Gaza: bombe sulla chiesa e diplomazia vaticana

Dopo il bombardamento della parrocchia di Gaza il patriarca latino di Gerusalemme e il patriarca greco-ortodosso entrano nella Striscia con 500 tonnellate di aiuti: “La guerra deve finire ora”. Il punto di Alessia De Luca per l’ISPI.
All’indomani del bombardamento israeliano contro la chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, il Patriarca Latino di Gerusalemme, Pierluigi Pizzaballa, e il Patriarca Greco-Ortodosso, Teofilo III, si sono recati nella Striscia alla guida di una delegazione ecclesiastica, portando 500 tonnellate di aiuti per la popolazione civile. “Durante la loro permanenza – spiega un comunicato – la delegazione incontrerà i membri della comunità cristiana locale, porgerà le condoglianze e la solidarietà e sarà al fianco di coloro che sono stati colpiti dai recenti eventi”. In una dichiarazione resa ai media vaticani poco prima della partenza, il patriarca Pizzaballa aveva riferito di aver ricevuto una telefonata di Papa Leone XIV: “Sua Santità ha chiamato per esprimere la sua vicinanza, il suo affetto, la sua preghiera, il suo supporto e anche la sua intenzione di fare tutto il possibile perché si arrivi non solo al cessate il fuoco ma alla fine di questa tragedia“. “Papa Leone – ha detto ancora il patriarca – ha ripetuto più volte che è ora di finire con questa strage e che quello che è accaduto è ingiustificabile e bisogna fare in modo che non ci siano più vittime”. Non è la prima volta che la Parrocchia della Sacra Famiglia, unica chiesa cattolica di Gaza dove, prima dell’inizio della guerra, vivevano circa un migliaio di cristiani, viene attaccata. Il precedente risale al dicembre 2023, quando un cecchino israeliano aprì il fuoco uccidendo due donne che si erano rifugiate al suo interno. La chiesa e il suo parroco, Gabriele Romanelli – anch’egli ferito nell’attacco – sono note a livello internazionale per lo stretto legame con il defunto Papa Francesco, che chiamava la parrocchia quasi ogni giorno, mentre la guerra infuriava.
Errore o attacco deliberato?
A distanza di oltre 24 ore, è ancora tutta da chiarire la dinamica dell’attacco militare in cui sono morte tre persone e altre 20 – tra cui Romanelli – sono rimaste ferite. I vertici israeliani hanno annunciato l’apertura di un’inchiesta mentre il ministero degli Esteri di Tel Aviv ha espresso “profondo rammarico”. E nella serata di ieri, nel corso di una telefonata con il presidente Usa Donald Trump, il premier Benjamin Netanyahu ha assicurato che l’attacco è stato “un errore” e che Israele “resta impegnato a proteggere i civili e i luoghi sacri”. Ma la ricostruzione non convince tutti, considerato anche che, secondo le prime informazioni, a colpire il tetto del complesso – che da oltre 22 mesi ospita centinaia rifugiati tra cui anziani, donne e bambini disabili – non sarebbe stato un raid ma diversi colpi esplosi da un carro armato. Fonti vicine alla cancelleria del patriarcato hanno dichiarato al quotidiano The Pillar che alcuni funzionari ritengono possa essersi trattato di un atto deliberato di ritorsione, dopo che i leader cristiani avevano recentemente denunciato la connivenza delle autorità israeliane negli attacchi di coloni israeliani contro Taybeh, una cittadina cristiana della Cisgiordania. “Quello che sappiamo per certo è che si è trattato di colpo esploso da un carro armato”, aveva riferito lo stesso Pizzaballa ai media vaticani, aggiungendo: “ Le forze armate israeliane dicono per errore, ma non ne siamo certi”.
Critiche e poi?
