Gaza: la tregua che non c'è

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Israele entra a Rafah ma invierà una delegazione al Cairo. Pressing dei familiari degli ostaggi su Netanyahu: “sta deliberatamente affossando l’intesa”. Di seguito il focus dell'ISPI.

Dopo 24 ore convulse in cui lo scenario della guerra a Gaza ha subito una brusca accelerazione, le forze armate israeliane hanno annunciato di aver preso il controllo di Rafah. Oggi sulla città meridionale della Striscia che ospita un milione e mezzo di rifugiati e principale valico di frontiera con l'Egitto, sventola la bandiera israeliana. L’arrivo dei tank è avvenuto nella notte, dopo massicci bombardamenti e a poche ore dall’evacuazione della popolazione civile che aveva lasciato presagire un imminente attacco di terra. Poco prima, dal Cairo era arrivata la notizia che Hamas aveva accettato un cessate il fuoco. Ma i festeggiamenti esplosi nella Striscia di Gaza sono stati gelati poco dopo dalla smentita israeliana: il testo dell’accordo – secondo fonti del gabinetto di guerra – sarebbe stato diverso da quello concordato dallo Stato ebraico che quindi, non si riteneva vincolato ad esso. Così, mentre i mediatori internazionali premevano per continuare il negoziato, l’esecutivo di Tel Aviv votava all’unanimità a favore dell’offensiva, avvenuta puntuale poche ore dopo. Finora tuttavia, l’incursione è stata più contenuta di quanto ci si aspettasse, probabilmente perché il primo ministro Benjamin Netanyahu è sotto pressione da più parti per accettare un cessate il fuoco: dai familiari degli ostaggi, che ieri hanno bloccato una delle principali arterie di comunicazione di Tel Aviv, dagli Stati Uniti, preoccupati che il conflitto deflagri in un’escalation regionale, e dall’opinione pubblica internazionale atterrita dal terrificante bilancio di vittime civili. Un’eventuale tregua rappresenterebbe la prima pausa nei combattimenti dopo il cessate il fuoco durato una settimana a novembre, durante il quale Hamas liberò un centinaio dei circa 250 ostaggi catturati il 7 ottobre e Israele liberò 240 detenuti. Da allora, tutti i tentativi per raggiungere una nuova tregua sono falliti a causa del rifiuto di Hamas di liberare altri ostaggi senza la promessa di una fine permanente del conflitto, e dell'insistenza di Israele affinché sul tavolo dei negoziati ci sia solo l’ipotesi di una pausa temporanea.

Un accordo multifase?

I dettagli dell’accordo multifase di cessate il fuoco e per il rilascio degli ostaggi mediato da Egitto, Qatar e Stati Uniti accettato ieri dalla leadership politica di Hamas non sono stati resi noti, ma fonti diplomatiche riferiscono che la proposta era simile a quella avanzata dai mediatori circa due settimane fa. Quella proposta includeva la richiesta di una pausa iniziale di sei settimane nei combattimenti, durante la quale l’organizzazione islamista – responsabile dell’attacco del 7 ottobre - avrebbe rilasciato 33 dei 132 ostaggi ancora nelle sue mani, tra cui donne, bambini, anziani e feriti. A ciò sarebbe seguita una seconda fase di cessate il fuoco prolungato, della durata non definita, durante la quale gli ostaggi rimanenti sarebbero stati liberati mentre Israele avrebbe rilasciato diversi prigionieri politici palestinesi, consentito agli abitanti di Gaza di tornare alle loro case nel nord dell’enclave e autorizzato l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia. In una dichiarazione rilasciata nella serata di ieri, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito la proposta “lontana dalle richieste di Israele”, ma ha detto che i mediatori del governo si impegneranno in ulteriori colloqui “per esaurire la possibilità di raggiungere un accordo”. La porta insomma, non sarebbe chiusa ha fatto capire il premier, che la scorsa settimana aveva definito l’offensiva su Rafah “non negoziabile”, avvertendo che avrebbe avuto luogo con o senza un accordo per la liberazione degli ostaggi.

