Guerra Israele-Iran. Testimonianza da Gerusalemme dove la speranza è sottile, ferita ma viva

Da Gerusalemme la testimonianza di Adriana Sigilli, presidente dell’Associazione “Oasi di pace”. In questi giorni 28 tra bambini e ragazzi di Betlemme sarebbero dovuti partire per una settimana di vacanza in Italia organizzata proprio dalla sua associazione. Lo scoppio della guerra tra Israele e Iran ha di fatto bloccato tutto. La cronaca di questi giorni.
Di Adriana Sigilli *, dal Sir
Sono a Gerusalemme per la mia associazione Oasi di Pace perché 28 bambini e ragazzi di Betlemme sarebbero dovuti partire per una settimana di libertà, gioco e condivisione in Italia. Un viaggio, verso l’Italia, per lasciarsi alle spalle la chiusura del muro e due anni di guerra silenziosa. Ma il cielo ha cambiato i nostri piani. Un’altra guerra è esplosa: Israele e Iran, due potenze che si sfidano nel buio della notte. E noi, piccoli e grandi, ci siamo trovati sospesi in questo tempo irreale, dove anche i sogni devono aspettare. Io sono qui. In ascolto in preghiera.
Nel sofisticato sistema di protezione israeliano, il primo segnale arriva ai telefoni cellulari. È come una tromba d’allarme, come nei racconti dell’Esodo: “Fate presto, mettetevi in salvo”. Pochi minuti dopo, quando si individua la direzione dei missili, le sirene cominciano a ‘piangere’ nelle strade. È un suono che ti lacera dentro.
Corriamo nei rifugi preposti. Le famiglie si chiudono nei ‘mamad’, le stanze blindate. Non tutte le case ne sono dotate, e allora ci si rifugia nell’androne del palazzo. Ci stringiamo gli uni agli altri e aspettiamo. Ma anche quando la minaccia passa, il cuore resta sveglio.
L’altra notte, mentre Gerusalemme sembrava essere risparmiata, il cielo sopra di noi si accendeva di bagliori. Sembrava una lotta tra angeli e demoni, una nuova battaglia nei cieli: “Allora vi sarà una grande angoscia, quale mai avvenne dall’inizio del mondo fino a ora” (Mt 24,21). Gerusalemme non è il fronte, ma lo sfiora. Non è colpita direttamente, ma respira la paura.
Gerusalemme una città spezzata, come il velo del Tempio: a Ovest la parte ebraica, a Est quella palestinese. Una ferita visibile e invisibile, che nessun muro potrà mai guarire. Viviamo sospesi tra odio e ignoranza, tra convivenze forzate e silenzi assordanti. Ma anche in mezzo a tutto questo, Gerusalemme resta sacra.
Perché qui si prega, ancora. E forse è proprio questa preghiera che tiene in vita la speranza. “Pregate per la pace di Gerusalemme: vivano sicuri quelli che ti amano” (Salmo 122,6).
Nei giorni scorsi, la città vecchia è stata chiusa. Le sue porte antiche, testimoni di secoli di storia e lacrime, sono state sbarrate. Solo chi dimostra di abitarvi può entrare. Le strade, sia a Est che a Ovest, sono quasi deserte. I mercati un tempo vivi oggi sono muti. Il banco dei falafel alla Porta di Damasco, una volta affollato, serve in silenzio. Le pescherie non aprono. I giovani sono richiamati sotto le armi. E in mezzo a questo silenzio, si rivela una verità semplice e spoglia: la paura non conosce confini.
In questo tempo sospeso, non c’è distinzione tra arabo o israeliano, tra chi prega in una moschea, in una chiesa o in una sinagoga. Sotto le sirene, siamo tutti figli dello stesso timore.
Basta un errore umano, una distrazione, e ci chiediamo se sarà questa volta a toccare noi. “Il vento soffia dove vuole, e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va.” (Gv 3,8) Così è anche la paura: arriva come un soffio invisibile, e ci accomuna tutti. Non ci sono barriere culturali o religiose che tengano davanti alla fragilità della vita.
* Presidente ass. “Oasi di Pace”
[Fonte: Sir; Foto: The International Institute for Strategic Studies]