Onu: il giorno della Palestina

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A New York si apre l’80ª Assemblea Generale dell’Onu: il riconoscimento della Palestina mette in evidenza la frattura crescente tra Israele, Stati Uniti e gran parte della comunità internazionale. Il punto di Alessia De Luca per l’ISPI.

La questione del riconoscimento di uno Stato di Palestina tiene banco all’80esima Assemblea generale delle Nazioni Unite, in corso da domani e fino al 29 settembre al Palazzo di Vetro. Anche se in cima all’agenda ci sono i conflitti a Gaza, in Ucraina e Sudan, l’Assemblea si tiene in un momento di forti pressioni internazionali e mentre l’esercito israeliano avanza con le truppe di terra su Gaza City, demolendo edifici e infrastrutture e provocando centinaia di morti che si aggiungono agli almeno 65mila causati in quasi due anni di bombardamenti. La crisi umanitaria e la carestia provocate da Israele nella Striscia hanno infiammato l’opinione pubblica in molti paesi del mondo e la scorsa settimana una commissione indipendente delle Nazioni Unite ha rilevato prove evidenti di genocidio a Gaza, riecheggiando le valutazioni delle principali organizzazioni internazionali e israeliane per i diritti umani. Ieri, alla vigilia dell’incontro alle Nazioni unite, Regno Unito, Canada, Australia e Portogallo – storicamente Paesi vicini a Israele – hanno annunciato che riconosceranno formalmente la Palestina, allineandosi con gran parte dei Paesi membri dell’Assemblea che lo hanno già fatto. Questa sera si terrà la Conferenza di Alto Livello sulla soluzione a due Stati, convocata da Francia e Arabia Saudita, e la Ministeriale Esteri informale del G7, convocata dalla presidenza di turno canadese. Per il presidente francese Emmanuel Macron riconoscere oggi lo Stato di Palestina “è l’unico modo di fornire una soluzione politica ad una situazione che deve finire”. Ma l’Europa è divisa: Germania, Italia, Grecia, Ungheria e Paesi Bassi non aderiranno al riconoscimento di uno Stato palestinese “prima della sua costituzione” e arriveranno un giorno dopo la Conferenza. La scommessa, rivela un diplomatico europeo al quotidiano Politico, era che Israele avrebbe ceduto di fronte all’aumento della pressione internazionale nei suoi confronti, “ma finché Israele avrà il sostegno degli Stati Uniti e del loro Iron Dome, il timore è che non cambi nulla”.

Un’ondata di riconoscimenti?

Quella che probabilmente sarà la più significativa ondata di riconoscimenti per lo Stato di Palestina da oltre un decennio riflette l’orrore causato nelle opinioni pubbliche internazionali per la catastrofe umanitaria causata dalla campagna israeliana di 23 mesi contro Hamas a Gaza. Il conflitto ha gettato parte della Striscia nella carestia e ha suscitato accuse – che Israele respinge – di genocidio. Ma gli annunci hanno già provocato la risposta furiosa dei vertici israeliani: “Ho un messaggio chiaro per quei leader che riconoscono uno Stato palestinese dopo l’orribile massacro del 7 ottobre – ha detto il premier Benjamin Netanyahu – ​​state dando una ricompensa enorme al terrorismo” ha detto, aggiungendo: “E ho un altro messaggio per voi: non accadrà. Uno Stato palestinese non verrà creato a ovest del fiume Giordano”. Intanto, il ministro delle finanze ultranazionalista Bezalel Smotrich, egli stesso un colono, ha ribadito la sua richiesta che Israele annetta immediatamente la Cisgiordania, che Israele ha sottoposto a occupazione militare dal 1967. “I giorni in cui il Regno Unito e altri Paesi determinavano il nostro futuro sono finiti” ha dichiarato Smotrich. Le sue parole sono state riprese dal ministro di estrema destra Itamar Ben-Gvir, che ha chiesto lo “smantellamento completo” dell’Autorità Nazionale Palestinese, e dai ministri del partito Likud di Netanyahu, tra cui il ministro della Difesa Israel Katz.

Asse Washington-Tel Aviv?

