Da Gaza all’Aia, tra guerra e giustizia

I mandati di arresto spiccati dalla Cpi per Benjamin Netanyahu, Yoav Gallant e Mohammed Deif dividono la comunità internazionale, anche se difficilmente potranno essere eseguiti. Questo il punto di Alessia De Luca per l’ISPI.
La Corte Penale Internazionale (CPI) ha spiccato mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex ministro della difesa Yoav Gallant per “crimini contro l’umanità e crimini di guerra” nell’ambito delle operazioni militari condotte nella Striscia di Gaza. I giudici dell’Aia hanno emesso anche un mandato di arresto per Mohammed Deif, leader militare di Hamas a Gaza, accusato di crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Israele ritiene che Deif sia morto in un bombardamento a luglio, ma, non potendo verificare, la Corte ha proceduto lo stesso con l’emissione del mandato. Pur attesa, dopo una richiesta avanzata dal procuratore capo della corte Karim Khan a maggio, la notizia ha sollevato critiche e diviso l’opinione pubblica internazionale. Netanyahu si è scagliato contro i giudici accusandoli di “antisemitismo” e invocando un “nuovo affaire Dreyfus” riferendosi all’ingiusta persecuzione di un ufficiale ebreo nell’esercito francese nel 1894. Un livore – quello del premier israeliano – che riecheggia anche nei commenti della Casa Bianca, che ha definito “oltraggioso” il mandato d’arresto e messo in dubbio la giurisdizione della Corte sulla questione. Tuttavia, i palestinesi hanno aderito alla Corte penale internazionale nel 2015 e il tribunale internazionale ha quindi ha piena giurisdizione su presunti crimini commessi nei territori palestinesi occupati. Sulla vicenda, le controparti repubblicane sono state anche più dirette: il deputato repubblicano della Florida Mike Waltz, probabile prossimo consigliere per la sicurezza nazionale del presidente eletto Donald Trump, ha affermato che l’amministrazione entrante trasmetterà una “forte risposta” sia alla Corte che alle Nazioni Unite “a partire da gennaio”.
Una prima assoluta?
Da quando è diventato operativo, il 1° luglio 2002, il tribunale con sede all’Aia non aveva mai emesso prima d’ora un mandato di cattura contro un leader sostenuto dai paesi occidentali. Nel motivare la decisione, la Corte afferma di aver trovato “motivi ragionevoli” per ritenere che Netanyahu e Gallant siano responsabili di crimini, tra cui l’uso della fame come metodo di guerra e di “omicidio, persecuzione e altri atti disumani” finalizzati a privare sistematicamente la popolazione civile di Gaza di beni indispensabili alla sopravvivenza umana. Secondo i giudici, il governo israeliano avrebbe deliberatamente privato i civili di beni essenziali, come cibo, acqua, medicine e carburante, in violazione del diritto umanitario internazionale. Le autorità inoltre avrebbero imposto restrizioni tali da impedire il lavoro delle organizzazioni umanitarie e degli ospedali, costringendo i medici a operare feriti e a eseguire amputazioni senza anestesia, anche su bambini. Dopo più di un anno di guerra e 44mila morti tra i palestinesi, la Corte ha accusato inoltre i leader israeliani di aver autorizzato bombardamenti che hanno preso di mira deliberatamente la popolazione civile, causando morti e sofferenze ingiustificabili.
Cosa dicono le cancellerie internazionali?
Se Israele e gli Stati Uniti non aderiscono alla Corte e non hanno alcun obbligo nei confronti dei suoi pronunciamenti, i 124 paesi firmatari dello Statuto di Roma su cui questa si fonda, sono tenuti a rispettarne le decisioni. Dopo la diffusione della notizia, perciò, diversi paesi si sono impegnati ad applicare la sentenza, mentre altri hanno evitato di pronunciarsi. “Sosteniamo il diritto internazionale – ha detto ai giornalisti il primo ministro canadese Justin Trudeau – e rispetteremo tutti i regolamenti e le sentenze dei tribunali internazionali”. Caspar Veldkamp, ministro degli Esteri olandese, ha detto che le autorità arresteranno Netanyahu se “metterà piede sul suolo olandese”. Anche la Francia ha dichiarato di sostenere l’azione del tribunale, mentre Viktor Orban si è schierato contro: “Non abbiamo altra scelta che sfidare questa decisione. Inviterò Netanyahu a venire in Ungheria”, ha detto il premier ungherese. Il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, tuttavia, ha chiarito che i mandati di arresto “sono vincolanti per tutti gli Stati firmatari dello statuto di Roma. E come tali tutti i paesi membri dell’Unione Europea, sono tenuti ad attuarla”.
E gli USA?
I mandati della Corte penale internazionale hanno riaperto il dibattito sui doppi standard dell’Occidente e provocato imbarazzo nell’amministrazione uscente di Joe Biden. Difficile credere, infatti, che quest’ultima non fosse a conoscenza delle azioni di cui è accusato l’alleato mediorientale dopo che le agenzie internazionali americane (e la stessa Usaid) avevano più volte nei loro rapporti sottolineato il fatto che Israele non stesse facendo abbastanza per consentire l’ingresso degli aiuti nella Striscia e che in alcune fasi ne avesse deliberatamente ostacolato il flusso. In oltre un anno di guerra e nonostante numerosi appelli, gli Stati Uniti sono rimasti schierati al fianco dello sforzo bellico israeliano, anche se Gaza è stata in gran parte distrutta, il bilancio delle vittime palestinesi è aumentato costantemente e i funzionari delle Nazioni Unite hanno ripetutamente messo in guardia dalle condizioni di carestia in tutto il territorio. Dal 7 ottobre a oggi, l’amministrazione Biden ha offerto a Israele aiuti per 12 miliardi e mezzo di dollari e, ancora questa settimana ha posto – sola contro 14 voti a favore – il veto all’ennesima risoluzione per un cessate il fuoco al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Nei mandati emessi, i giudici della CPI puntano il dito su quella che può tacciarsi di presunta complicità in crimini di guerra.
Il commento di Valeria Talbot, Head, Osservatorio Medio Oriente e Nord Africa ISPI
“I mandati di arresto emessi dalla Corte penale internazionale nei confronti di Benjamin Netanyahu e del suo ex ministro della Difesa, Yoav Gallant, hanno suscitato un’ondata di indignazione e di condanna in tutto lo spettro politico israeliano in un inedito fronte comune. Reazioni diverse invece nel fronte dei paesi occidentali: allo sdegno dell’alleato statunitense ha fatto da contraltare la dichiarazione dell’Alto rappresentante dell’Unione europea Josep Borrell, che ha parlato di decisione vincolante per tutti gli stati UE in quanto firmatari dello Statuto di Roma. Se è inusuale che leader democraticamente eletti siano condannati come criminali di guerra, la decisione della Corte spinge la comunità internazionale a riflettere sulla conduzione della guerra a Gaza da oltre un anno”.
[Fonte: ISPI; Foto: ActionAid]