Parole alla Casa Bianca, bombe su Gaza City

Israele stringe la morsa attorno a Gaza City, mentre negli Stati Uniti Trump presiede una riunione sul “dopoguerra”. Anche se non è chiaro come e quando finirà il conflitto. Il focus di Michele Bertelli per l’ISPI.
“Evacuare Gaza City è inevitabile.” Questo il messaggio che mercoledì il portavoce dell’esercito israeliano Avichay Adraee diramava ai palestinesi che avevano trovato rifugio nella più grande città della Striscia di Gaza, mentre i bombardamenti contro quello che rimane della capitale dell’enclave si intensificano. L’operazione – decisa a inizio agosto dal governo israeliano per “sconfiggere Hamas” e “concludere la guerra” – mira a un’occupazione permanente della città. La situazione sanitaria all’interno è però già drammatica. “Se le forze di occupazioni invadessero Gaza City, saremmo testimoni di un massacro,” ha dichiarato il direttore dell’ospedale al-Shifa, Mohammed Abu Salmiya, ad Al Jazeera, sottolineando che sono a corto di qualunque dispositivo medico e le sale operatorie iniziano a scarseggiare. Nel frattempo, l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale è stata galvanizzata da un incontro tenutosi alla Casa Bianca fra il presidente Trump, l’inviato speciale statunitense per le missioni di pace Steve Witkoff, il genero di Trump, Jared Kushner, il Segretario di stato Marco Rubio e l’ex primo ministro britannico Tony Blair. Durante la riunione era stato anticipato che si sarebbe discusso “un piano molto complessivo” per il futuro della Striscia. Ma dalle indiscrezioni sembra essere stato deciso ben poco. E le lancette corrono per evitare che la carestia in corso si estenda: Joyce Msuya, la vicecoordinatrice per le Emergenze delle Nazioni Unite, ha infatti avvertito il Consiglio di sicurezza che un fallimento “avrà conseguenze irreversibili”, chiedendo “un’immediata e sostenuta fine delle ostilità per prevenire ulteriori perdite di vite umane e fermare la fame dall’espandersi.” Con la sola eccezione degli Stati Uniti, tutti i membri del Consiglio di Sicurezza hanno chiesto un cessate il fuoco immediato e duraturo.
Un “piano complessivo” senza Hamas per la Striscia?
“Pensiamo di chiudere questa guerra in un modo o nell’altro entro la fine dell’anno.” Con queste parole, Witkoff si era rivolto martedì al canale televisivo conservatore Fox News, annunciando una riunione sul futuro di Gaza per il giorno successivo. Mercoledì Trump ha così tenuto un lungo meeting a cui hanno partecipato – secondo quanto appreso dal New York Times – Kushner, Rubio e Tony Blair, oltre che a Witkoff. Di cosa sia stato discusso, però, si sa ben poco. Il sito di informazione Axios è riuscito a sapere che sia Blair che Kushner avrebbero presentato a Trump dei piani per il dopoguerra, e che nella riunione si è valutato come aumentare gli aiuti alimentari a Gaza. Al centro del dibattito ci sarebbe poi stata la possibile forma di governo della Striscia in un futuro senza Hamas. Witkoff, Kushner e Blair starebbero infatti ragionando da mesi su un assetto per il futuro di Gaza. Sempre Axios ha ricostruito che Blair avrebbe incontrato l’inviato speciale statunitense una prima volta a luglio, e successivamente avrebbe visto il presidente palestinese Mahmoud Abbas. Ma né Kushner, né Blair hanno voluto rilasciare dichiarazioni ufficiali. Per ora, gli unici indizi provengono dall’intervista concessa da Witkoff il giorno prima, in cui l’Inviato chiariva che sia gli Stati Uniti che Israele desiderano che Hamas – il gruppo militante islamista che ha governato la Striscia dal 2007 – non abbia “nulla a che vedere con l’amministrazione” alla fine del conflitto, ma anche che è aperto a discutere “la definizione di Hamas a Gaza dopo la guerra”. Contattata dal Times of Israel, la Casa Bianca ha però sminuito la portata della riunione, descrivendolo come un “un semplice incontro politico”.
E il piano arabo?
