Gli Usa attaccheranno l’Iran?

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Donald Trump apre alla possibilità di intervenire militarmente contro l’Iran che rilancia: “danni irreparabili” se gli Usa attaccheranno. E l’ipotesi spacca i repubblicani. Il punto di Alessia De Luca per l’ISPI.

Gli Stati Uniti stanno valutando un attacco contro l’Iran al fianco di Israele. La notizia, riferita da funzionari dell’Amministrazione al sito Axios arriva nel sesto giorno di guerra e poco dopo la fine di un incontro convocato da Donald Trump con i principali consiglieri nella Situation Room. Negli ultimi giorni gli Stati Uniti hanno rafforzato la loro presenza militare in Medio Oriente, dispiegando ulteriori risorse nella regione, tra cui velivoli per il rifornimento in volo che gli Stati Uniti utilizzerebbero se i loro caccia fossero coinvolti nel conflitto. In particolare, nel mirino di un intervento americano sarebbe l’impianto di arricchimento dell’uranio di Fordow, scavato nel fianco di una montagna e che solo la tecnologia militare americana può arrivare a colpire. Finora tutte le amministrazioni statunitensi, comprese quelle di Trump, hanno sempre respinto le pressioni di Israele per un intervento diretto degli Usa contro il programma nucleare iraniano. Ma dal suo ritorno dal Canada, dove ha partecipato al vertice del G7 Trump sembra aprire alla possibilità secondo il New York Times sta “seriamente considerando” di colpire Fordow. Alla sua richiesta di una “resa incondizionata” da parte dell’Iran, la Guida Suprema Ali Khamenei ha risposto con un messaggio televisivo al popolo iraniano: “Gli americani dovrebbero sapere che qualsiasi impegno militare statunitense provocherà danni irreparabili” ha detto, affermando che l’Iran non si arrenderà mai né a una “guerra imposta” né a una “pace imposta”.

Perché Trump ha cambiato idea? 

A far cambiare idea al presidente americano sarebbe stata la determinazione del governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu. Lo riferisce il NewYork Times, secondo cui nelle ultime settimane, i funzionari dell’amministrazione hanno capito che Netanyahu “stava pianificando un attacco all’Iran con o senza la partecipazione degli Stati Uniti”. E lo stesso Trump ha capito che non sarebbe riuscito a fermare Netanyahu, proprio mentre la lentezza dei negoziati in corso con Teheran “lo stava convincendo che i colloqui non avrebbero portato a nulla”. Inizialmente, il presidente aveva preso le distanze dall’ipotesi di un attacco, aumentando il suo sostegno pubblico man mano che il successo militare di Israele diventava evidente. Al punto che di ritorno dal Canada, Trump ha sconfessato la valutazione che Tulsi Gabbard, capo dell’intelligence americana aveva dato in una testimonianza al Congresso lo scorso marzo, secondo cui – contrariamente a quanto affermato da Israele – l’Iran non stava costruendo un’arma nucleare e il leader supremo Khamenei non aveva autorizzato la ripresa del programma di armi nucleari che aveva sospeso nel 2003, una mossa che avrebbe giustificato un attacco preventivo. “Non mi interessa cosa ha detto” ha tagliato corto Trump . “Penso che fossero molto vicini ad averne uno”. 

Repubblicani divisi su un intervento Usa? 

