Guerra in Medio Oriente: l'Onu nel mirino
Nuovi raid a Gaza mentre Israele chiede il ritiro di Unifil dal Sud del Libano. L’Ue condanna (a fatica) le aggressioni ai caschi blu. Questo il punto di Alessia De Luca per l'ISPI.
Mentre l’attenzione internazionale è concentrata sul sud del Libano, dove ieri tank israeliani hanno fatto irruzione in una base di Unifil, continuano i raid sulla Striscia di Gaza e le speranze di un cessate il fuoco sono ridotte al lumicino. Fonti mediche palestinesi, riprese da Haaretz, affermano che almeno dieci persone sono state uccise e 30 ferite, tra cui donne e bambini, in un attacco aereo su un centro di distribuzione di aiuti umanitari nel campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia. Un portavoce della Mezzaluna Rossa palestinese ha affermato che le squadre di soccorso non sono in grado di raggiungere il sito. Intanto, almeno quattro persone sono morte e una quarantina sono rimaste ferite dopo che un bombardamento ha centrato l’ospedale dei martiri di Al-Aqsa nella città Deir al-Balah, causando un incendio che ha coinvolto l’accampamento di tende degli sfollati poco distante. L’ospedale dei martiri di Al-Aqsa stava già lottando per curare un gran numero di feriti provocato da un precedente attacco alla scuola Al Mufti trasformata in un rifugio in cui sono morte almeno 20 persone tra cui numerosi bambini.
L’Europa in cerca di voce?
L’Europa, intanto, cerca di ricompattare la sua posizione sul Medio Oriente. Secondo il quotidiano tedesco Bild, pur senza ammetterlo, il governo tedesco avrebbe bloccato le esportazioni di armi verso lo Stato ebraico per mesi. L’iniziativa, del ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock e del ministro dell’Economia Robert Habeck, entrambi del partito dei Verdi, avrebbe fermato le licenze di esportazione per munizioni essenziali e pezzi di ricambio per carri armati destinati a Israele. Con 326,5 milioni di euro in armi vendute nel 2023, Berlino è di gran lunga il maggior fornitore europeo di armi a Tel Aviv. Ciò significa che l’impegno politico a sostenere militarmente Israele da parte di Washington e, in misura minore, di Berlino è stato fondamentale per sostenere la capacità di Israele di condurre quella che è stata descritta come una delle campagne militari più letali e distruttive della storia. Intanto, il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha esortato gli altri membri dell’Unione Europea a rispondere alla richiesta di Madrid e dell’Irlanda di sospendere l’accordo di libero scambio sulla base del fatto che Israele “potrebbe violare la clausola sui diritti umani” dell’accordo. A Bruxelles, intanto, regna il silenzio ma i 27 – dopo un intero fine settimana di negoziati – sono riusciti a trovare in extremis un accordo per un blando comunicato in cui esprimono “grave preoccupazione sulla recente escalation lungo la linea blu”, e condannano “tutti gli attacchi contro le missioni dell’Onu”.
Ritirare i caschi blu?
Se nei comunicati ufficiali non traspare, la mancanza di una linea comune sul conflitto in Medio Oriente e sugli attacchi contro Unifil sta lacerando l’Unione. La Francia si è unita al coro di Italia e Spagna che hanno definito “inaccettabili” le aggressioni a Unifil e respinto le richieste avanzate dal primo ministro israeliano di ritirare i caschi blu dalle loro posizioni nel paese. Mentre il ministro degli esteri irlandese, Micheal Martin, ha accusato Israele di voler “impedire al mondo di vedere cosa stanno facendo le sue truppe in Libano e a Gaza”, e di lavorare “per indebolire le Nazioni Unite”. Dal Lussemburgo, prima di presiedere i colloqui tra i ministri degli esteri dell’UE, l’Alto Commissario Josep Borrell ha sottolineato che è il Consiglio di sicurezza e non il Segretario Generale dell’Onu che decide se i peacekeepers debbano essere spostati: “Quindi smettetela – ha detto – di dare la colpa al Segretario Guterres”. Attualmente la forza di pace dispiegata nel Sud del Libano ha all’attivo circa 10mila soldati provenienti da circa 50 paesi, tra cui 16 dell’Unione Europea. I maggiori contributori sono l’Indonesia, con 1231 uomini e l’Italia con 1068.
L’Unifil è una linea rossa?
Se l’approvazione di un comunicato congiunto segna un primo timido passo verso una posizione europea unitaria sulle azioni militari di Israele, che gli attacchi a Unifil costituiscano una linea rossa resta tutto da vedere. Soprattutto data la radicale divergenza tra paesi più critici nei confronti dello stato ebraico come Spagna e Irlanda, e quelli più favorevoli: Germania, Austria e Ungheria. Di fatto, a più di un anno dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas a Gaza prima e Israele e Hezbollah in Libano poi, i paesi europei non hanno ancora rilasciato una dichiarazione unanime sul conflitto. Intanto, il premier Benjamin Netanyahu ha ribadito che Unifil deve “evacuare” il sud del Libano, accusando i militari di “fornire uno scudo umano” a Hezbollah. Quella in corso è insieme una prova di forza e un test per l’organizzazione multilaterale, già fortemente indebolita dalle rivalità e dagli scontri internazionali e paralizzata di fatto dai veti incrociati al Consiglio di Sicurezza. Se ora cedesse alle pressioni di Israele – che la scorsa settimna ha dichiarato il Segretario generale Anonio Guterres ‘persona non grata’ – e rimuovesse il personale Unifil dalle sue postazioni ne deriverebbe un danno di immagine difficile da riscattare.
[Fonte e Foto: ISPI]