Netanyahu contro Bar (e contro tutti)

Il licenziamento del capo dello Shin Bet da parte del governo è l’ultimo atto eversivo di una battaglia di Benjamin Netanhyahu contro chiunque si contrapponga tra lui e il potere. Questo il punto di Alessia De Luca per l’ISPI.
Con un colpo di mano senza precedenti nella storia di Israele il governo di Benjamin Netanyahu, riunitosi in seduta d’urgenza durante la notte, ha licenziato il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, dichiarando di “non avere più fiducia” in lui. I rapporti tra Bar – nominato dal precedente governo israeliano guidato da Yair Lapid – e Netanyahu sono sempre stati tesi, ma le cose sono precipitate con la pubblicazione, il 4 marzo scorso, di un rapporto sui fatti del 7 ottobre 2023. Nel documento, lo Shin Bet pur riconoscendo i propri fallimenti nel prevenire il peggior attacco terroristico nella storia del Paese – messo a segno da Hamas e costato la vita a 1200 persone – ha denunciato “una politica di silenzio che ha permesso ad Hamas un massiccio rafforzamento militare” e accusato l’ufficio del primo ministro di aver occultato informazioni e prove che dimostravano come l’esercito avesse avvertito il governo ore prima dell’inizio degli attacchi. E non è tutto: i più stretti collaboratori del premier sono sospettati di intimidazione nei confronti dei testimoni e manipolazione dell’opinione pubblica poiché, durante le settimane in cui Netanyahu rifiutava ogni pressione per un cessate il fuoco, avrebbero fatto trapelare documenti falsi alla stampa che mostravano come Hamas cercasse di manipolare le famiglie degli ostaggi per convincere Israele a scendere a compromessi. Le rivelazioni hanno alimentato l’impressione che il premier sia ricorso ad ogni mezzo per distogliere l’attenzione dai suoi fallimenti, puntando alla propria sopravvivenza politica, anziché alla difesa e alla stabilità del paese. Questa impressione è rafforzata dal fatto che per anni Netanyahu ha rifiutato di dimettersi nonostante i numerosi processi per corruzione e frode che lo vedono imputato.
Netanyahu, Bar e il conflitto di interessi?
Bar, che non ha partecipato alla riunione del gabinetto che ha votato per esautorarlo, ha dichiarato che la decisione era “interamente macchiata da conflitti di interesse” e guidata da “motivi completamente estranei e inaccettabili”. Non è la prima volta che Israele assiste ad uno scontro diretto tra il capo dello Shin Bet e il governo di Netanyahu. Già nel 2023, dopo il ritorno di Netanyahu alla guida del paese grazie al sostegno dell’ultradestra, Bar avvertì l’allora ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir, che l’azione della polizia a Gerusalemme Est stava alimentando un sentimento di “punizione collettiva” tra i residenti palestinesi. Ha poi più volte denunciato come il “terrorismo ebraico” da parte dei coloni stesse contribuendo ad alimentare il “terrorismo palestinese”. Nel rapporto pubblicato a inizio mese dallo Shin Bet, inoltre si sottolinea come tra i fattori che hanno portato Hamas alla decisione di lanciare l’attacco, ci sarebbero state le visite dei politici israeliani al complesso di Al Aqsa a Gerusalemme, il trattamento dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane e la percezione che “la società israeliana si stesse indebolendo a causa dello sgretolamento sociale”. L’inchiesta riecheggia le conclusioni di un articolo del New York Times pubblicato settimane dopo l’attacco, e basato su interviste con funzionari israeliani, che citavano le proteste oceaniche che per mesi avevano paralizzato Israele contro la riforma della giustizia. Nelle ultime settimane, inoltre, l’agenzia stava indagando sul cosiddetto scandalo ‘Qatargate’ secondo cui alcuni stretti collaboratori di Netanyahu avrebbero accettato ingenti somme di denaro dall’Emirato – ritenuto uno dei principali sponsor di Hamas – per promuovere gli interessi di Doha nel paese.
