Guerra Hamas-Israele: come potrebbe allargarsi il conflitto

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La guerra a Gaza e in Israele innalza il livello di tensione in Medio Oriente, ma è complesso prevedere se e come il conflitto possa ampliarsi. Quella che segue è l'analisi di Francesco Petronella per l'Ispi, Istituto per gli Studi di Politica internazionale.

Sin dall’inizio dell’escalation tra Hamas e Israele, iniziata il 7 ottobre scorso, si sono fatti largo timori per un possibile ampliamento del conflitto a livello regionale. Dopo che lo Stato ebraico, a 20 giorni dall’inizio dell’escalation, ha avviato un “ampliamento delle operazioni di terra” nella Striscia di Gaza, ci si chiede come e in quali direzioni potrebbe verificarsi effettivamente un allargamento del conflitto. Tutti gli occhi sono puntati, oltre che sulla Striscia di Gaza, sul fronte nord israeliano, dove il partito-milizia libanese Hezbollah è già impegnato da giorni in una serie di schermaglie con le forze israeliane. Degna di nota anche la possibile apertura di un “fronte del Mar Rosso”, per mano dei miliziani sciiti Houthi dello Yemen, che come Hezbollah e Hamas fanno parte della costellazione iraniana nella regione. Venerdì, secondo episodio nel giro di due settimane, le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno riferito che un aereo da caccia ha intercettato un obiettivo sul Mar Rosso, apparentemente un drone diretto verso Israele, che indica gli Houthi come possibili autori del raid.

Siria: la questione Golan e Hezbollah

La Siria, complice la sua collocazione geografica, è probabilmente l’esempio più calzante di quanto sia aggrovigliata la matassa mediorientale in questo delicato momento storico. Il paese, teatro da 12 anni di uno dei più cruenti conflitti di questo secolo, è il crocevia degli interessi strategici di quasi tutti gli attori coinvolti, per il momento indirettamente, nella crisi in corso: da Israele all’Iran, passando per la Turchia, la Russia e gli Stati Uniti d’America.

Vale la pena ricordare che, politicamente e militarmente parlando, la Siria è l’avversario regionale di più lunga data per Israele. I due paesi sono ufficialmente in uno stato di guerra perenne sin dalla fondazione dello Stato israeliano nel 1948. A differenza di paesi vicini, come Egitto e Giordania, la Siria non ha mai stipulato accordi di pace o di riconoscimento di Israele, che peraltro occupa – secondo le Nazioni Unite – le strategiche alture siriane del Golan. Proprio quest’area potrebbe essere interessata da un possibile allargamento del conflitto.

Operazioni israeliane in Siria

Il regime di Bashar al-Assad è sopravvissuto alla sollevazione popolare del 2011 e alla guerra civile degli anni successivi proprio grazie all’appoggio della Russia e dell’Iran. Milizie filo-Iran, compresi gli Hezbollah libanesi, sono operative in quest’area, tanto che nelle prime settimane di guerra a Gaza le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno colpito infrastrutture militari nella zona di Daraa, nel sud della Siria, dopo che razzi erano stati lanciati verso il Golan. L’agenzia ufficiale siriana SANA parla di otto vittime, tutti militari dell’esercito regolare siriano. Similmente a quanto sta accadendo al confine tra Israele e Libano, dove ci sono stati numerosi “scambi di fuoco” tra IDF e Hezbollah, al momento si tratta di operazioni tit for tat, cioè circostanziate e simmetriche, senza quindi avviare escalation vere e proprie. Ma l’inizio dell’offensiva di terra a Gaza potrebbe cambiare questo stato di cose.

I raid aerei per “spezzare” il corridoio iraniano

Alle “scaramucce” di terra, tuttavia, si accompagna la notevole campagna aerea in Siria da parte di Israele, che non rivendica quasi mai esplicitamente questo tipo di operazione. Da anni lo Stato ebraico mette a segno raid contro Hezbollah e formazioni legate all’Iran in Siria, con l’obiettivo di spezzare il corridoio da cui passano i rifornimenti di armi e attrezzature per la galassia filo-Teheran. Dall’inizio dell’escalation a Gaza, quindi nel giro di due settimane, sono stati colpiti ripetutamente gli aeroporti internazionali di Damasco e Aleppo. Anche in questo caso, le autorità siriane attribuiscono la responsabilità a Israele che non smentisce il proprio coinvolgimento. I dettagli, in ogni caso, sono piuttosto sfumati, ma le tensioni in atto chiamano in causa un altro tassello essenziale del mosaico mediorientale, ossia la Russia.

