Medio Oriente: un altro venerdì di sangue

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Nuovi raid israeliani su Beirut e sul Libano, e da Teheran la Guida Suprema Ali Khamenei invita i paesi musulmani a unirsi: “Israele nemico comune”. Questo il focus di Alessia De Luca per l'ISPI.

Proseguono i bombardamenti israeliani sul Libano, dove i quartieri del centro di Beirut sono stati nuovamente presi di mira mentre l’esercito israeliano ha ordinato alla popolazione di più di 30 villaggi nel sud di evacuare immediatamente e dirigersi a nord. Colpita anche la strada che porta al valico di Masnaa, il principale punto di passaggio con la vicina Siria, che in questi giorni era stato attraversato da migliaia di libanesi in fuga dalle violenze. Ieri le forze armate israeliane avevano accusato i miliziani di Hezbollah di utilizzare il valico per introdurre clandestinamente armi nel Paese e avvertito che avrebbero agito per impedire al gruppo di rifornirsi. Secondo le statistiche del governo di Beirut, più di 300mila persone – la stragrande maggioranza delle quali siriane – hanno attraversato il confine dal Libano alla Siria negli ultimi 10 giorni per sfuggire ai bombardamenti. Inoltre, il ministero della Salute libanese afferma che 37 persone sono state uccise negli attacchi aerei e terrestri israeliani nelle ultime 24 ore, mentre il bilancio delle ultime due settimane ha superato i 2mila morti. Sull’altro fronte, le Forze di difesa israeliane (Idf) affermano che circa 20 razzi sono stati lanciati dal Libano verso l’area di Haifa, mentre altri sarebbero stati lanciati verso la Galilea. La maggior parte di questi è stata intercettata, mentre altri hanno colpito aree aperte.

Il successore di Nasrallah nel mirino?

Quello della notte scorsa a Beirut, secondo fonti locali, è stato il bombardamento più massiccio mai sferrato sulla capitale dall’inizio del conflitto. Secondo il New York Times, nel mirino dei caccia israeliani c’era il cugino e presunto successore di Hassan Nasrallah, il leader del gruppo paramilitare sciita ucciso dalle bombe israeliane a Beirut il 27 settembre. Hashem Safieddine si sarebbe trovato in un bunker sotterraneo nel quartiere di Dahiyeh per un incontro con altri leader di Hezbollah. Se la sua uccisione nei bombardamenti venisse confermata sarebbe un altro, durissimo e inaspettato colpo al cuore del movimento, alle prese con grandi difficoltà organizzative e logistiche, come confermerebbe – secondo diversi analisti – la scelta azzardata di riunire i propri vertici con il rischio concreto di esporli agli attacchi di Israele. “Probabilmente in questo momento il gruppo non ha opzioni migliori – spiega alla Bbc David Wood, analista dell’International Crisis Group, secondo cui dopo l’attacco con i cercapersone e l’evidente penetrazione dell’intelligence israeliana nel gruppo, “i leader di Hezbollah sono costretti ad incontrarsi faccia a faccia, e dove altro possono andare se non a Dahiyeh?” Il quartiere è noto per avere profondi cunicoli sotterranei sotto di sé. Ma quei bunker sono stati creati in un momento in cui Hezbollah riteneva di avere una capacità di deterrenza sufficiente a scoraggiare Israele dal colpire i suoi massimi dirigenti. “Quella deterrenza è evaporata” dice Wood, secondo cui quello attuale è “un vero momento spartiacque per Hezbollah come organizzazione”.

Khamenei esorta i musulmani contro “il nemico comune”?

Dall’Iran intanto la Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha guidato oggi la preghiera del venerdì e ha tenuto un sermone nella grande moschea di Teheran. Il suo intervento, preceduto da una ‘cerimonia di commemorazione’ in ricordo di Hassan Nasrallah, è un evento piuttosto raro e si tiene in un contesto di crescente escalation con Israele e alla vigilia del primo anniversario dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. La Guida Suprema della Repubblica islamica, ha rivendicato l’attacco contro Israele, definendolo “il minimo indispensabile rispetto ai crimini commessi dal regime israeliano” e ha precisato che “se necessario, colpiremo di nuovo”. Khamenei si è rivolto alla folla leggendo il suo breve discorso in piedi tenendo accanto un fucile. “Ogni nazione ha diritto all’autodifesa contro gli aggressori” ha proseguito, invitando i paesi musulmani “dall’Afghanistan allo Yemen, dall’Iran a Gaza e al Libano” ad unirsi contro “il comune nemico”. Dopo il lancio di missili da parte dell’Iran questa settimana, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Teheran ha “commesso un grosso errore” e che “ne pagherà le conseguenze”. Secondo l’agenzia di stampa semi-ufficiale iraniana SNN, se Israele dovesse attaccare, i pasdaran risponderebbero prendendo di mira gli impianti energetici israeliani.

I paesi arabi vogliono la de-escalation?

Mentre la Guida suprema pronunciava il suo sermone, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi arrivava in Libano per una visita non annunciata. Araghchi ha dichiarato su X di essersi recato a Beirut per testimoniare il sostegno dell’Iran al Libano e invitare “anche gli altri governi regionali a mostrare fermezza nel loro sostegno al Libano, soprattutto in mezzo all’assalto del regime israeliano”. Un riferimento, neppure troppo velato all’attendismo fin qui mostrato dai paesi arabi del Golfo che negli ultimi anni nell’ambito degli Accordi di Abramo hanno aperto alla normalizzazione con Israele pur senza garanzie sulla questione palestinese e che ora, alla luce della crisi in atto, potrebbero essere ‘tentati’ dalla prospettiva di una crisi che indebolirebbe la Repubblica Islamica. Anche per questo, e sulla scorta delle preoccupazioni che un’escalation più ampia delle violenze possa arrivare a minacciare i loro impianti petroliferi, i membri del Consiglio di cooperazione del Golfo, che comprende Emirati Arabi Uniti , Bahrein , Arabia Saudita, Oman , Qatar e Kuwait , “hanno cercato di rassicurare l’Iran sulla loro neutralità” riguardo al conflitto, riferisce Reuters. Finora Teheran non ha minacciato gli impianti petroliferi del Golfo, ma ha avvertito che se i “sostenitori di Israele” intervenissero direttamente, i loro interessi nella regione sarebbero presi di mira. Con il rischio che l’escalation – se non sarà arginata – travolga anche il recente processo di riavvicinamento tra Riad e Teheran.

[Fonte e Foto: ISPI]