Israele: "la lista degli ostaggi, gioco crudele di Hamas"

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Ci sono i nomi dei piccoli Kfir, 1 anno, e Ariel Bibas, 5 anni, e dei loro genitori, Shiri e Yarden. C’è anche il nome di Liri Albag, la giovane di cui i terroristi palestinesi sabato hanno diffuso un video in cui, dopo 456 giorni di silenzio, dà un segno di vita (nell’immagine). Liri e i Bibas fanno parte dell’elenco di 34 nomi che Hamas sarebbe pronto a rilasciare in cambio di una tregua a Gaza. Una lista diffusa da alcuni media internazionali, ma su cui Gerusalemme ha espresso scetticismo.

«Ad oggi, Israele non ha ricevuto alcuna conferma o commento da Hamas sullo stato degli ostaggi presenti nella lista», ha dichiarato l’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu, citato da Moked/Pagine Ebraiche. Non si sa se le 34 persone – 22 uomini malati, 10 donne e i due piccoli Bibas – siano vive o morte, un elemento che per Israele è imprescindibile per poter acconsentire a un cessate il fuoco.

Le trattative, in corso in Qatar, riguardano solo una parte dei 100 ostaggi prigionieri a Gaza. Secondo Ron Ben-Yishai, giornalista di Yedioth Ahronoth, «contrariamente a quanto afferma Hamas, non esiste un’intesa sul rilascio dei 34 ostaggi menzionati nella lista, né si è vicini a raggiungerla». La lista non è nuova, ma un elenco formulato già nel luglio scorso.

Negli ultimi quindici mesi, sottolinea Ben-Yishai, le famiglie degli ostaggi e l’opinione pubblica hanno alternato momenti di grande speranza a profonda delusione, spesso alimentati da notizie infondate. «Periodicamente, fonti non ufficiali hanno fatto circolare voci di un “accordo imminente” o di “progressi decisivi”, ma la realtà si è dimostrata ben diversa. Spesso, queste dichiarazioni sembrano essere strumenti di pressione politica più che aggiornamenti reali sulle trattative».

Un accordo parziale

Secondo il decano dei corrispondenti di guerra israeliani, Hamas non ha fatto passi indietro sulle sue richieste: la fine del conflitto, il ritiro totale di Israele da Gaza e la liberazione di un numero significativo di prigionieri palestinesi, inclusi molti responsabili di atti violenti. «Israele, dal canto suo, ha scelto di non soddisfare queste condizioni, ritenendole incompatibili con la sicurezza nazionale».

Secondo una fonte di Ben-Yishai, l’attuale negoziato per un accordo parziale rappresenta un’opportunità che potrebbe «non ripresentarsi per molto tempo». Tuttavia, un’eventuale intesa rischia di lasciare «gli altri ostaggi abbandonati al loro destino».

Questa è la paura delle famiglie dei rapiti. Il Forum che le rappresenta ha ribadito la richiesta al governo di trovare un accordo ampio per la liberazione di tutti gli israeliani prigionieri dei terroristi. «Sappiamo che più della metà sono ancora vivi e hanno bisogno di una riabilitazione immediata, mentre coloro che sono stati uccisi devono essere restituiti per avere una sepoltura adeguata», si legge nella nota del Forum.

L’accordo parziale resta, però, la strada ritenuta più plausibile. «Un accordo del genere potrebbe incanalare tutti in quello che viene definito un “recinto”: un percorso a senso unico in cui un accordo conduce inevitabilmente a successivi», commenta Ben-Yishai. «Ma potrebbe anche accadere il contrario, e la maggior parte di noi sa che questa è la probabilità più alta. In altre parole, il piccolo accordo, se mai verrà raggiunto, sarà probabilmente l’unico per un lungo periodo di tempo. Un periodo dopo il quale non è certo se ci sarà ancora qualcuno da liberare».

[Fonte: Moked/Pagine Ebraiche; Foto: Free Malaysia Today/CC BY 4.0 Deed]