Pericolo di scontro con la Russia?

Mosca, al pari di Teheran, è molto presente in Medio Oriente e soprattutto in Siria, di cui è un alleato storico dai tempi dell’URSS. I russi controllano la base navale di Tartus – sulla costa occidentale siriana – e quella aerea di Hmeimim (nei pressi di Latakia), da cui hanno condotto negli anni gran parte delle operazioni contro le forze anti-Assad, consentendo un rovesciamento delle sorti del conflitto a favore di Damasco. Fino ad oggi, militari e intelligence di Israele e Russia si sono sempre coordinati per evitare incidenti, cioè che i raid dell’IDF colpissero obiettivi di Mosca. È molto probabile che continuino a farlo e che la “hot line” resti aperta, ma vale la pena evidenziare che la guerra Hamas-Israele ha portato i rapporti bilaterali a un momento di gelo senza precedenti nella storia recente. Tel Aviv ha espresso, soprattutto in via ufficiosa, la sua insoddisfazione per la posizione adottata da Mosca sulla guerra. Il presidente Vladimir Putin ha paragonato le mosse minacciate da Israele contro Gaza “all’assedio di Leningrado” durante la Seconda guerra mondiale.

Come si muove la Turchia?

In tema di tensioni diplomatiche, però, poche posizioni hanno suscitato scalpore quanto quelle della Turchia. Il presidente Recep Tayyip Erdogan, infatti, ha ribadito Hamas è non un’organizzazione terroristica ma “un gruppo di liberazione che combatte per proteggere la propria terra”, suscitando l’ira di Israele e di vari attori internazionali. Ankara è un altro tassello chiave del dossier siriano, dal momento che milizie filo-turche, insieme al gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham, controllano il governatorato nordoccidentale di Idlib, l’unica area rimasta fuori dal controllo del regime di Damasco. Il principale interesse di Ankara in Siria, però, è quello di “contenere” le Unità di protezione del popolo curde (YPG) che la Turchia considera organizzazioni terroristiche, a differenza di Hamas. Ankara si trova in una situazione di “difficile equilibrismo”: se da una parte, infatti, ha normalizzato le relazioni con Israele nel 2022, nella guerra in corso sostiene politicamente Hamas, tanto che i rapporti con lo Stato ebraico sono ai minimi storici.

Cosa fanno gli USA?

Infine, ma non meno importante, in Medio Oriente sono presenti anche gli Stati Uniti d’America, con personale militare dislocato in Siria, Iraq, Kuwait e Qatar. Milizie sciite filo-iraniane in Iraq hanno rivendicato alcuni attacchi contro installazioni statunitensi, in particolare verso la base di Al-Tanf, nel sud della Siria, utilizzata dalla coalizione anti-ISIS a guida americana. Raid con droni sono stati condotti anche contro basi che ospitano personale americano in Iraq. Washington ha risposto con attacchi aerei contro posizioni legate, stando alla ricostruzione del Pentagono, al Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC).

Anche in questo caso, siamo ancora nell’ambito del tit for tat, che vede contrapporsi USA-Israele all’Iran e le sue pedine nell’area. Ma con l’innalzarsi della tensione dopo l’offensiva israeliana su Gaza è difficile prevedere se e quanto questo già precario equilibrio reggerà. Gli Stati Uniti, inoltre, hanno aumentato la loro presenza militare nella zona, con l’invio di 900 unità militari nell’area e lo spostamento – con scopo dichiarato di deterrenza – di navi da guerra e portaerei nel Mar Rosso e nel Mediterraneo Occidentale, per scoraggiare Teheran e attori filo-iraniani a entrare apertamente nel conflitto. Quello che si delinea dopo l’offensiva israeliana a Gaza è dunque uno scenario di crisi a cerchi concentrici, più che lo scontro tra due poli definiti, con interessi e geometrie variabili di cui è complicato prevedere gli sviluppi.

(Fonte: ISPI; Foto: Global Defense Corp)