Medio Oriente: ultimatum a Israele?

Gli Stati Uniti paventano lo stop agli aiuti militari se Israele non consentirà l’ingresso di aiuti a Gaza. Ma non è chiaro se alle parole seguiranno fatti e intanto nel nord della Striscia la carestia è alle porte. Questo il punto di Alessia de Luca per l’ISPI.
Gli Stati Uniti avvertono Israele che potrebbe incorrere in sanzioni, tra cui l’eventuale blocco dei trasferimenti di armi, se non agirà immediatamente per far entrare più aiuti umanitari a Gaza. In una lettera congiunta resa nota da Axios e inviata domenica scorsa ai massimi funzionari israeliani, il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin e il segretario di Stato Antony Blinken hanno delineato una serie di misure che l’amministrazione Biden si aspetta che Israele adotti nei prossimi 30 giorni. In quello che appare come un inedito ultimatum al governo di Benjamin Netanyahu, la Casa Bianca intima a Israele di adottare “azioni urgenti e sostenute” per invertire il deterioramento delle condizioni umanitarie nella Striscia o ad affrontare “implicazioni” politiche non specificate. La missiva, di quattro pagine è indirizzata al ministro della Difesa Yoav Gallant e a Ron Dermer, ministro degli Affari strategici. La lettera, datata 13 ottobre, è stata inviata il giorno in cui il presidente Joe Biden ha autorizzato il Pentagono a schierare un sistema antimissile avanzato in Israele per rafforzarne le difese, insieme a 100 soldati per gestirne le operazioni. Secondo un rapporto della Brown University, gli Stati Uniti – in assoluto il principale fornitore israeliano – hanno approvato almeno 17,9 miliardi di dollari di aiuti militari a Israele dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.
Un monito poco convincente?
Pur avendo sollevato ampia eco, tuttavia, i dubbi sull’efficacia delle pressioni americane permangono. Finora infatti il governo di Netanyahu ha più volte ignorato le richieste dell’alleato statunitense e nel corso dei mesi ha superato, una dopo l’altra, tutte le ‘linee rosse’ che il dipartimento di Stato aveva, seppur vagamente, tracciato. All’indomani della missiva, inoltre diversi commentatori fanno notare come la scadenza fissata dai funzionari Usa – 30 giorni – cada ‘opportunamente’ all’indomani del voto per le presidenziali. Più in generale, la tempistica del monito americano, a meno di un mese dalle elezioni e alla luce dello scontento crescente per il sostegno a Israele registrato tra gli elettori arabo-americani in alcuni stati cruciali come il Michigan – sta alimentando interrogativi sulla reale volontà di Washington di esercitare pressioni su Tel Aviv. La mossa, comunque, è stata fortemente criticata dall’American Israel Public Affairs Committee (Aipac) un gruppo di pressione noto per il forte sostegno allo Stato ebraico, secondo cui minacciare di interrompere il sostegno a Israele mentre affronta l’Iran “indebolisce il nostro alleato, mina gli interessi americani e invia un messaggio pericoloso ai nostri nemici comuni”.
Gli Usa chiedono un cambio di passo?
Il portavoce della sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha affermato che la lettera non intende essere una minaccia, ma “vuole semplicemente ribadire il senso di urgenza che sentiamo e la serietà con cui lo sentiamo, riguardo alla necessità di un aumento, un aumento drammatico dell’assistenza umanitaria”. Nella lettera si lamentano “i ritardi negli aiuti finanziati dagli Stati Uniti ai punti di attraversamento di Gaza” e si afferma che il flusso di aiuti nel territorio, devastato dalla guerra, è diminuito di oltre il 50% da quando Israele aveva promesso lo scorso marzo di consentire maggiori consegne. A settembre, come rilevato con estrema preoccupazione anche dalle organizzazioni umanitarie il flusso di aiuti entrati nella Striscia di Gaza è crollato ai livelli più bassi mai registrati dall’inizio del conflitto. “Siamo particolarmente preoccupati che le recenti azioni del governo israeliano […] stiano contribuendo a un deterioramento accelerato delle condizioni a Gaza”, affermano i firmatari della lettera, che chiede una serie di misure specifiche tra cui l’ingresso di almeno 350 camion di aiuti al giorno nell’enclave e l’istituzione di “pause umanitarie” nell’attività militare. Austin e Blinken chiedono anche l’istituzione, entro la fine di ottobre, di “un nuovo canale in cui possiamo sollevare e discutere incidenti con danni ai civili”, osservando che “i nostri impegni fino ad oggi non hanno prodotto i risultati necessari”.
Cos’è il ‘Piano dei generali’?
È in un contesto già allarmante che lunedì, quattro organizzazioni per i diritti umani — Gisha, B’Tselem, PHR-I e Yesh Din — hanno denunciato “segnali allarmanti” sul fatto che Israele stia “silenziosamente” iniziando ad attuare una strategia di isolamento totale del nord della Striscia di Gaza, e hanno chiesto alla comunità internazionale di fermarlo. Il cosiddetto ‘Piano dei generali’ riferisce il FT prevede che Israele ordini ai civili di lasciare il nord di Gaza verso altre zone dell’enclave e poi dichiari il nord zona militare chiusa. Coloro che non se ne vanno saranno considerati obiettivi militari e saranno tagliati fuori dalle forniture di cibo, acqua e medicine. Concepito per aumentare la pressione su Hamas affinché liberi i 101 ostaggi israeliani tuttora detenuti a Gaza, il piano sarebbe stato presentato il mese scorso alla commissione di difesa del parlamento. Ma i gruppi per i diritti umani affermano che molti civili non sarebbero in grado di abbandonare il nord e che, anche se lo facessero, non ci sarebbe nessun posto sicuro dove andare. L’ufficio del premier Netanyahu ha rifiutato di commentare le accuse. “Le persone che non possono fuggire o chiunque scelga di restare, non perdono il loro status di non combattenti – afferma Tania Hary, direttrice esecutiva di Gisha -Continuano a essere civili. E Israele ha ancora l’obbligo di proteggerli e di seguire le regole del diritto umanitario internazionale”.
Il commento di Gianluca Pastori, ISPI associate research fellow
“Sul piano formale, la lettera inviata dal Segretario di Stato Blinken e da quello alla Difesa Austin al governo israeliano segna una netta svolta rispetto alle cautele che hanno caratterizzato la politica USA dopo i fatti del 7 ottobre 2023. Quanto sia credibile la possibilità adombrata nel messaggio di una sospensione degli aiuti militari a Israele resta comunque da stabilire, così come resta da stabilire il peso che le autorità di Gerusalemme vorranno dargli, tenuto conto che l’imminenza delle elezioni del 5 novembre e l’incertezza che circonda gli esiti del voto smussano molto la credibilità dell’iniziativa statunitense. La lettera chiede, inoltre, alle autorità dello Stato ebraico di impegnarsi solo sul fronte umanitario, senza entrare nel merito dell’attuale situazione politico-militare. A livello concreto, sembra quindi difficile che essa possa portare alla auspicata de-escalation (anche se varie fonti concordano nell’affermare che potrà in qualche modo influire sulle scelte del governo Netanyahu) o marcare un effettivo aumento dell’esposizione di Washington in un teatro che resta politicamente sensibile soprattutto per il Partito democratico”.
[Fonte: ISPI; Foto: Oxfam Italia]