Israele: Grossman, "non abbiamo più tempo, l’unica scelta è la pace"
L’appello dello scrittore israeliano dal palco di Libri Come, a Roma. “Abbiamo perso la ragione, non sappiamo più chi siamo. Vorrei una vita in pace, in cui poter sentire che il respiro si allarga”.
Di Antonella Palermo
La pace in Medio Oriente trova ancora una porta stretta, strettissima. All’indomani dell’approvazione, da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, della risoluzione che chiede il cessate il fuoco a Gaza e la liberazione immediata e incondizionata degli ostaggi israeliani, non sembra infatti che le rigidità delle posizioni di Hamas e di Netanyahu si siano scardinate. Eppure la pace è l’unica strada. Ne è convinto lo scrittore israeliano David Grossman, che ne ha fatto il titolo del suo ultimo libro edito da Mondadori. In visita in Italia la scorsa settimana, è stato uno degli ospiti più attesi alla quindicesima edizione della rassegna Libri Come, all’Auditorium Parco della Musica, a Roma. “Non abbiamo scelta, né tempo per ripensarci. Il nostro futuro dipende dalla pace che facciamo con i palestinesi”: così ha scandito sabato scorso in dialogo con il curatore Marino Sinibaldi.
Limpido e amaro, ha provato a raccontare lo stato d’animo con cui sta vivendo da Gerusalemme l’esacerbarsi del conflitto: “Sento come se fossi stato percosso dalla realtà”. Il suo Paese è “dilaniato” e lui ne osserva la parabola senza infingimenti, senza girare attorno a quella che avverte come l’urgenza inderogabile, il dialogo. “Abbiamo perso la ragione dei comportamenti. Provo paura e disperazione. È ogni giorno come camminare sopra l’abisso”. Bisogna riprendere un dialogo, ripete, e torna ai brutali attacchi del 7 ottobre, alla “sconfitta” di Israele che ha mostrato tutta la sua vulnerabilità. “Ma a volte – afferma - una sconfitta è il modo migliore per cogliere una opportunità”.
Grossman avverte da tempo l’enorme pericolo innescato dal circuito vizioso della vendetta e in prima persona denuncia la cecità avvelenata dell’ultra destra del governo Netanyahu. “Ci sono delle gradazioni del male, io insisto sempre sulle sfumature”, precisa, lamentando che abbiamo perso il senso di umanità (quella Umanità che quest’anno ha dato il titolo a Libri Come), quella capacità di provare empatia, aspetto tra i più ricorrenti nell’opera dello scrittore. Israele pensa di avere un potere assoluto, ricorda Grossman, lo ha sempre pensato, invece “di colpo ci siamo resi conto che la realtà è più complessa”. Ma è proprio l’indicibilità del male a cui siamo giunti l’aspetto su cui insiste lo scrittore di fronte ad una sala al completo di spettatori-lettori che si sono lasciati andare a quasi una decina di applausi. Ecco, non sappiamo più descrivere cosa accade, dice: “Non sappiamo più chi siamo”. Una sorta di resa della parola, insomma.
“Abbiamo cercato di ignorare i diritti con i palestinesi. Ma una pace vera non si può fare ignorando i palestinesi”, sottolinea, evidenziando tutta l’illusione in cui il popolo israeliano ha vissuto finora. Poi rimarca il pilastro fondamentale della democrazia: il concetto per cui tutti siamo uguali. Dunque, “se ignoriamo i diritti e le esigenze di un altro popolo, è difficile definirci democratici. Ora la nostra democrazia non è più un concetto chiaro, non è piena e non radici salde”. Grossman affonda in quel paradosso cui, come ebreo, sta assistendo: la violazione della “casa” dell’altro. “Il concetto di casa – ricorda - ha sempre animato il popolo ebraico. In tanti, nel corso della storia, non ci hanno accettato. L’idea che dunque occupiamo come coloni una terra altrui è un assurdo. Il nostro compito è porre qui il nostro focolare, sì, ma mentre consentiamo ai palestinesi di avere una casa. Israele, invece, non ha una casa ormai, ma una fortezza”. E conclude tornando sulla questione cruciale: “la pace è essenziale, e non solo per i palestinesi, per i quali non può essere una concessione, ma anche per noi. La pace non è avere paura”.
(Photo Credits: Antonella Palermo)