L’escalation in Libano ‘dirotta’ l’Assemblea Onu
Nuovi raid sul Libano, mentre al Palazzo di vetro a New York va in scena la frustrazione del Sud Globale contro Israele e gli Usa. Questo il punto di Alessia de Luca per l'ISPI.
Continua senza sosta la campagna di bombardamenti israeliani sul Libano dove, nel terzo giorno dall’inizio dei raid, il bilancio ha già superato le 600 vittime – tra cui 50 bambini e i 1800 feriti. Intanto, lunghe colonne di auto intasano da ore le principali arterie che da sud portano verso il centro e il nord del paese e secondo le autorità il numero di sfollati in fuga ha già superato il mezzo milione. Le milizie sciite di Hezbollah hanno risposto all’aggressione con salve di razzi e, per la prima volta, un missile a lungo raggio che ha fatto scattare le sirene antiaeree a Tel Aviv e in tutto il centro di Israele. Non ci sono al momento segnalazioni di vittime o danni, sebbene due persone sarebbero state ferite lievemente quando i razzi hanno colpito un kibbutz nel nord di Israele. L’escalation ha attirato l’attenzione dei leader del mondo riuniti all’Onu sulla crisi in corso nella regione che, estendendosi al Libano, rischia di sfociare in un conflitto totale. Il Consiglio di Sicurezza ha convocato una riunione d’emergenza nelle prossime ore, mentre avvicendandosi sul palco della 74esima Assemblea Generale, molti oratori hanno espresso rabbia e frustrazione per un’esplosione di violenza che l’Onu, lacerata dalle divisioni e dallo scontro tra potenze sembra incapace di arginare. “Molte persone sono venute alle Nazioni Unite sperando in uno scenario favorevole per la de-escalation – ha detto ai giornalisti il primo ministro irlandese Simon Harris – Invece stiamo assistendo, ora dopo ora, a un’escalation fuori controllo”. È in questo contesto che domani il premier Benjamin Netanyahu si recherà a New York per pronunciare il suo discorso all’Onu. La sua visita, già fortemente divisiva, potrebbe essere gravata anche da un imminente mandato di arresto da parte della Corte penale internazionale.
Israele sempre più isolato?
Praticamente tutti i leader mondiali intervenuti martedì hanno chiesto la fine della guerra tra Israele e Hamas a Gaza, e dei combattimenti lungo il confine nord tra Israele e Libano. E se alcuni, nei loro interventi hanno definito “inaccettabile” l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso in cui quasi 1200 israeliani sono stati uccisi, l’impressione generale è che con la sua rappresaglia che ha causato finora la morte di almeno 41mila persone Israele abbia oltrepassato ogni segno. La retorica in molti casi è stata “intensa”, riferisce Politico: il presidente del Brasile, Ignacio Lula da Silva, ha definito le azioni di Israele contro i civili palestinesi “una ingiustificabile punizione collettiva”, il leader della Colombia ha definito quello in corso a Gaza “un genocidio” e la Turchia ha persino paragonato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ad Adolf Hitler suggerendo che altri paesi dovrebbero unirsi per fermare gli israeliani con la forza, se necessario. Termini come ‘crimini di guerra’ e ‘colonialismo’ sono riecheggiati nei discorsi di diversi capi di stato, il cui disappunto era rivolto anche agli Stati Uniti, sebbene in pochi abbiano menzionato direttamente Washington, per il loro sostegno a Israele.
La difficile eredità di Joe Biden?
Nel suo discorso di commiato dalla Scena internazionale, anche il presidente americano Joe Biden ha parlato della drammatica situazione in Medio Oriente. “Ci sono cose più importanti che rimanere al potere”, ha dichiarato, accennando al suo ritiro dalla corsa per un nuovo mandato alla Casa Bianca e ha insistito sul fatto che “una guerra generalizzata” non è nell’interesse di nessuno e che “una soluzione diplomatica” è sempre possibile. Biden ha ricordato poi l’accordo di cessate il fuoco elaborato con Qatar ed Egitto ed approvato dal Consiglio di sicurezza, ma rimasto lettera morta, rivendicando i molteplici tentativi di Washington di frenare l’escalation. Tuttavia, il bilancio della sua politica riguardo la guerra a Gaza presenta numerose zone d’ombra: di fatto, in quasi un anno di conflitto, la Casa Bianca si è rivelata incapace di fermare le violenze che stanno travolgendo anche il Libano. Ma soprattutto – secondo diversi osservatori e analisti – gli Stati Uniti non hanno neanche mai fatto ricorso a strategie di pressione, diplomatiche o militari, per convincere l’alleato israeliano ad accettare un cessate il fuoco. Il sostegno di Biden a Benjamin Netanyahu anche nelle sedi Onu, inoltre, ha messo in luce i doppi standard degli Stati Uniti, contribuendo a erodere l’influenza americana agli occhi dei paesi del cosiddetto ‘Sud Globale’.
Onu in crisi di legittimità?
Dopo quello del presidente Usa forse l’intervento più atteso all’Assemblea era quello di Masoud Pezeshkian. Nella sua prima visita a New York dopo la sua elezione, il presidente iraniano ha descritto “l’inazione” delle Nazioni Unite nei confronti di Israele come “insensata e incomprensibile” e ha espresso a Guterres la sua preoccupazione per la diffusione del conflitto. “Sappiamo più di chiunque altro che se dovesse scoppiare una guerra più grande in Medio Oriente, non gioverebbe a nessuno nel mondo” ha dichiarato, ribadendo che non è l’Iran ma Israele che “cerca di allargare questo conflitto”. Anche re Abdallah II di Giordania non ha fatto mistero della sua rabbia nei confronti di Israele e i suoi alleati occidentali, il cui comportamento – ha detto – “mette in crisi di legittimità” l’Onu. “Non sorprende che sia dentro che fuori questa sala, la fiducia nei principi e negli ideali fondamentali dell’Onu stia crollando” ha detto Abdallah denunciando implicitamente i doppi standard criticati da così tanti paesi del Sud, “scioccati” dal fatto che la Striscia di Gaza non goda dello stesso sostegno riservato all’Ucraina dopo l’invasione russa. “La dura realtà che molti vedono oggi – ha insistito il sovrano – è che alcune nazioni sono al di sopra del diritto internazionale”.
Il commento di Ugo Tramballi, ISPI Senior Advisor
“Negli anni ’70 in Medio Oriente Henry Kissinger parlava con tutti. Il segretario di Stato Antony Blinken non può trattare con due protagonisti della crisi: Hamas e Hezbollah, considerate organizzazioni terroristiche. Il successo di un negoziato dipende dal rispetto dei valori morali di chi lo conduce, ma anche da una dose di realismo. Seicento morti in gran parte civili libanesi, in un solo giorno di bombardamenti, dimostrano che Israele applica la stessa logica di Gaza: l’unica cosa che conta è uccidere il nemico. Accusare i terroristi di farsi scudo della loro stessa popolazione, non attenua la colpa di chi comunque quella popolazione la bombarda”.
[Fonte e Foto: ISPI]