L’Egitto contro le deportazioni dei palestinesi

Condividi l'articolo sui canali social

Il doppio standard del Cairo: condanna il genocidio a Gaza, mentre incrementa gli scambi commerciali e i rapporti con Israele. Il regime di al-Sisi teme il potenziale effetto destabilizzante di un eventuale sfollamento in massa di gazawi nel Sinai. La sua vicinanza a Tel Aviv lo rende inoltre un mediatore poco credibile nel conflitto tra Israele e Hamas. Ne riferisce Giuseppe Acconcia su Nigrizia.

Mentre il genocidio con oltre 65mila morti prosegue e non si fermano le operazioni militari a Gaza da parte dell’esercito israeliano (IDF), che fin qui ha occupato il 40% della Striscia, l’Egitto ha fatto finalmente sentire la sua voce in via ufficiale contro la pulizia etnica in corso. In particolare, il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abelatty, si è detto completamente contrario al prosieguo dei raid israeliani su Gaza, opponendosi a qualsiasi espulsione dei palestinesi dai loro territori.

La posizione egiziana contro le deportazioni 

«Non ha senso sostenere che si tratterebbe di migrazione volontaria. I palestinesi devono rimanere nei loro territori», ha commentato Abelatty. «Non vogliono andare via. E perché poi dovrebbero farlo?», ha aggiunto il ministro.

Le dichiarazioni sono arrivate ai margini della visita del commissario generale dell’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA), Philippe Lazzarini, al Cairo. Nonostante il suo ruolo centrale nell’affrontare le crisi che hanno coinvolto i rifugiati palestinesi nei paesi vicini, l’UNRWA è entrata nell’occhio del ciclone per le accuse mosse – rivelatesi infondate – contro alcuni suoi dipendenti da parte delle autorità israeliane, di aver contribuito ad organizzare gli attacchi del 7 ottobre 2023.

Lo scorso 6 settembre il portavoce dell’esercito israeliano, Avichay Adraee, aveva sollecitato i palestinesi di Gaza ad accettare la deportazione di massa nel Sud della Striscia. Secondo il piano israeliano di occupazione, gravemente criticato dai principali organismi internazionali, il Sud della Striscia, incluso l’accampamento di Muwasi e parte di Khan Younis, dovrebbe essere usato come una “zona umanitaria” per i palestinesi che non vorranno lasciare Gaza.

Il piano israeliano implicherebbe di fatto la trasformazione del Sud di Gaza in un campo di concentramento per i gazawi che rimarranno, in completa violazione del diritto internazionale.

Come se non bastasse, sono andati crescendo in queste settimane gli allarmi per la mancanza di cibo, acqua, abitazioni adeguate e un sistema sanitario accettabile per chi rimarrà a Muwasi e Khan Younis, sottoposti ad intensi bombardamenti da quasi due anni.

D’altronde, le promesse statunitensi di una possibile ricompensa in denaro, pari a 5mila dollari, per coloro che vorranno lasciare andarsene, non ha scalfito la resilienza dei palestinesi che dopo la Nakba del 1948 non vogliono lasciare la loro terra perché sanno che non potranno farvi ritorno.

La mediazione egiziana per il cessate il fuoco 

L’Egitto è uno dei principali mediatori nei negoziati tra Israele e Hamas. Negli ultimi colloqui, i negoziatori del Cairo hanno esercitato ulteriori pressioni affinché il movimento islamista accettasse, come ha fatto, la bozza preliminare di tregua, rispedita al mittente da Tel Aviv che persegue l’obiettivo della distruzione completa del movimento che governa Gaza.

Il cessate il fuoco avrebbe potuto portare a una pausa dei combattimenti per 60 giorni e al rilascio di una parte degli ostaggi. *

Esercito egiziano in allerta massima

Dal canto loro, le autorità egiziane continuano a temere che il conflitto non si fermi. E hanno messo in allerta l’esercito. Sono stati dispiegati almeno 40mila uomini nel Nord del Sinai, il doppio rispetto al numero previsto dal Trattato di pace tra il Cairo e Israele del 1979.

La preoccupazione dei militari egiziani, come emerge anche dalle dichiarazioni di Abelatty, è che da un momento all’altro l’occupazione della Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano possa causare la tanto temuta deportazione di massa dei palestinesi oltre il valico di Rafah, chiuso quasi sempre in questi mesi di guerra, nonostante la crescente necessità di aiuti umanitari e di cure per le migliaia di feriti palestinesi.

Già lo scorso gennaio, il governo egiziano aveva ammesso di essere pronto per il peggiore scenario possibile, quello di un’estensione regionale del conflitto a Gaza e del ricorso a un’economia di guerra. Ora anche l’esercito egiziano sarebbe nel “massimo stato di allerta” per ordini diretti che vengono dal presidente Abdel Fattah al-Sisi, dopo la riunione di emergenza del Consiglio supremo delle Forze armate, avvenuta nei giorni scorsi.

Le preoccupazioni egiziane riguardano il piano israeliano di smantellare Hamas e le conseguenze che questo potrebbe provocare in termini di sicurezza nell’intera regione. I militari egiziani sono stati concentrati nella Zona C, al confine con la Striscia.

Per mesi sono andate avanti speculazioni sulla possibilità che le aree di confine con Israele fossero state preliminarmente preparate per accogliere lo spostamento di massa dei palestinesi di Gaza. La chiusura permanente del valico aveva prodotto il business dell’accoglienza che ha permesso solo ai palestinesi più abbienti di riparare in Egitto.