Oltre ad aver alzato un coro di critiche internazionali, l’attacco alla chiesa della Sacra Famiglia rischia di far precipitare le relazioni già fortemente compromesse fra Israele e la Santa Sede. Se alla luce di quello che ha definito senza mezzi termini “un attacco militare” il Vaticano ha rinnovato il suo appello “per un cessate il fuoco immediato”, la presidenza della Cei ha sottolineato il proprio sconcerto in un comunicato dai toni insolitamente duri: pur senza citare Israele i vescovi italiani hanno detto di aver “appreso con sgomento” di quello che definiscono “l’inaccettabile attacco alla chiesa della Sacra Famiglia di Gaza”. In un comunicato, la stessa diocesi di Roma, di cui il papa è reggente in qualità di Vescovo, rincarava la dose: “La strategia israeliana – si legge in un comunicato – non ha risparmiato neanche la parrocchia latina della Sacra famiglia”. E aggiunge: “Dopo 600 giorni di guerra e oltre 60mila morti palestinesi la comunità internazionale ha l’obbligo di adottare tutte le misure diplomatiche per arrestare questo assurdo e deplorevole bagno di sangue”. Toni che non potevano on provocare una ferma reazione anche da parte del governo italiano. In una dichiarazione, la premier Giorgia Meloni afferma: “I raid israeliani su Gaza hanno colpito anche la chiesa della Sacra Famiglia. Gli attacchi contro la popolazione civile che Israele porta avanti da mesi sono inaccettabili. Nessuna azione militare può giustificare un simile comportamento”. Appena pochi giorni fa, però, il governo italiano aveva contribuito, con quello tedesco, ungherese e altri, ad affossare la proposta dell’Alta rappresentante europea Kaja Kallas di sospendere gli accordi di partenariato con Israele per violazioni dei diritti umani a Gaza. Nelle stesse ore in cui condannava l’attacco alla chiesa di Gaza, inoltre, l’esecutivo ha respinto il parlamento una mozione presentata dall’opposizione che chiedeva lo stop alla cooperazione militare e di difesa tra Roma e Tel Aviv.
La tregua può aspettare?
Intanto, sulla Striscia si è scatenata nelle ultime ore una nuova ondata di raid e, secondo le autorità palestinesi, si contano almeno 14 morti. Le zone colpite dalle forze armate israeliane sono quella di Khan Younis, nel sud, mentre a nord è stata presa di mira l’area di Jabalia. L’attuale escalation coincide con un momento delicato dei negoziati in corso a Doha, dove la mediazione di Qatar ed Egitto è bloccata sul nodo del ritiro israeliano dalla Striscia. Per Hamas la determinazione di Tel Aviv a mantenere il controllo di ampie porzioni di territorio indica la volontà di riprendere l’offensiva dopo i sessanta giorni di cessate il fuoco al centro del negoziato. Dopo giorni di stallo, Israele ha presentato una nuova mappa in cui conferma la rinuncia al “corridoio Morag”, tra Rafah e Khan Younis e arretrerebbe entro 1,2 chilometri dal corridoio Filadelfia, lungo il confine egiziano. Hamas, secondo fonti palestinesi, avrebbe accettato la proposta. Ma sul nuovo, fragilissimo spiraglio pesa la fronda dell’ultradestra israeliana, sempre più minacciosa. Il ministro Itamar Ben-Gvir ha chiesto a Netanyahu di continuare l’offensiva, al fine di “raggiungere gli obiettivi della guerra: occupazione completa (di Gaza), migrazione volontaria e reinsediamento (israeliano)”, altrimenti sarebbe pronto a lasciare la maggioranza. Dopo l’uscita di altre due formazioni nei giorni scorsi, l’esecutivo israeliano conta ora su soli 50 deputati su 120 della Knesset. Per questo, contrariamente agli appelli, è probabile che il governo e i suoi vertici attenderanno almeno fino al 28 luglio, data della chiusura estiva del parlamento, prima di annunciare qualunque decisione.
Il commento di Ugo Tramballi, ISPI Senior Advisor
“Un grave errore, ammette Benjamin Netanyahu. Lo dice a Donald Trump, al papa, ai leader di governi amici come l’italiano. Un errore militare e, visto il livello delle reazioni internazionali, politico. La cannonata sulla chiesa della Sacra Famiglia ha aumentato la crescente impopolarità internazionale d’Israele per ciò che accade nella striscia. Anche sull’involontarietà del bombardamento lo scetticismo è diffuso. Nessuno crede l’abbia ordinato Netanyahu, sebbene nel suo governo ci sia chi lo avrebbe fatto volentieri. Ma che dei soldati lo possano fare, è molto plausibile. Dopo quasi due anni di guerra, la priorità della vendetta ha ormai superato quella della sicurezza d’Israele. In quale altro modo spiegare l’idea del ‘villaggio umanitario’ pensato dal ministro della Difesa Israel Katz? Un ghetto di Gaza con Israele nel ruolo di persecutore”.
[Fonte: ISPI; Foto: World Council of Churches]