Washington preme per una tregua?

Anche Washington sta esaminando la risposta di Hamas alla proposta e la sta “discutendo con i partner della regione” ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Kirby. A livello diplomatico, l’invasione di Rafah sottoporrebbe a un duro sforzo le relazioni con gli Stati Uniti, che in più di un’occasione si sono detti contrari all’ipotesi di un’offensiva sulla città in assenza di garanzie per i civili. A segnalare un cambio di toni - dopo mesi di pressioni cadute nel vuoto - per la prima volta dall’inizio del conflitto, gli Stati Uniti avrebbero sospeso l’invio di armamenti di precisione allo Stato ebraico. Una mossa non confermata dalla Casa Bianca ma riportata da diverse fonti interne all’amministrazione, intervenuta anche alla luce di settimane di proteste contro la guerra a Gaza che infiammano atenei e campus universitari statunitensi. Alla luce di sette mesi di conflitto che minaccia di deflagrare in una crisi regionale, anche gli americani vogliono un accordo. Il sostegno del presidente Joe Biden a Israele gli sta costando il sostegno politico in un anno elettorale Dopo un momento, lo scorso fine settimana, in cui sembrava che un’intesa fosse a portata di mano, il raggiungimento di un accordo era tornato ad essere un’ipotesi remota ma se le possibilità di una svolta nei negoziati “sono ancora basse – osserva Amos Harel su Ha’aretz - forse rispondendo positivamente alla proposta, la leadership di Hamas è riuscita a creare un cuneo tra Israele e Stati Uniti”.

Rafah o gli ostaggi?

L’annuncio di Hamas – secondo diversi osservatori – ha colto il governo israeliano di sorpresa emesso Netanyahu in difficoltà. Il suo governo di coalizione dipende dal sostegno degli ultranazionalisti che chiedono a gran voce l'occupazione di Rafah e hanno minacciato di rovesciare il governo se ciò non dovesse accadere. Al contempo, le famiglie degli ostaggi sono tornate a scendere in strada per chiedere che Israele accetti l’accordo per riportarli a casa. Resta da vedere se il composito esecutivo israeliano – nato all’indomani del 7 ottobre  - reggerà al fallimento di quello che in molti ritengono l’ultima possibilità di rivedere, vivi o morti, i propri cari. Il premier, è l’accusa contenuta in una lettera, durissima, che i familiari degli ostaggi hanno inviato ai ministri senza portafoglio Benni Gantz e Gadi Eisenkot che hanno accettato di lasciare le opposizioni e partecipare al governo “sta deliberatamente facendo naufragare l'accordo e abbandonando gli ostaggi alla morte”. “Siete diventati delle comparse nel suo spettacolo di sabotaggio di ogni intesa” affermano, aggiungendo: “Voi giustificate la vostra permanenza al governo con l’obiettivo di riportare a casa gli ostaggi. È giunto il momento di rimuovere gli ostacoli che Netanyahu ha posto nell'accordo”.

Il commento Di Ugo Tramballi, ISPI Senior Advisor

“Con l’accordo di tregua, il rischio di permettere ad Hamas di sopravvivere alla guerra c'è. Ma dopo sette mesi prevalgono la volontà e l'interesse di fermare questa guerra e di togliere di mezzo gli estremisti palestinesi di Sinwar con mezzi più politici che militari. È un’ipotesi che per Netanyahu equivale a una fine politica. Nelle prossime ore sarà interessante capire se una o entrambe le parti di un Israele bicefalo abbiano detto no al si di Hamas: se solo gli alleati nazional-religiosi del governo di estrema destra o anche tutti i membri del gabinetto di guerra composto anche dalle opposizioni”.

[Questo articolo è stato pubblicato sul sito dell'ISPI, al quale rimandiamo; Photo Credits: ISPI]