare e non una patria”. Più volte il patriarca maronita aveva espresso il suo malcontento verso Hezbollah reo, a suo dire, di trascinare il Libano in conflitti regionali.
Le storie di Sila e di Abbas. Dal convento francescano della Custodia di Terra Santa di Tiro arriva la testimonianza del parroco, padre Toufic Bou Merhi. “Ci troviamo in una zona presa di mira dai bombardamenti. Fino all’alba di sabato siamo stati sotto le bombe – racconta al Sir -. Lunedì scorso abbiamo aperto le porte del convento agli sfollati, tra di loro ci sono tanti bambini terrorizzati. Intere famiglie hanno perso tutto. Un razzo ha distrutto nove case in un quartiere povero della città, a 50 metri dal convento. Le pietre sono cadute nel nostro cortile provocando paura, grida, pianti. Le lacrime della gente si sono mescolate con il sangue dei feriti. Nuclei familiari sterminati. Con noi c’è Sila, una bambina di sei anni, non le è rimasto nessuno: papà, mamma, la sorellina di un anno e mezzo, nonni, zii. Tutti morti” spiega affranto il francescano. Storie di disperazione che si intrecciano: “Un padre di famiglia, Abbas, è venuto qui al convento offrendosi di cucinare in casa della pita, il pane tipico libanese, per tutti gli sfollati. Mentre cucinava un razzo ha colpito la sua casa, uccidendolo. Si è salvato solo il figlio piccolo che non era con lui in quel momento. Ieri, infine, hanno tirato fuori dalle macerie l’ultimo cadavere di una famiglia di 12 persone. Uno sterminio”.
“Carissima bomba”. Basta, basta. Non ce la facciamo più!” è stato il grido di padre Toufic che si è levato durante la messa celebrata ieri, domenica. Uno sfogo che il francescano ha affidato ad una lettera letta durante la celebrazione e indirizzata alle bombe e sui razzi lanciati sul Libano. Lui, libanese, che già all’età di 5 anni, ha conosciuto la guerra e continua a viverla: “Carissima bomba, ti prego, lasciaci in pace. Carissimo razzo, non esplodere. Non obbedite alla mano dell’odio. Mi rivolgo a voi perché i cuori dei responsabili si sono induriti. Vi chiamano bombe intelligenti, siate più intelligenti di quelli che vi stanno usando. Non c’è rimasto nessuno da ammazzare. Il Signore – si legge nel testo – non c’entra con l’odio. Egli ha creato l’amore, ma l’uomo l’ha rifiutato. Quale peccato abbiamo commesso per meritare una punizione così grave? Forse l’unico nostro peccato è questa terra benedetta dal Signore e profanata dall’uomo”.
“La nostra colpa è essere nati in questo Paese che soffre la guerra da oltre 50 anni, pagandone il prezzo al posto di altri”.
Nel convento oggi sono accolte 160 persone, oltre a una decina con bisogni speciali. Gestire l’accoglienza non è facile perché manca l’elettricità, l’acqua, “per ora usiamo le cisterne”, “ma fino ad ora la Provvidenza non ci ha fatto mancare niente”. Certamente, aggiunge padre Toufic, “non sappiamo per quanto tempo ancora potremo andare avanti. La tensione è altissima, ci hanno consigliato di andare via per motivi di sicurezza ma non lasceremo sole queste persone”.
“Sono terrorizzate. Stare con loro, accoglierli, amarli è tutto quello che possiamo fare in questo momento. Sono tutti musulmani. Noi sappiamo che la fame, la sete, il freddo, la paura, il dolore non hanno né fede, né colore”.
Olio al fosforo. Il pensiero del francescano e del suo confratello, padre Pietro, corre al vicino villaggio cristiano di Deir Mimas, a due chilometri dalla città israeliana di Metula e della vicina Kyriat Shmona, proprio sul confine tra Israele e Libano. Ogni domenica padre Toufic carica la sua automobile di aiuti alimentari e, a dispetto di razzi e bombe, guida per 30 chilometri per consegnarli ai pochi fedeli rimasti e per celebrare per loro la messa. “Purtroppo – dice – in questi giorni le strade sono chiuse ed è impossibile arrivarci. Ci sentiamo al telefono, quando possibile. Per ora stanno tutti bene”. Il villaggio vive grazie alla coltivazione degli ulivi. I prodotti oleari di Deir Mimas sono un’eccellenza in tutto il Libano. “L’olio che vi si produce – ricorda il frate – nel 2023 ha ricevuto premi a livello internazionale. Purtroppo, quest’anno, l’olio prodotto viene esaminato nei laboratori per verificare se contiene fosforo. Lo stesso contenuto nelle bombe sganciate dagli aerei. È una miseria davanti alla quale non possiamo fare altro che gridare: basta!”.
[Fonte: Sir; Foto: Ici Beyrouth]