Nel frattempo, anche i Paesi arabi hanno però iniziato a muoversi per un futuro senza Hamas. Il Wall Street Journal ha scoperto che centinaia di palestinesi hanno iniziato ad addestrarsi in Egitto per formare una forza in grado di garantire la sicurezza della Striscia. Secondo quanto appreso dal quotidiano statunitense, molte delle reclute apparterranno ai Servizi di sicurezza dell’Autorità Palestinese (ANP) in Cisgiordania, ma alcune potrebbero anche essere parte di Fatah, il partito palestinese secolare e oppositore di Hamas. L’iniziativa fa seguito al cambio di posizione dei 22 Paesi della Lega Araba, che a luglio avevano chiesto ufficialmente ad Hamas di disarmarsi e porre fine al suo controllo della Striscia. Un piano per installare però forze di sicurezza provenienti dall’ANP incontrerebbe l’opposizione di Israele, che non vuole l’Autorità coinvolta nel governo della Striscia. E anche un rappresentante di Hamas contattato dal Journal ha bocciato la proposta araba di una forza internazionale, sostenendo che personale non palestinese non sarebbe mai accettato a Gaza.
L’assedio si stringe
Mentre negli Stati Uniti si parla del futuro post-guerra, Israele ha intensificato i bombardamenti su Gaza City. Secondo Reuters, circa metà della popolazione della Striscia, in questo momento, ha trovato rifugio in città. L’esercito israeliano ha dichiarato che le proprie forze starebbero operando nella vicina Jabalia – a 4 km da Gaza City – e nella periferia per “smantellare infrastrutture terroristiche ed eliminare i terroristi”. Secondo Al Jazeera, negli ultimi giorni bombardamenti e spari di carro armato hanno colpito i sobborghi a est della città di Sabra, Shujayea e Tuffah, oltre a Jabalia. Il giornalista Hani Mahmoud ha però denunciato che bombardamenti costanti stanno prendendo di mira le aree dove ai residenti è consigliato di cercare rifugio. “È come se stessero stringendo le persone in una morsa proprio nel mezzo di quest’area a Gaza City,” ha scritto. Secondo la milizia difensiva locale, 1500 case sono poi state completamente distrutte nel quartiere di Zeitoun, centro storico della città. E il ministero della salute di Gaza denuncia che 71 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano nelle ultime 24 ore, mentre altri quattro sono morti per fame. Questo porta il numero dei palestinesi uccisi durante la guerra a quasi 63.000. Tanto che anche i lavoratori delle Nazioni Unite iniziano a fare pressioni perché si inizi a parlare ufficialmente di genocidio: in una lettera indirizzata all’Alto Commissario per i Diritti Umani Volker Turk, centinaia di funzionari sostengono, secondo Reuters, che i criteri legali della sua definizione siano ormai stati macabramente raggiunti.
Il commento di Sara Isabella Leykin, ISPI MENA Centre
“Dopo settimane in cui l’attenzione di Trump si era spostata sugli altri fronti internazionali e questioni interne, l’incontro di ieri alla Casa Bianca per il futuro di Gaza sembra riportare la guerra nella Striscia al centro delle priorità del presidente statunitense. Sebbene non vi siano state dichiarazioni su quanto affrontato durante i colloqui, l’incontro per un piano post-guerra non può non far ritornare alla mente degli osservatori ancora una volta l’irricevibile “riviera di Gaza”, progetto che prevedrebbe il trasferimento dei palestinesi nei paesi confinanti e la trasformazione della Striscia in una Costa Azzurra medio-orientale. Anche se alla fine la trasformazione di Gaza in una zona di resort a cinque stelle appare poco improbabile, un piano post-conflitto proposto da Trump risulta paradossale mentre le forze israeliane si preparano ad ampliare la loro offensiva in vista dell’occupazione di Gaza City, proprio con l’assenso del presidente statunitense. Trump continua ad essere l’attore con più leve su Netanyahu. Tuttavia, al di là delle molte dichiarazioni di Trump che periodicamente pronosticano un’imminente fine del conflitto, l’impegno dell’amministrazione statunitense sembra non essere in grado di andare molto oltre le parole”.
[Fonte e Foto: ISPI]