Gaza: è guerra anche nel Sud

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Si intensificano i bombardamenti sulla Striscia, mentre i cari armati israeliani entrano a Khan Younis. L’Onu denuncia: “Condizioni apocalittiche”. Questo il punto dell'ISPI.

La situazione umanitaria a Gaza peggiora di ora in ora, mentre i carri armati israeliani sono entrati a Khan Younis, la principale città nel sud della Striscia, in cui milioni di palestinesi hanno cercato rifugio dai bombardamenti. Parlando a nome dell’intera comunità umanitaria internazionale, il coordinatore degli aiuti di emergenza delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, ha parlato di condizioni "apocalittiche", evidenziando che la campagna militare israeliana nel sud di Gaza “è devastante quanto quella nel nord”, e che di fatto impedisce ogni possibilità di operazioni umanitarie significative. “Quello che diciamo oggi è: ora basta. Deve finire”, ha detto Griffiths, secondo cui allo stato attuale gli operatori umanitari non sono in grado di distribuire nemmeno una minima parte degli aiuti autorizzati ad entrare nella Striscia, dove vivono circa 2 milioni e 300mila persone. I suoi commenti sono arrivati mentre l’esercito israeliano conferma di aver preso d’assalto Khan Younis nella giornata di combattimenti più intensa registrata finora dalla ripresa delle ostilità, e mentre gli ospedali faticano a far fronte alle decine di morti e feriti. Combattimenti sono in corso anche in altre aree, tra cui il campo profughi di Jabalia e Shejaiya, nel nord di Gaza. L’Onu afferma che ormai l’80% della popolazione è sfollata e che oltre 600mila palestinesi hanno ricevuto l’ordine di evacuazione. Ma per loro non c’è nessun posto dove andare perché i rifugi sono pieni e al momento “nessun luogo è sicuro”.

Netanyahu abbandona gli ostaggi?

Gli appelli delle Nazioni Unite però sembrano cadere nel vuoto mentre Israele accusa l’organizzazione internazionale di “pregiudizi” e il ministro degli Esteri Eli Cohen ha revocato il visto di Lynn Hastings – coordinatrice umanitaria delle Nazioni Unite nei territori palestinesi. Intanto le forze armate israeliane hanno comunicato ai residenti nella Striscia che non permetteranno il transito sulla strada Salah al-Din. che attraversa l’enclave nelle sezioni a nord e ad est di Khan Younis. Israele ritiene infatti che i leader di Hamas potrebbero nascondersi in città – e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha insistito che la guerra può essere vinta solo facendo ricorso ad “un uso della forza schiacciante”. Ieri, in un incontro con le famiglie degli ostaggi ancora in mano ad Hamas che parte della stampa israeliana ha definito “ostile”, il premier ha detto esplicitamente che “allo stato attuale, non è possibile riportarli tutti indietro”. “Qualcuno può davvero pensare – ha aggiunto Netanyahu – che se questa fosse un’opzione qualcuno la rifiuterebbe?”. Ronen Tzur, uno dei capi dell’Hostage Families Forum, ha espresso la rabbia degli interlocutori raccontando che Netanyahu avrebbe letto il suo intervento da un testo scritto senza rispondere a nessuna domanda. Da settimane, nelle proteste che si tengono nel centro di Tel Aviv  davanti al ministero della Difesa, i manifestanti chiedono al primo ministro di lasciare il suo incarico e di fare il possibile per liberare i rapiti, anche attraverso nuovi accordi con Hamas. Sette giorni di tregua, scaduti la settimana scorsa, avevano permesso la liberazione di 81 israeliani, 23 cittadini thailandesi e un filippino. Si ritiene che a Gaza rimangano ancora 138 ostaggi, tra cui circa 20 donne.

Putin, visita a sorpresa?