Che all’Assemblea Generale quest’anno si aprisse sotto il segno delle divisioni era chiaro fin da prima che cominciasse: il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas, interverrà con una dichiarazione registrata dopo che gli Stati uniti hanno deciso di negare i visti di ingresso ai rappresentanti palestinesi, e le Nazioni Unite, per tutta risposta, hanno approvato una risoluzione per consentire ai funzionari di partecipare comunque, anche se da remoto. Fino ad ora oltre 147 Stati membri dell’Onu hanno riconosciuto lo stato di Palestina e si prevede che altri, tra cui il Regno Unito e la Francia, faranno altrettanto. Il loro voto è particolarmente importante in quanto Londra e Parigi insieme a Cina, Russia e Usa, fanno parte dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu con diritto di veto. Più caute Roma e Berlino, hanno detto di considerare il riconoscimento della Palestina “prematuro” senza l’assenso israeliano. Gli Stati Uniti, il più stretto alleato di Israele, non hanno commentato la decisione degli alleati di riconoscere uno Stato palestinese, ma il presidente Donald Trump ha già chiarito di essere assolutamente contrario: proprio questo mese al Congresso degli Stati Uniti è stata notificata una vendita a Tel Aviv per 6 miliardi di dollari di armi, tra cui decine di caccia F-15, jet da combattimento F-35, elicotteri, aerocisterne di rifornimento aereo, munizioni e bombe. Inoltre, Trump ha più volte incoraggiato i desideri della destra israeliana di conquista e insediamento di Gaza vagheggiando un piano per trasformare l’enclave in una nuova ‘Riviera’ sul Mediterraneo, piena di hotel di lusso e progetti abitativi costruiti dopo una presunta “emigrazione volontaria” dei palestinesi che, secondo gli esperti, equivarrebbe a una pulizia etnica .

Israele verso un ‘momento Sudafrica’?

La difficoltà per la comunità internazionale di arrivare a una soluzione a due Stati senza la collaborazione di Stati Uniti e Israele è evidente, ma rimane il fatto che mai prima d’ora l’Onu e i Paesi membri si erano espressi in modo così netto al fianco della Palestina. Sul campo, le condizioni necessarie per la nascita di uno stato palestinese di fatto non ci sono: in Cisgiordania gli insediamenti israeliani proliferano, mentre l’offensiva su Gaza City ha costretto già oltre 300mila persone a fuggire dalla città per cercare riparo in un’enclave dove non ci sono più posti sicuri. Ma i diplomatici ritengono che il riconoscimento della Palestina, sia lo strumento migliore in questo momento per proteggere la soluzione dei due Stati. Per quanto questo sia vero, promuovere il miraggio di uno Stato palestinese senza intraprendere azioni concrete per fermarne l’annientamento in corso oggi sarebbe ipocrita e controproducente. Se è vero che l’isolamento di Israele sembra aggravarsi, lo è anche il fatto che nessuno finora abbia minacciato iniziative tangibili come la rottura delle relazioni diplomatiche, boicottaggi economici, sportivi e culturali. Molti citano l’esempio del Sudafrica, dove il regime di apartheid fu smantellato anche grazie alla censura e alle sanzioni internazionali. “Il Sudafrica dell’apartheid non cambiò idea da solo – ricorda l’attivista e giornalista Nour Odeh – ma fu costretto a prendere decisioni molto realistiche per sopravvivere”.

Il commento di Paolo Magri, Presidente del Comitato Scientifico ISPI

“Il riconoscimento delle Palestina non è certo la soluzione della crisi di Gaza”. Le parole con cui il primo ministro Carney ha dato l’annuncio della decisione canadese non lasciano dubbi sul significato primariamente simbolico del riconoscimento. La durezza con cui Netanyahu ha reagito non lascia parimenti alcun dubbio sull’irritazione di Tel Aviv per la decisione, presa contestualmente da tre paesi del Commonwealth (Regno Unito, Australia e Canada) tradizionalmente vicini a Israele, dai primi tre membri del G7 (Francia, Regno Unito e Canada) e che porta a ben 150 i paesi che ora riconoscono la Palestina. L’isolamento cresce, ormai con il solo sostegno di Trump, Milei, Orban e poche isole del pacifico e sempre più si parla di “momento Sudafrica” per Israele: anche gli annunci primariamente simbolici pesano e possono fare la differenza”.

[Fonte: ISPI: Foto: Vatican News]