Medio Oriente: dentro la guerra

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Nuovi bombardamenti su Beirut e Yemen, e mentre in Libano parte l’invasione di terra, Netanyahu punta a imporre un ‘nuovo ordine’ in Medio Oriente. Questa l'analisi di Alessia De Luca per l'ISPI.

L’uccisione di Hassan Nasrallah non ferma l’offensiva israeliana. Mentre in Libano la comunità sciita piange il leader del Partito di Dio, ucciso venerdì in un massiccio raid aereo, è partita nelle ultime ore l'offensiva di terra da parte delle forze israeliane. ieri intanto il quartiere di Dahiyeh della capitale libanese è tornato sotto il fuoco dei bombardamenti. Nella mattina un attacco a Beirut, effettuato tramite un drone, ha provocato il crollo di diversi palazzi non lontano dal frequentatissimo incrocio di Kola, dove microbus e taxi collettivi si radunano per raccogliere i passeggeri. Era la prima volta che Israele colpisce il centro di Beirut in quasi 20 anni. Finora gli attacchi delle forze armate israeliane (Idf) si erano limitati ai suoi sobborghi meridionali. Nell’esplosione sono rimasti uccisi tre esponenti di spicco del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp), un gruppo associato a una serie di dirottamenti aerei di alto profilo negli anni ’70. L’attacco ha scatenato il panico tra i residenti, alimentando dubbi su quali aree di Beirut siano ancora al sicuro. Intanto le nazioni Unite confermano che sono oltre 100mila i civili libanesi che hanno attraversato la frontiera per rifugiarsi in Siria, mentre oltre un milione di persone, un quinto della popolazione, sono ufficialmente sfollate. Il bilancio delle vittime è persino più drammatico. In meno di due settimane sono già più di mille i libanesi uccisi e 6mila i feriti. E domenica sera Israele ha lanciato un’ondata di attacchi aerei contro obiettivi Houthi nello Yemen , alimentando i timori di uno scivolamento verso un devastante conflitto regionale su più fronti.

Dalla Palestina al Libano allo Yemen?

“La vittoria sarà nostra”: Hezbollah si è espresso per la prima volta dalla conferma dell’uccisione di Nasrallah attraverso le parole del vicesegretario generale del movimento Sheikh Naim Qassem, che in un discorso televisivo ha accusato Israele di commettere “massacri di civili con il pieno supporto degli Stati Uniti”. Qassem ha affermato che Hezbollah continuerà a combattere, nonostante la perdita di alcuni leader e dello stesso Nasrallah “a sostegno della Palestina e di Gaza e in difesa del nostro popolo libanese”. Intanto, domenica sera, Israele ha sferrato il più massiccio attacco di lungo raggio contro lo Yemen che ha coinvolto decine di aerei e ha preso di mira impianti di rifornimento di carburante, centrali elettriche e banchine nei porti di Ras Issa e Hodeidah. I residenti hanno affermato che gli attacchi hanno causato interruzioni di corrente in varie zone del paese. Il raid ha preso di mira i ribelli Houthi, che da mesi ormai colpiscono obiettivi israeliani e prendono di mira le spedizioni internazionali nel Mar Rosso, in solidarietà con i palestinesi di Gaza. Sabato, il movimento ha rivendicato un attacco missilistico all’aeroporto internazionale di Tel Aviv, dove stava per atterrare l’aereo del premier Benjamin Netanyahu.

Chi fermerà Israele?

“Il nostro messaggio è chiaro: nessun posto è troppo lontano”, ha detto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant dopo gli attacchi. Parlando alle truppe schierate nel nord di Israele, inoltre, il ministro ha lasciato intendere che un’invasione di terra del Libano, uno scenario che i cittadini temevano da settimane, poteva essere ormai imminente: “Useremo tutte le nostre capacità - ha detto Gallant ai militari - compresi voi”. In Israele, la rapida evoluzione del conflitto sembra avere aver avuto effetti dirompenti anche sulla politica interna. Due giorni fa l’ex rivale di Netanyahu e leader del partito New Hope, Gideon Saar, ha annunciato la sua intenzione di entrare a far parte del governo israeliano. L’inclusione di Saar – che ricoprirà il ruolo di ministro senza portafoglio – porta da 64 a 68 il numero di rappresentanti governativi alla Knesset, il parlamento israeliano composto da 120 seggi, indebolendo di fatto il potere di veto che i partiti di estrema destra hanno sul governo. Il suo ingresso nell’esecutivo potrebbe contribuire a risolvere una delle più grandi sfide politiche che la coalizione dovrà affrontare nei prossimi mesi: approvare una nuova legge sulla coscrizione militare, dopo che a giugno la Corte Suprema israeliana ha stabilito che lo Stato deve iniziare ad arruolare nell’esercito gli studenti ebrei ultra-ortodossi. La questione ha lacerato la coalizione di Netanyahu, che fa affidamento su due partiti ultra-ortodossi che si oppongono alla coscrizione obbligatoria.

Un ‘nuovo ordine’ in Medio Oriente?

Con la leadership di Hezbollah decapitata, l’Iran che sembra restio ad intervenire a sostegno dei suoi proxies, l’Europa paralizzata e gli Stati Uniti che non danno alcun segno di voler intimare il cessare il fuoco, la tentazione per Israele diventa sempre più allettante. Un’invasione di terra del Libano, in questo contesto, risulta persino una scelta 'logica' se si vuole garantire, come il governo israeliano sostiene, il ritorno a casa dei residenti sfollati dalle località del nord. Ma c’è di più. Netanyahu, lo ha detto chiaramente parlando di un’opportunità per “cambiare l’equilibrio di potere nella regione per anni” infliggendo a quello che chiama “l’asse del male” - Iran, Hamas, Hezbollah, le milizie in Iraq e Siria e gli Houthi nello Yemen - un colpo formidabile. Il tutto nella consapevolezza che un tale epilogo sarebbe accolto con compiacimento anche in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti. Lo scenario però è carico di rischi: intanto non è detto che Hezbollah, pur ferito, non sia in grado con il suo ingente arsenale di colpire le città israeliane infliggendo pesanti danni alla popolazione civile. E poi, entrando in Libano, Israele può ora ritrovarsi invischiato in un pericoloso pantano. Nel tentativo di imporre un nuovo ordine, il rischio di precipitare nel caos è altissimo.

Il commento di Eleonora Ardemagni, ISPI Senior Associate Research Fellow 

“Israele bombarda le infrastrutture di Hodeida, porto dell’omonima città yemenita sul Mar Rosso controllata dagli houthi, per indebolire la capacità del gruppo di attaccare obiettivi in Israele e nel Mar Rosso, nonché di finanziarsi tramite tasse portuali e contrabbando di petrolio iraniano. Gli houthi, già politicamente e militarmente sopravvissuti a dieci anni di bombardamenti della coalizione guidata dall’Arabia Saudita e, più di recente, di americani e britannici, intendono sfruttare al massimo il fronte mediorientale per consolidare il loro 'stato' nel nord ovest del paese, nonché il ruolo di attori regionali. Anche trattando, mediante l’Iran, la fornitura di missili dalla Russia. Giocando senza freni sul piano regionale e internazionale, gli houthi stanno consegnando lo Yemen alla crisi permanente. Trasformandolo nel nuovo teatro di scontro fra interessi esterni”.

[Fonte: ISPI; Foto: EurActiv/UNHCR]