La piazza contro il premier?
Il capo dell’intelligence militare interna di Israele è stato silurato nonostante le proteste di massa in corso nel paese da tre giorni, da parte di attivisti e cittadini che manifestano contro quello che assume sempre più i contorni di un attacco alla sicurezza e alla democrazia israeliana. “Il governo ha approvato all’unanimità la proposta del primo ministro Benjamin Netanyahu di porre fine al mandato del direttore dell’ISA [Agenzia per la sicurezza israeliana] Ronen Bar” si legge in una nota trasmessa stamattina dall’esecutivo, secondo cui Bar lascerà l’incarico quando sarà nominato il suo successore, o al più tardi entro il 10 aprile. Contro la decisione del governo si è schierata poco fa la procuratrice generale di Israele. Gali Baharav-Miara – una fervente critica di Netanyahu e lei stessa sottoposta a procedura di licenziamento – ha sostenuto che il signor Bar non può essere licenziato senza prima una valutazione formale sulla legittim. Negli ultimi tre giorni, i dimostranti che protestavano contro il licenziamento di Bar si sono uniti ai familiari degli ostaggi scesi in piazza contro la decisione di riprendere i combattimenti a Gaza, rompendo un cessate il fuoco durato due mesi, mentre 59 israeliani sono ancora detenuti nel territorio palestinese. Secondo il ministero della Salute di Gaza, negli ultimi tre giorni, i bombardamenti israeliani hanno ucciso almeno 592 persone, tra cui soprattutto donne e bambini. Anche la ripresa delle ostilità nella Striscia, dopo una tregua di 50 giorni, secondo i critici di Netanyahu, risponderebbe all’interesse del premier nel portare avanti una “guerra infinita” pur di restare il potere.
Netanyahu come Trump?
Sotto la cortina fumogena dell’intensificarsi della guerra nella Striscia di Gaza, quello che il primo ministro israeliano persegue ormai chiaramente – denuncia oggi Ha’aretz in un editoriale – “è un assalto alla democrazia israeliana”. Da giorni Netanyahu sta martellando i ministri sulla necessità di seguire l’esempio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e del suo ‘stratega’ Elon Musk nel contrastare “lo stato profondo” che manovrerebbe contro gli interessi del paese. Il primo ministro lo ha detto in un video in cui ha condannato il “deep state” e adulando Trump per convincerlo che “la nostra lotta è la stessa”. La rimozione del capo dello Shin Bet, in quest’ottica, non dovrebbe essere vista come un caso isolato. Ma, come sottolinea Amichai Cohen, professore di legge e membro dell’Israel Democracy Institute, “come parte di una campagna volta a queste agenzie indipendenti e aumentare a dismisura il potere dell’esecutivo”. Il procuratore generale, l’Alta Corte di Giustizia e forse un inaspettato risveglio dell’opinione pubblica israeliana restano l’ultima linea di difesa contro la deriva autoritaria sempre più evidente di un premier israeliano braccato dalla giustizia in patria e ricercato all’estero per crimini di guerra e contro l’umanità.
Il commento di Anna Maria Bagaini, Associate Research Fellow ISPI
“Il licenziamento di Bar non è che un ulteriore passo del primo ministro e del suo governo verso la realizzazione di un preciso disegno politico: un Israele in cui le istituzioni chiave siano sempre più indebolite e inefficaci nell’affiancare e bilanciare l’operato dell’esecutivo. Questo processo è iniziato con la riforma giudiziaria, continuato con il discredito dell’esercito, l’esorcizzazione di Halevi e ora il licenziamento di Bar. Netanyahu gioca d’azzardo nel tentativo di mantenere il potere con alle spalle un processo, numerosi scandali di corruzione e un’inchiesta di stato sul 7 ottobre che non vuole aprire. Questo gioco sta mutando profondamente Israele e assomiglia sempre di più ad un colpo di stato, portato avanti con interventi amministrativi, ma pur sempre un colpo di stato”.
[Fonte e Foto: ISPI]