Gaza: strage in attesa della tregua

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Un raid israeliano uccide almeno 10 bambini in coda per cure mediche a Gaza. Intanto gli Usa inviano le ruspe e annunciano sanzioni alla relatrice Onu Francesca Albanese. Il focus di Alessia De Luca per l’ISPI.

Mentre si attende l’annuncio di una tregua che non arriva è la notizia di una strage, l’ennesima, che arriva dalla Striscia di Gaza. Almeno 15 persone, tra cui 10 bambini – il più piccolo di due anni, il più grande di 14 – sono state uccise da un attacco israeliano mentre erano in coda davanti a un presidio medico a Deir al-Balah, nel centro della Striscia. Secondo quanto riferito da Project Hope, che gestisce la struttura, le attività della clinica sono state sospese fino a nuovo avviso. “Stamattina, famiglie innocenti sono state attaccate senza pietà mentre erano in coda in attesa dell’apertura delle porte. Questa è una palese violazione del diritto internazionale umanitario”, ha dichiarato Rabih Torbay, direttore generale della Ong. L’esercito israeliano ha affermato di aver preso di mira “un terrorista di Hamas” che aveva partecipato all’attacco del 7 ottobre 2023, e che “l’incidente” è in fase di revisione. L’intensificarsi dei bombardamenti israeliani con annesso corollario di vittime civili – oltre 80 nelle ultime 24 ore – avviene mentre i negoziatori annunciano da settimane l’imminenza di un cessate il fuoco, che però non si concretizza. In un durissimo editoriale, il quotidiano Ha’aretz sottolinea che questa guerra deve essere fermata immediatamente: “Gli ostaggi devono essere riportati indietro e l’esercito deve ritirarsi dall’enclave. Il controllo deve essere trasferito all’Autorità Nazionale Palestinese in un quadro arabo-internazionale per consentire la ricostruzione della Striscia. Non si può dare sostegno, né con il consenso, né con il silenzio, né con l’indifferenza, a un piano su cui sventola una bandiera nera”.

A Rafah un campo di internamento?

In queste stesse ore, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha lasciato Washington, al termine di una visita in cui ha rivelato di aver candidato Trump al Nobel per la pace. D’altronde proprio ieri gli Stati Uniti hanno consegnato al governo israeliano decine di bulldozer ed escavatori per realizzare “l’emigrazione volontaria” dei palestinesi. Il progetto è quello della cosiddetta “città umanitaria” a Rafah, annunciato all’inizio della settimana dal ministro della Difesa Israel Katz: nei fatti si tratta di un enorme campo di internamento in cui sarà rinchiusa la popolazione civile di Gaza, in preparazione del loro trasferimento fuori dall’enclave. “Il campo di concentramento più morale del mondo” lo ha definito il quotidiano israeliano Ha’aretz secondo cui “definire una città destinata a migliaia di palestinesi, chiusi, sotto sorveglianza, senza possibilità di andarsene, come una ‘soluzione umanitaria’, non è che un’agghiacciante distorsione linguistica”. Israele, ha riferito il Financial Times all’inizio di questa settimana, avrebbe commissionato lo studio di un modello finanziario per la ricollocazione dei civili fuori dalla Striscia, con “stime dei costi per il trasferimento di centinaia di migliaia di palestinesi dalla Striscia e l’impatto economico di un simile sfollamento di massa”. Uno degli scenari stimava che “oltre 500mila abitanti di Gaza avrebbero lasciato l’enclave con ‘pacchetti di trasferimento’ del valore di 9mila dollari a persona, ovvero circa 5 miliardi di dollari in totale”.

USA vs ONU?

Intanto, prosegue il braccio di ferro tra Stati Uniti e Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi, contro cui il dipartimento di Stato americano ha imposto sanzioni ad personam. La giurista italiana – divenuta il volto più noto della campagna di pressione internazionale rivolta a Israele per le presunte politiche di genocidio e apartheid nei Territori occupati – ha pubblicato un rapporto intitolato “Dall’economia di occupazione all’economia del genocidio” che indicato come aziende statunitensi e internazionali sosterrebbero direttamente o indirettamente l’esercito israeliano e l’occupazione dei territori palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, e delle società di investimento che contribuiscono a finanziare la guerra. “Mentre i leader politici e i governi si sottraggono ai propri obblighi, troppe entità aziendali hanno tratto profitto dall’economia israeliana basata sull’occupazione illegale, sull’apartheid e, ora, sul genocidio”, afferma il rapporto. Mercoledì il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha dichiarato sui social media: “La campagna di guerra politica ed economica di Albanese contro gli Stati Uniti e Israele non sarà più tollerata”. Le sanzioni statunitensi rappresentano il culmine di una vasta campagna condotta dall’amministrazione Trump, per reprimere le critiche alla gestione da parte del governo di Israele della sanguinosa guerra a Gaza. “Sembra di aver toccato un nervo scoperto – ha replicato Albanese – Ma la mia preoccupazione è che a Gaza si continua a morire mentre noi parliamo, e l’Onu è totalmente impotente”.

L’Europa può fare qualcosa?

In un timido accenno di difesa della relatrice Onu, il portavoce della Commissione europea per gli Affari esteri Anouar El Anouni ha ribadito che “l’Ue sostiene fermamente il sistema dei diritti umani delle Nazioni Unite e si rammarica profondamente della decisione di imporre sanzioni a Francesca Albanese”. L’Ue, ha aggiunto, “continua a sostenere gli sforzi volti a intraprendere indagini indipendenti sulle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale, comprese quelle che potrebbero configurarsi come crimini internazionali”. Finora però i 27 non hanno intrapreso alcuna azione concreta per convincere Israele a fermare i bombardamenti. Ieri, l’Alta rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Kaja Kallas, ha annunciato un accordo con Tel Aviv per riprendere le spedizioni su larga scala di aiuti umanitari a Gaza. L’intesa, che non è stata ancora pubblicata e su cui gravano numerosi interrogativi, dovrebbe servire per evitare a Israele le sanzioni minacciate a causa del mancato rispetto delle condizioni del suo accordo di associazione con l’Ue. Le capitali europee stanno esaminando il documento e martedì prossimo i ministri degli Esteri valuteranno il da farsi e le possibili misure da prendere nei confronti di Israele, come chiesto da diversi ex ambasciatori europei in una lettera aperta alla Commissione Ue. Un primo segnale è arrivato nelle ultime ore: il governo di Netanyahu ha autorizzato l’ingresso a Gaza di 75mila litri di carburante per la prima volta da oltre quattro mesi. Una conferma del fatto che, qualora lo volesse, l’Unione Europea disporrebbe degli strumenti per incidere sull’evoluzione del conflitto.

Il commento di Ugo Tramballi, ISPI Senior Advisor

“L’ego smisurato di Trump è ormai parte della geopolitica. Come la Cina, le ambizioni di Putin, le debolezze europee, il Global South e l’umorismo, anche l’amor proprio presidenziale è un fattore quotidiano del nuovo ordine in costruzione. Ma non è detto che la candidatura avanzata da Netanyahu abbia fatto piacere a Trump. […] L’ego di Trump non ha limiti ma l’uomo non è così sprovveduto: quando è di fronte a un venditore ambulante dovrebbe saperlo riconoscere. Sono pratiche commerciali a lui note, ripetutamente applicate da immobiliarista newyorkese. Ma non sottovalutate Bibi Netanyahu: anche se privo di humor, l’uomo ha cento vite politiche”.

[Fonte e Foto: ISPI]