L’Iran lancia missili sulla base Usa in Qatar

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Teheran risponde all’attacco USA contro i suoi siti nucleari: lanciati alcuni missili contro la base Usa in Qatar. E di fronte all’escalation innescata da Donald Trump, i paesi europei si scoprono ancora una volta impreparati. Il punto di Alessia De Luca per l’ISPI.

L’Iran ha lanciato diversi missili balistici contro la base statunitense in Qatar. Lo riferisce il sito Axios citando fonti israeliane. Intanto forti esplosioni si sarebbero verificate a Doha, capitale del regno secondo Reuters. E mentre tra Teheran e Washington la tensione è alle stelle, ancora una volta l’Europa si scopre impreparata di fronte al suo principale alleate, gli Stati Uniti di Donald Trump. Il bombardamento dei siti nucleari di Natanz, Isfahan e Fordow, nella notte tra sabato e domenica, non era stato coordinato con nessuno dei 27, che non erano stati nemmeno allertati preventivamente, come si usa tra alleati. La decisione di procedere contro il programma nucleare della Repubblica Islamica è arrivata dopo giorni di dichiarazioni contraddittorie in cui Trump alternava minacce contro l’Iran a preoccupazioni sul fatto che un attacco potesse trascinare gli Stati Uniti in una guerra prolungata. Eppure, giovedì scorso – lo stesso giorno in cui aveva annunciato che avrebbe concesso a Teheran due settimane per tornare al tavolo delle trattative – fonti diplomatiche europee sostengono che a Washington la decisione fosse “già stata presa”. Ovvero: gli Usa sapevano già che avrebbero attaccato mentre a Ginevra i vertici diplomatici di Regno Unito, Francia e Germania (il cosiddetto formato E3), assieme all’alto rappresentante Ue per la Politica Estera Kaja Kallas, incontravano il Ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, che al momento dell’attacco americano si trovava in Turchia. Quest’ultimo non si è lasciato sfuggire l’occasione per lanciare una frecciatina all’Europa: “La settimana scorsa eravamo nel pieno dei negoziati con gli Stati Uniti quando Israele ha deciso di far saltare la diplomazia” ha detto. “L’altro ieri abbiamo avuto colloqui con i paesi dell’E3 (Gran Bretagna, Francia e Germania) e con l’Unione Europea quando gli Stati Uniti hanno deciso di far saltare la diplomazia. Qual è quindi la conclusione? Per la Gran Bretagna e l’Ue è l’Iran che deve ‘tornare’ al tavolo. Ma come possiamo tornare a un tavolo che non abbiamo mai lasciato –  e che non siamo stati noi a ribaltare?”.

I 27 ai margini, ancora una volta? 

Come già accaduto più volte negli ultimi mesi, gli europei un tempo protagonisti nei negoziati nucleari con Teheran, si trovano marginalizzati, costretti a subire le conseguenze di decisioni prese dall’amministrazione Usa, con scarso margine di manovra per influenzarne l’esito. Anche se nessuno di loro ha formalmente condannato la decisione del presidente americano di unirsi agli attacchi israeliani, la frustrazione degli europei è palpabile. “Si sentono ingannati” ha spiegato al quotidiano israeliano Ha’aretz un funzionario europeo, secondo cui le capitali del Vecchio continente avevano preso sul serio la dichiarazione della Casa Bianca della scorsa settimana, che offriva una finestra di opportunità diplomatica. Ora, invece, le capitali del continente temono il rischio di un’escalation ancora più grave in Medio Oriente, l’aumento di flussi migratori alle frontiere e possibili attentati sul proprio territorio. L’opzione diplomatica è più incerta che mai, complicando qualsiasi forma di coinvolgimento europeo. “Trump vuole la sua vittoria e non vuole permettere a nessun altro di reclamare nemmeno una briciola di successo. Non gli piace affatto vedere gli europei tentare mediazioni” ha confidato a Le Monde un diplomatico che ha aggiunto: “L’odio per l’Europa è uno dei pilastri dell’amministrazione americana”.

Che futuro per la Nato?  