Mentre aumentano i segnali di un possibile intervento armato al fianco di Israele, a Washington si moltiplicano i malumori. Un’azione armata in Iran infatti, segnerebbe una sorprendente inversione di rotta rispetto all’opposizione dichiarata dal presidente a qualsiasi nuova guerra, da cui Trump aveva esplicitamente promesso in campagna elettorale di “tenere fuori” l’America. Se il vicepresidente JD Vance ha respinto le critiche, sottolineando “la coerenza” del presidente sulla questione, è sempre più evidente che tra i suoi sostenitori la crepa si stia allargando. Da un lato, c’è la base MAGA più radicale per la quale “America First” significa stare fuori dalle guerre e non intervenire in scenari di conflitto neanche per sostenere gli alleati stranieri, come nel caso dell’Ucraina. L’opposizione al coinvolgimento degli Stati Uniti nei cambi di regime e nelle “guerre infinite” che considerano un inutile spreco di risorse, è radicata nella loro identità. Dall’altro lato, ci sono repubblicani e neoconservatori più ‘tradizionalisti’ ossessionati dall’Iran e tutt’altro che restii all’idea di attaccarlo. Sarà Trump a decidere, in ultima analisi, quale parte della coalizione vincerà questa battaglia ma il fatto stesso che esista è un segno del fatto che il movimento di cui è alla guida è animato da idee ed interessi propri. Indipendentemente da come si concluderà lo scontro tra le due anime, diversi attori potrebbero posizionarsi per un panorama politico post-Trump, e questo potrebbe significare la fine della loro cieca obbedienza al presidente.  

La crisi più grave e il presidente più imprevedibile? 

Indipendentemente dai malumori di una parte della base, è difficile che questi si traducano in un vero dibattito all’interno dell’amministrazione. Il presidente è circondato da consiglieri scelti sulla base della loro “fedeltà assoluta” al tycoon e ha costruito attorno a sé un’atmosfera personalistica, quasi settaria. Di conseguenza le decisioni finali ricadono interamente su di lui anche quando il presidente sembra soggetto a intuizioni momentanee e pressioni esterne. Una guerra contro l’Iran – concordano gli osservatori  potrebbe facilmente sfociare in un cambio di regime, il quale a sua volta rischierebbe di trascinare gli Stati Uniti in complesse operazioni di stabilizzazione e ‘nation building’ a cui Trump non sembra affatto interessato. Intanto, tra i repubblicani, mentre alcuni senatori, tra cui Lindsey Graham e Mitch McConnell si mobilitano per sostenere la linea interventista, deputati repubblicani e democratici hanno presentato una risoluzione bipartisan alla Camera per bloccare il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra. E Marjorie Taylor Greene, tra le più devote fiancheggiatrici di Donald Trump dichiara: “Chiunque sbavi affinché gli Stati Uniti siano coinvolti pienamente nella guerra tra Israele e Iran non è America First… Siamo stufi delle guerre all’estero”. Non sembra esagerato affermare che l’attuale crisi sia in assoluto la più grave che Donald Trump abbia affrontato in entrambi i suoi due mandati. Tanto potrebbe decidere di astenersi, tanto che si decida ad agire, convinto che la sua abilità nel concludere accordi lo aiuterà comunque a far quadrare il cerchio. Nell’incertezza, tocca dare ragione a un altro trumpiano di ferro, Tucker Carlson che nelle ultime ore sembra avergli girato le spalle: “Quello che succederà, definirà la sua presidenza”. 

Il commento di Mario del Pero, ISPI e Sciences Po 

“Con un quadro che pare cambiare ogni secondo, e con un Presidente volubile, distratto e soggetto dentro gli Usa a due pressioni differenti – dei falchi filo-israeliani e dei MAGA anti-interventisti – è difficile capire se Washington affiancherà Israele in questo suo attacco all’Iran. Che riflette una chiara volontà egemonica d’Israele in Medio Oriente; che complica i rapporti statunitensi con i paesi del Golfo, Arabia su tutti; che stride con l’ostilità non solo della base trumpiana, ma anche di una chiara maggioranza dell’opinione pubblica statunitense, verso il coinvolgimento degli Stati Uniti in nuovi conflitti mediorientali. E che però è coerente con una concezione neo-imperiale delle relazioni internazionali che Trump, in netta discontinuità con la sua prima esperienza presidenziale, sembra avere pienamente abbracciato”.

[Fonte: ISPI; Foto: Wikimedia Commons/Wikimedia.org/khamenei.ir/CC BY 4.0 Deed]