Israele-Iran: quinto giorno di guerra e un’altra strage a Gaza

Quinto giorno di attacchi incrociati tra Israele e Iran. E mentre da Gaza una distribuzione di cibo si trasforma nell’ennesima strage, Trump gela Teheran: “Arrendetevi”. Il punto di Alessia De Luca per l’ISPI.
Attaccando l’Iran mentre erano in corso i negoziati sul programma nucleare “Israele ha ottenuto la guerra che voleva” ha sentenziato il Time. Ieri, dichiarando in un’intervista con l’emittente Abc News, che uccidere l’ayatollah Ali Khamenei, Guida Suprema dell’Iran “non causerebbe un’escalation” e anzi “porrebbe fine al conflitto” il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha riconosciuto senza troppi giri di parole che il fine ultimo della guerra è la caduta del regime di Teheran. Tra ieri e oggi, rispettivamente quarto e quinto giorno dall’inizio dei bombardamenti, l’Esercito israeliano (Idf) ha rivendicato l’uccisione del capo di stato maggiore Ali Shadmani, che aveva sostituito la settimana scorsa il tenente generale Gholamali Rashid a sua volta ucciso dalle Idf e colpito la tv di Stato Irib a Teheran, causando almeno tre morti e diversi feriti. Per tutta risposta, missili iraniani hanno colpito il quartier generale del Mossad (l’intelligence israeliana) a Herzliya, poco a Nord di Tel Aviv. Intanto, le sirene continuano a suonare nel centro e nel nord di Israele, così come in alcune aree del sud, dove i civili hanno ricevuto l’ordine di entrare nei rifugi antiaerei e rimanervi fino a nuovo avviso. Intanto, fonti dell’intelligence statunitense rivelano che l’Iran non stava attivamente cercando di dotarsi di un’arma nucleare e che ci sarebbero voluti fino a tre anni prima di essere in grado di realizzarne una. Lo riporta la CNN, secondo cui finora, Israele potrebbe aver ritardato il programma nucleare iraniano solo di pochi mesi. Ciononostante, Trump, a bordo dell’Air Force One, ha affermato che una conclusione soddisfacente della guerra potrebbe consistere nella “resa completa” dell’Iran. E ha aggiunto: “Ora non ho molta voglia di negoziare”.
Dal G7 sostegno a Israele?
Mentre la guerra tra Israele e Iran rischia di inghiottire l’intero Medio Oriente, dal Canada, dove si è riunito il vertice del G7 che qualcuno ha ribattezzato “G6+1” (a segnalare che Donald Trump va comunque per fatti suoi), nel comunicato sottoscritto dai leader dei paesi più industrializzati si legge: “Noi, leader del G7, ribadiamo il nostro impegno per la pace e la stabilità in Medio Oriente. In questo contesto, affermiamo che Israele ha il diritto di difendersi. Ribadiamo il nostro sostegno alla sicurezza di Israele. Affermiamo anche l’importanza della protezione dei civili. L’Iran è la principale fonte di instabilità e terrore nella regione. Abbiamo sempre affermato con chiarezza che l’Iran non deve mai ottenere un’arma nucleare”. Nei fatti è una dichiarazione di pieno sostegno a Israele e che non fa nessun accenno ad un cessate il fuoco ma che soddisfa Trump, la cui firma è arrivata mentre era già sul volo di rientro dopo aver lasciato in anticipo il summit. Il presidente americano però non starebbe lavorando a un cessate il fuoco, “perché quello a cui punto è la fine del conflitto”. È stato lui stesso a smentire, attaccando personalmente Macron, reo di aver “erroneamente affermato” che Trump fosse di ritorno a Washington per lavorare a un cessate il fuoco tra Israele e Iran. “Che lo faccia intenzionalmente o meno, Emmanuel sbaglia sempre”, ha scritto il tycoon su Truth.
Trump, l’elefante nella stanza?
L’improvvisa partenza di Trump da Kananaskis per non meglio precisati “impegni” non ha fatto che accentuare la drammaticità di uno scenario globale in tempesta, in cui gli Stati Uniti preferiscono navigare in solitaria piuttosto che con gli alleati. Era già accaduto nel 2018 ma allora le sfide non erano altrettanto numerose e urgenti. Allora, come oggi, è fuor di dubbio che Trump non tenga in alcun conto gli organismi multilaterali e che non apprezzi il punto di vista degli altri membri del G7, a cui ha riservato critiche pungenti appena atterrato nel paese: di fianco al premier Mark Carney, giunto per accoglierlo, Trump ha affermato che è stato un errore rimuovere la Russia dal gruppo nel 2014 e che ciò ha destabilizzato il mondo. Ha anche lasciato intendere di essere aperto all’aggiunta della Cina al G7. Alle critiche destinate agli alleati si contrappone la benevolenza riservata dal presidente americano a Netanyahu a cui – secondo diversi organi di stampa – Trump aveva detto di non volere un’escalation mentre gli Stati Uniti erano impegnati nei negoziati mediato dall’Oman. Trump, nei fatti, è l’unico attore esterno capace di fermare la guerra. Ma non lo sta facendo nonostante gli interessi americani nella regione ne trarrebbero beneficio. Nel complesso, il presidente Usa sembra subire gli eventi più che orientarli: pur non essendo a favore di un’azione militare ha lasciato che accadesse e ha persino approvato Netanyahu, che ora vorrebbe da parte degli Usa un maggior coinvolgimento contro Teheran.
Intanto a Gaza la strage continua?
Intanto a Gaza, pur lontano dai riflettori ora calamitati da quello che Israele ha dichiarato il “fronte principale” del conflitto, la guerra continua e nelle ultime ore si è verificata l’ennesima strage di civili. Secondo un bilancio ancora parziale almeno 51 persone sono rimaste uccise e oltre 200 ferite a est di Khan Younis mentre erano in attesa di ricevere cibo. Testimoni palestinesi hanno riferito all’Associated Press che le forze israeliane hanno effettuato un attacco aereo su un’abitazione vicina prima di aprire il fuoco sulla folla nella città meridionale di Khan Younis. L’esercito non ha risposto alla richiesta di commento. Intanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha chiesto che venga autorizzato l’ingresso di carburante nella Striscia per continuare a far funzionare gli ospedali rimasti, avvertendo che il sistema sanitario del territorio palestinese è “al punto di rottura”. Rik Peeperkorn, rappresentante dell’OMS nei territori palestinesi ha dichiarato che i 17 ospedali parzialmente funzionanti nella Striscia e i sette ospedali da campo funzionavano a malapena con la quantità minima di carburante giornaliero e “presto non ne avranno più”.
Il commento di Valeria Talbot, Head, Osservatorio Medio Oriente e Nord Africa ISPI
A cinque giorni dall’inizio dell’escalation tra Israele e Iran appare sempre più evidente che l’obiettivo del governo Netanyahu è non solo quello di fermare lo sviluppo del programma nucleare iraniano, ma anche di rovesciare il regime degli ayatollah al potere dal 1979. Un obiettivo velleitario che sembra non tenere conto né dei rischi e delle conseguenze di una simile operazione in un paese dal peso demografico e dall’estensione territoriale dell’Iran, né del forte senso di appartenenza nazionale della sua popolazione, né tantomeno degli insegnamenti della storia. Storicamente, infatti, ogni tentativo di cambio di regime con la forza dall’esterno si è dimostrato fallimentare. E l’esperienza del vicino Iraq, a più di vent’anni dall’invasione anglo-americana che ha rovesciato il regime di Saddam Hussein, dovrebbe servire da monito.
[Fonte e Foto: ISPI]