Eppure, questa volta lo spiegamento di forze militari al confine è stato senza precedenti. L’esercito del Cairo parla di “mobilitazione difensiva” ma in realtà sono stati coinvolti carri armati, il sistema di difesa aereo e le forze speciali a Sheikh Zuweid e al-Joura, al confine con la Striscia. Poche settimane fa, era arrivato il messaggio di grande preoccupazione del governatore del Nord del Sinai, Khaled Megawer, per un possibile attacco israeliano in Egitto.

Al-Sisi teme nuove proteste 

A rafforzare le preoccupazioni delle autorità egiziane, è arrivato all’inizio dell’anno il piano di Trump per trasformare Gaza nella così detta “Riviera del Medioriente”. Per il presidente USA, proprio Egitto e Giordania avrebbero dovuto accogliere migliaia di palestinesi, costretti a lasciare la loro terra per realizzare questo progetto immobiliare. Ma il piano è stato rispedito al mittente a più riprese sia dal Cairo che da Amman.

La Lega Araba, proprio per iniziativa dell’Egitto, che ha esercitato in tutte le sedi diplomatiche possibili il suo “soft power” per evitare le deportazioni nel Sinai, ha presentato un piano alternativo per la ricostruzione di Gaza che non prevede lo spostamento forzato dei palestinesi.

“Il trasferimento dei palestinesi non sarà permesso o tollerato. La soluzione non è quella di spostare i palestinesi dalla loro terra”, ha confermato al-Sisi riferendosi alla linea rossa del Cairo, avanzata sin dai primi giorni dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023.

Il senso di ingiustizia e destabilizzazione che lo spostamento dei palestinesi nel Sinai potrebbe provocare è stato più volte confermato dagli egiziani che vivono nella penisola. Parlamentari e leader tribali si sono riuniti ad al-Arish, città del Nord del Siani, lo scorso aprile, per formalizzare la loro opposizione al progetto israeliano. “Non pagheremo la guerra cedendo la sovranità egiziana”, ha sostenuto lo sheikh Salama al-Ahmar della tribù al-tarabin.

La regione sarà invece il centro di grandiosi progetti per la realizzazione di zone residenziali e resort turistici, nonostante le critiche avanzate dalle comunità cristiane che vorrebbero preservare l’unicità del complesso monastico di Santa Caterina.

Repressione degli attivisti

Eppure, le autorità egiziane non tollerano più, nonostante l’iniziale via libera, le proteste a sostegno della causa palestinese. Solo, lo scorso 25 luglio, gli attivisti per la Palestina, Mohsen Mustafa, 27 anni, e Ahmed Wahab, 23 anni, sono scomparsi. I due sono stati accusati di aver preso d’assalto la sede della Sicurezza di stato ad al-Maasara, nel quartiere meridionale di Helwan, al Cairo.

Un video pubblicato su Telegram mostra i due giovani mentre avrebbero tenuto in ostaggio per alcune ore diversi agenti per protestare contro le posizioni egiziane sul conflitto a Gaza. Nel video i giovani hanno chiesto l’apertura del valico di Rafah per permettere il passaggio degli aiuti umanitari e hanno denunciato la condizione di carestia in cui vivono i palestinesi sotto assedio. Il ministero dell’Interno ha negato l’autenticità del video, nonostante le conferme arrivate da vari gruppi egiziani per la difesa dei diritti umani sull’episodio.

Pochi giorni prima, si erano svolte manifestazioni alle porte delle ambasciate egiziane nelle capitali europee. L’iniziativa è partita dopo il gesto simbolico dell’attivista Anas Habib, all’ingresso dell’ambasciata del Cairo ad Amsterdam, contro la chiusura del valico di Rafah. Lo scorso giugno, anche la Global March to Gaza che doveva portare attivisti di varie parti del mondo dal Cairo al valico di Rafah è stata fermata dall’intervento delle autorità egiziane.   

Crescono i rapporti commerciali tra Israele ed Egitto 

Tuttavia, l’Egitto continua ad essere un mediatore poco equilibrato e completamente appiattito a favore delle posizioni israeliane. Infatti, nonostante la guerra e le dichiarazioni ufficiali delle autorità cairote, i rapporti commerciali tra Israele ed Egitto continuano a fiorire.

Gli ultimi dati ufficiali egiziani che parlano di un incremento del 50% nella prima metà del 2025 negli scambi bilaterali. In particolare, l’incremento riguarda i settori del cemento, dei fertilizzanti e dell’alimentare, toccando i 159milioni di dollari, secondo l’Israel Central Bureau of Statistics. 

Come al solito, l’accordo più importante tra Egitto e Israele ha riguardato il settore energetico. Lo scorso 8 agosto è stata siglata un’intesa per un valore di 35miliardi di dollari che triplica le importazioni di gas da Israele dal terminal Leviathan. Si tratta del più grande accordo in materia di gas della storia israeliana.

I nuovi accordi aggravano la dipendenza egiziana dal gas israeliano mentre crescono i fabbisogni energetici per la popolazione egiziana. Non solo, il governo ha provato a fare fronte alle necessità energetiche incrementando le importazioni di gas naturale liquefatto (GLN) che cresceranno di 19 miliardi di dollari quest’anno. Eppure, secondo il quotidiano indipendente Mada Masr, l’Egitto pagherà il 14,8% in più per il gas israeliano rispetto al passato.

Tuttavia, restano non poche incognite sul completamento del gasdotto che renderebbe possibile l’incremento delle forniture di gas israeliano. La pipeline dovrebbe essere completata nel 2026 per collegare i porti israeliani di Ashdod e Ashkelon. Tuttavia, il progetto ha subìto ritardi a causa della guerra in corso a Gaza.

* Poi l’attacco israeliano a Doha, in Qatar, e l’uccisione di rappresentanti di vertice di Hamas hanno fatto saltare le possibilità di accordo.

[Fonte e Foto: Nigrizia]