Gaza, tragedia senza fine: il numero dei morti sarebbe quasi il doppio

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Uno studio indipendente internazionale del Royal Holloway di Londra ha calcolato che quello in corso è uno dei conflitti più letali del Ventunesimo secolo: ucciso oltre il 3% degli abitanti.

Di Lucia Capuzzi, inviata a Gerusalemme, da Avvenire

Ayser e Aysal Abu al-Qumsan sono morti prima di esistere ufficialmente. Il 13 agosto scorso, il padre Mohammed si era da poco allontanato da al-Qastal, quartiere orientale di Deir al-Balah, quando la tenda in cui i gemellini erano venuti al mondo tre giorni prima è stata colpita da un razzo. Ha fatto in tempo a terminare la registrazione all’anagrafe quando ha ricevuto la chiamata dei vicini: la sua famiglia era stata sterminata. Il video del papà in lacrime con in mano i certificati dei due bimbi è rimbalzato sui social. Il numero di documento è riportato accanto a nome, età, data di nascita e di morte, nella lista delle vittime di guerra diffusa lunedì dal ministero della Sanità di Gaza e aggiornata a due settimane fa. Ayser si trova alla posizione 19 – Aysal tre più in basso – preceduto da altri 18 bambini uccisi prima di raggiungere le 72 ore di vita. Lo seguono 918 piccoli morti entro gli undici mesi. Solo alla pagina 21 del documento figurano quanti sono riusciti a compiere un anno. Sul totale di 1.227 fogli, 262 sono occupati da nominativi di under 13. Nell’elenco i minori sono 17.121, un terzo circa dei 55.202 morti complessivi censiti tra il 7 ottobre 2023 e il 15 giugno 2025. Ora sono oltre mille in più. Cifre respinte categoricamente dal governo israeliano che, però, non fornisce un bollettino alternativo. L’esercito di Tel Aviv si limita a sostenere di avere «eliminato 20mila terroristi» e definisce «esagerate e inattendibili» le cifre che arrivano dalla Striscia, dato il controllo di Hamas sulle istituzioni, incluse quelle sanitarie. «Posso comprendere lo scetticismo. Il punto è che i numeri delle autorità dell’enclave sono ben inferiori a quelli reali. Le vittime gazawi sono quasi il doppio». Parola di Micheal Spagat, economista dell’Holloway College dell’Università di Londra, esperto riconosciuto a livello internazionale di mortalità nei conflitti. Insieme a un team di ricercatori ha appena pubblicato uno studio preliminare – è allo scrutinio della comunità scientifica– in cui il bilancio, al 5 gennaio scorso, è di 75.200 morti. Il 40 per cento in più dei 45.660 conteggiati fino ad allora dal ministero della Sanità della Striscia.

«Poiché Gaza è blindata, ci siamo avvalsi della collaborazione del Palestinian center for policy and survey research, istituto specializzato in rilevazioni. Il centro – indipendente – ha una presenza sul campo che gli consente di tracciare gli spostamenti della popolazione, operazione fondamentale per portare avanti un sondaggio attendibile – spiega ad Avvenire Spagat –. I loro ricercatori hanno, dunque, realizzato le interviste su un campione selezionato di 2mila nuclei familiari a cui è stato chiesto di indicare i propri membri prima del 6 ottobre e di dire per ciascuno cosa fosse accaduto dopo», sottolinea l’esperto. Riguardo alla possibile obiezione che la partecipazione al lavoro di sondaggisti palestinesi ne inficerebbe l’imparzialità, risponde senza esitazione: «È un’accusa priva di fondamento. Stiamo parlando di intervistatori professioni e indipendenti, non di autorità locali legate ad Hamas. Abbiamo impiegato uno dei metodi tradizionali per le indagini sociologiche. Così siamo arrivati a oltre 75mila morti». Quasi 20mila di questi sarebbero donne e over 65, altri 22mila sarebbero minori: insieme fanno il 56 per cento. A questi si sommano 8.540 deceduti per effetto indiretto della deflagrazione bellica: fame, freddo, mancanza di cure. Da gennaio, poi, a parte la parentesi di due mesi di cessate-il fuoco, la guerra è andata avanti, facendo – secondo le autorità gazawi – altre 10mila vittime. Data la sottostima da parte di queste ultime e l’accelerazione della mortalità il deterioramento della situazione dopo quasi due anni, il totale potrebbe già avere oltrepassato la soglia dei 100mila uccisi.

Certo, nessuno può dire quanti di questi fossero miliziani. I “danni collaterali” civili sono, comunque, tantissimi. «La guerra di Gaza è tra le più letali del XXI secolo – conclude l’esperto –. Forse la più mortale – non si può dire con certezza perché abbiamo dati di tutti i conflitti – rispetto alla popolazione: oltre il 3 per cento è stata uccisa». Gli ultimi 62, secondo le autorità della Striscia sono stati uccisi, ieri, nei raid su al-Mawasi, al-Bureji e Gaza City. Passato l’effetto “distrazione” dell’offensiva iraniana, le stragi continue fanno crescere l’indignazione, fuori e dentro il Paese. Ieri, in migliaia sono scesi in piazza a Tel Aviv con il Forum dei familiari degli ostaggi per chiedere un accordo che metta fine al conflitto e riporti a casa i 50 rapiti ancora nelle mani di «Hamas, di cui 23 ritenuti in vita. Il momento potrebbe essere propizio con Donald Trump ansioso di “puntellare” la propria narrativa del “grande pacificatore”, dopo la tregua con Teheran. Il presidente Usa ha parlato di un’intesa già la prossima settimana». Un entusiasmo che avrebbe «meravigliato» i vertici israeliani.

Al netto delle esagerazioni del tycoon, qualche spiraglio potrebbe aprirsi. Il Qatar, mediatore insieme all’Egitto, con Hamas ha parlato di «finestra di opportunità» nei colloqui. A giorni è previsto un nuovo round a Doha. «Un incontro serio», hanno affermato fonti del gruppo armato, che hanno espresso disponibilità a valutare una riformulazione del piano americano. L’idea di Trump è includere la pace a Gaza in un quadro regionale di normalizzazione tra i vicini arabi e Israele, in cambio di un vaga apertura di quest’ultima alla questione palestinese. Oltre all’Arabia Saudita, i cosiddetti “Accordi di Abramo” dovrebbero includere la Siria con cui i negoziati sono già in corso, come confermano fonti vicine al governo di Ahmed al-Sharaa. Resta, almeno così sembra, lo scoglio di Netanyahu. Non a caso la rabbia degli israeliani era rivolta, alla manifestazione di Tel Aviv, contro il proprio governo. «Fare in fretta», era uno degli slogan. Per salvare gli ostaggi. E i gazawi.

[Fonte: Avvenire; Foto: Medici Senza Frontiere]