È in questo scenario di un Medio Oriente sull’orlo del baratro, con il rischio che il conflitto tra Israele e Hamas si estenda ad altri attori regionali, che oggi ha fatto la sua comparsa sulla scena Vladimir Putin. In un raro viaggio all’estero, dopo il mandato di arresto internazionale spiccato nei suoi confronti, il leader russo è arrivato ad Abu Dhabi per incontrare il presidente degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, che lo ha definito “un caro amico” e lo ha accolto con uno spettacolo di aerei acrobatici con il tricolore russo. Subito dopo, Putin ha proseguito il viaggio verso l’Arabia Saudita, a Riad per incontrare il principe ereditario e leader di fatto del paese, Mohammed bin Salman. Con entrambi, Putin ha parlato di accordi commerciali, produzione petrolifera e, naturalmente, della situazione in Ucraina e a Gaza, che il presidente russo imputa ai “fallimenti della politica statunitense nella regione. I leader “considereranno le modalità per promuovere la riduzione dell’escalation” tra Israele e Hamas, ha affermato il Cremlino, “e si sono confrontati sui conflitti in Siria, Yemen e Sudan”. Una visita lampo, due capitali in un solo giorno, con cui Putin ha voluto dimostrare di essere ancora un attore di primo piano in Medio Oriente, rafforzando l’immagine di Mosca come quella di un ‘polo alternativo’ agli Stati Uniti, capace di parlare con tutti. Domani, infatti, una volta rientrato in patria, il leader russo riceverà al Cremlino il presidente iraniano Ebrahim Raisi per completare il giro di incontri cominciato in Medio Oriente.

Dov’è l’Occidente?

Stride, in questo contesto, il silenzio delle capitali occidentali incapaci di imporsi in una crisi che sembra sfuggire alla loro portata: mentre l’Europa è preda delle divisioni interne e una totale mancanza di strategia, gli Stati Uniti osservano inermi l’alleato israeliano contravvenire alle sue pressioni. Così, nonostante la scorsa settimana il segretario di Stato americano Antony Blinken avesse avvertito Netanyahu che la massiccia perdita di vite civili vista nel nord di Gaza non avrebbero dovuto ripetersi nel sud, da ore l’aviazione israeliana martella case, ospedali e centri abitati. Intanto il bilancio delle vittime – secondo quanto riferito dal ministero della Sanità di Gaza – avrebbe superato quota 16mila. In confronto – riporta il Financial Times – nei primi nove mesi dell’invasione americana dell’Iraq nel 2003 furono registrati 12mila civili uccisi. “La polverizzazione di Gaza è tra i peggiori attacchi contro una popolazione civile del nostro tempo. Ogni giorno che passa vediamo sempre più bambini morti e nuove profondità di sofferenza per le persone innocenti che sopportano questo inferno – ha denunciato Jan Egeland, capo del Consiglio norvegese per i rifugiati, secondo cui i paesi che sostengono Israele con le armi devono capire che queste morti civili costituiranno una macchia permanente sulla loro reputazione”. Quello che sta accadendo ha aggiunto Egeland “è un fallimento totale della nostra comune umanità”

Il commento. Di Chiara Lovotti, ISPI MENA Centre

“Da quando su di lui pende un mandato di arresto della Corte Penale Internazionale, il presidente russo ha centellinato le visite all’estero, recandosi fondamentalmente solo in Cina e nei paesi dell’ex blocco sovietico. A farlo viaggiare fuori dalla propria zona di conforto, solo destinazioni di estrema rilevanza: l’Iran nel luglio 2022 e, oggi, Arabia Saudita ed Emirati. A Teheran per assicurarsi la collaborazione militare iraniana, fondamentale per il prosieguo della guerra; a Riad e Abu Dhabi (colleghi nell’OPEC+) per trovare un’intesa sui tagli alla produzione di petrolio. La guerra in Israele-Palestina è un tema, ma rimane sullo sfondo: Mosca sa di avere un potere limitato in questo dossier, nonostante l’offerta di Putin – più che altro obbligata e retorica – di mediazione. A fine settimana, poi, Putin ospiterà l’omologo iraniano a Mosca. Visite simboliche che mostrano una saldatura dei paesi del cosiddetto sud globale: un mondo che va avanti, oltre sanzioni e isolamento”.

(Fonte: ISPI; Foto: UNICEF/UNI472270/Zaqout)