La posizione europea è resa ancora più complessa dal contesto: alla vigilia del vertice NATO del 24 e 25 giugno all’Aia, nei Paesi Bassi, e dopo che il presidente americano ha lasciato il vertice del G7, nessuno osa sfidare gli Usa, il cui sostegno resta cruciale mentre la guerra in Ucraina prosegue. Soprattutto, c’è il timore che l’interventismo americano in Iran – alleato di Mosca – si rifletta sullo scenario ucraino: mentre gli occhi del mondo sono concentrati sul nuovo fronte di guerra in Medio Oriente, il Cremlino continua senza sosta l’offensiva sul paese invaso. La notte scorsa la Russia ha lanciato 352 droni e 16 missili contro Kiev. I nuovi attacchi hanno causato almeno sette morti nella capitale e nella regione, mentre i feriti sono più di 19, secondo Ukrainska Pravda. Intanto Kiev ha già visto sistemi di difesa aerea a lei destinati, essere dirottati su Israele per volontà americana. Eppure, il vertice punterà soprattutto “ad evitare e prevenire una possibile crisi fra Trump e gli alleati europei” dice a ISPI Antonio Missiroli secondo cui al summit “si parlerà poco o niente di Ucraina (a differenza degli ultimi anni), molto della necessità di rafforzare le capacità militari collettive e, più sottovoce, di come ridurre gli oneri dell’Alleanza per Washington. Ma il dibattito sul futuro della NATO – in un contesto strategico sottoposto a shock sempre più frequenti – è destinato a continuare”. 

Europa in crisi morale? 

L’attacco americano all’Iran ha messo all’angolo gli europei anche nei confronti di Israele e del baratro rappresentato dalla guerra nella Striscia di Gaza. I 27 avevano timidamente iniziato a cambiare toni nei confronti dell’assedio umanitario imposto alla Striscia da quasi tre mesi, cominciando per la prima volta a segnare una distanza tra l’approccio statunitense e quello del Vecchio continente nei confronti dello Stato ebraico. Francia e Arabia Saudita avevano pianificato una conferenza sulla soluzione dei due Stati, che avrebbe potuto portare al riconoscimento da parte di Parigi dello Stato palestinese. E Bruxelles aveva accettato di considerare una revisione dell’accordo di associazione con Israele, che, alla luce dei crimini di guerra commessi nella Striscia, avrebbe potuto portare alla sospensione degli scambi commerciali preferenziali con Tel Aviv. L’iniziativa di Netanyahu prima, e quella di Trump poi, di bombardare l’Iran ha di fatto arrestato questo cambio di rotta. Il primo a riallinearsi agli Usa, con una dichiarazione discutibile e molto controversa, è stato Friedrich Merz quando ha detto che “Israele fa il lavoro sporco per tutti.” Non solo il cancelliere tedesco ha gettato un’ombra ambigua sulla posizione dell’Europa, ma ha lasciato implicitamente intendere che le accuse di ‘doppi standard’ spesso rivolte al continente sono vere. Il rischio per l’Unione è di trasformarsi da alfiere del diritto e delle relazioni internazionali basate su regole condivise a gregario che sostiene politiche aggressive, fondate sull’uso esclusivo della forza.  

Il commento di Paolo Magri, presidente Comitato Scientifico ISPI

“Obliteration: con questo termine Trump ha descritto i danni irreparabili inflitti al nucleare iraniano con l’intervento americano di sabato. Al momento non c’è certezza, come dichiarato dagli stessi vertici militari Usa. Sono invece già certi altri danni, altre “obliteration”: quelli/e alla credibilità di questa amministrazione in qualsivoglia tavolo negoziale, dai dazi alle guerre. Trump è stato imbrogliato da Netanyahu mentre negoziava con Teheran o imbrogliava l’Iran mentre dava il via libero all’attacco di Israele? Ha concesso due settimane per far ripartire il negoziato o per finalizzare l’attacco a sorpresa? E ora: si aspetta davvero una resa o punta al regime change? Con questi precedenti molti leader del mondo potrebbero esitare in futuro a sedersi al tavolo con lui per avviare un negoziato di qualsiasi tipo. Una pessima notizia per tutti”.

[Fonte e Foto: ISPI]