Crisi in Medio Oriente: da Gaza a Chicago?
La possibilità di un cessate il fuoco a Gaza sembra sfumare definitivamente, mentre la crisi Israele-Hamas irrompe alla Convention democratica decisiva per Kamala Harris. Leggiamo il punto di Francesco Petronella per l'ISPI.
A Gaza si continua a morire, mentre l’ipotesi di un cessate il fuoco si fa sempre più remota. Hamas ha respinto i termini dell'accordo, riguardante anche il rilascio degli ostaggi israeliani, discusso a Doha la scorsa settimana, accusando il premier israeliano Benjamin Netanyahu di aver frapposto nuovi ostacoli ai colloqui. Le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno intanto intensificato le operazioni nel sud della Striscia di Gaza, dove la scorsa settimana è stato registrato il primo caso di poliomielite. La situazione sul campo e lo stallo nelle trattative sono oggetto di grande attenzione da parte dell’amministrazione americana, con il segretario di Stato Antony Blinken impegnato nell’ennesimo tour diplomatico nella regione per cercare una soluzione diplomatica dopo dieci mesi di guerra. Un esito simile, alquanto improbabile, permetterebbe al presidente Joe Biden di scrivere una pagina positiva al termine del suo quadriennio alla Casa Bianca, ma anche alla vicepresidente Kamala Harris di placare i malumori interni al Partito democratico a ridosso di una Convention Nazionale Democratica a Chicago, al via oggi e in programma fino a giovedì prossimo, in cui il tema Gaza rappresenta un elemento di grande divisione e dibattito.
Ultima possibilità?
Questa è "probabilmente la migliore opportunità, forse l'ultima, per riportare a casa gli ostaggi, ottenere un cessate il fuoco e mettere tutti sulla strada migliore per una pace e una sicurezza durature". Sono queste le parole pronunciate da Blinken in una conferenza stampa congiunta con il presidente israeliano Isaac Herzog. "È tempo che tutti dicano di sì e non cerchino scuse per dire di no", ha aggiunto il capo della diplomazia di Washington. "È anche tempo di assicurarsi che nessuno prenda misure che potrebbero far deragliare questo processo". Un nuovo piano di cessate il fuoco elaborato da Stati Uniti, Qatar ed Egitto è stato presentato venerdì, dopo due giorni di colloqui serrati. I mediatori hanno intensificato i loro sforzi, mentre il Medio Oriente si prepara ancora a un possibile attacco iraniano contro Israele, in risposta all’uccisione del capo politico di Hamas a fine luglio. Facendo eco alle dichiarazioni di Netanyahu, anche Herzog ha incolpato Hamas per il fatto che l'accordo non è ancora stato finalizzato, affermando che "la gente deve capire che tutto inizia con il rifiuto di Hamas di andare avanti".
Anche la polio?
Cresce, intanto, l’allarme per una possibile epidemia di poliomielite a Gaza. Il 30 luglio, infatti, le autorità sanitarie locali hanno dichiarato l’enclave costiera palestinese "zona a rischio epidemia di poliomielite", dopo che campioni del virus sono stati rilevati nelle acque reflue, facendo temere la recrudescenza di una malattia debellata dalla regione oltre 25 anni fa. Con milioni di palestinesi sfollati che vivono in condizioni spaventose, senza strutture sanitarie né forniture mediche di base, la notizia arriva dopo che il bilancio delle vittime da ottobre – fornito dal ministero della Salute locale - ha superato quota 40mila. L’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), prevede che tra agosto e settembre saranno avviati due cicli di vaccinazione contro la poliomielite in tutta la Striscia di Gaza e insieme all’UNICEF chiede “a tutte le parti in conflitto di attuare pause umanitarie per sette giorni, in modo da consentire lo svolgimento dei due cicli”. L’argomento è diventato anche il tema di una campagna virale sul web e sui social per chiedere a Israele di permettere l’ingresso dei vaccini nella zona. L'esercito israeliano, intanto, ha fatto sapere che diverse unità stanno operando nel centro di Deir el-Balah, nel Sud della Striscia, che finora è stato in gran parte risparmiato dai combattimenti via terra, costringendo ulteriormente i palestinesi a occupare solo l'11% dell’enclave costiera palestinese.
Il punto debole di Harris?
Ciò che accade a Gaza e in Israele si riverbera anche a migliaia di chilometri di distanza: in Illinois, dove prende il via oggi la Convention Nazionale Democratica. La guerra in Medio Oriente, scrive Jonathan Weisman dalle colonne del New York Times, è la grande eccezione in quella che la campagna di Harris vuole portare avanti come una Convention di unità e coesione, in vista della sfida con Donald Trump a novembre. “Una questione dolorosa sta amaramente dividendo l'establishment democratico dal suo fianco sinistro: la guerra di Israele a Gaza”, chiosa il quotidiano della Grande Mela. La scorsa settimana un gruppo di studenti ha interrotto un discorso di Harris in un hangar dell'aeroporto di Detroit, scandendo slogan come: "Kamala, Kamala, non puoi nasconderti; non voteremo per il genocidio". Negli ultimi anni, una quota crescente di americani, in particolare i giovani e gli elettori arabo-americani, ha espresso sostegno alla causa palestinese. Secondo le rilevazioni di Gallup, il 2023 – già prima del 7 ottobre – è stato l’anno del sorpasso: la maggioranza degli elettori Dem ha iniziato a sostenere i palestinesi piuttosto che gli israeliani. Questa fetta di elettorato è scontenta per il sostegno garantito dall’amministrazione Biden a Israele e per il flusso continuo di aiuti militari, che potrebbero superare i 12 miliardi di dollari in questo anno fiscale. La stampa USA rileva che i responsabili della campagna elettorale di Harris e i leader democratici hanno intensificato i contatti con gli elettori arabi ed ebrei prima dell'evento, ma si prevedono comunque proteste nutrite appena fuori dal perimetro di sicurezza a Chicago.
Il commento di Luigi Toninelli, ISPI MENA Centre
“La visita di Blinken in Israele - la nona dall'inizio del conflitto a Gaza - è l'ennesima dimostrazione di come gli Stati Uniti vogliano raggiungere un cessate il fuoco non soltanto per placare i combattimenti nella Striscia, ma anche per scongiurare un possibile scontro tra Iran e Israele. Tuttavia, il cammino intrapreso da Washington resta impervio e molti sono gli ostacoli che la diplomazia statunitense si trova ad affrontare: innanzitutto, le accuse incrociate tra Israele e Hamas, e il continuo ridimensionamento dei progressi fatti in sede negoziale, sembrano suggerire che, al momento, la distanza tra le parti resta difficile da colmare. A complicare ulteriormente questa situazione contribuisce anche il progressivo deterioramento dell'influenza negoziale statunitense, con Washington che viene percepita sempre più schiacciato sulle posizioni israeliane. Infine, l'Iran, in questa fase, non sembra intenzionato a soprassedere alla provocazione israeliana di fine luglio. La Repubblica islamica, infatti, sembra stia aspettando che il processo negoziale in corso fallisca per poter agire senza essere accusata di aver fatto deragliare i negoziati con una sua reazione nei confronti di Tel Aviv”.
[Questo articolo di Francesco Petronella è stato pubblicato sul sito dell'ISPI, al quale rimandiamo; Photo Credits: ISPI]