La religione e i conflitti in Medio Oriente, no alle semplificazioni

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Contro ogni schematizzazione e semplificazione del rapporto tra confessioni religiose e conflitti in Medio Oriente proponiamo la recensione, comparsa nel numero di maggio della rivista L'Indice dei libri del mese, del libro di Arturo Marzano "Terra laica. La religione e i conflitti in Medio Oriente" (Viella, Roma 2022, pp. 196, euro 22). Autore dell'articolo, dal titolo "L’Ego-Europa e la 'razzializzazione delle identità'”, è Lorenzo Kamel, docente di Storia del Medio Oriente e Nord Africa all’Università di Torino.

Non è raro imbattersi in studi, tanto accademici quanto divulgativi, in cui il cosiddetto medio Oriente traspare come un’enorme area oscura, distante. Le dinamiche legate alle popolazioni locali appaiono altrettanto frequentemente scandite da ancestrali divisioni “tribali” e religiose. Il libro di Arturo Marzano, tra i più solidi e attenti studiosi italiani dell’Asia occidentale, rappresenta un agile e riuscito antidoto a questo genere di semplificazioni e, più nello specifico, alla “medievalizzazione del medio Oriente”, dunque alla crescente tendenza a giustapporre un presunto mondo islamico medievaleggiante a un Occidente moderno, secolare, normativo.

Attraverso l’analisi di tre casi di studio, – il contesto israelo-palestinese, le dinamiche in Libano e la rivalità tra Arabia Saudita e Iran – il libro propone una convincente chiave interpretativa che riconosce il ruolo delle religioni in medio Oriente, ma lo riconduce a una più accurata e circoscritta dimensione che tiene conto, in primo luogo, di come esse siano state (e vengano tuttora) strumentalizzate, tanto da attori interni quanto esterni alla regione. Nelle parole di Arturo Marzano: “Per quanto negli ultimi decenni la religione sia tornata ad avere un ruolo significativo nello spazio pubblico, ciò non vuol dire affatto che sia la causa principale di quanto accade in medio Oriente”.

Sostenere che i conflitti che continuano a flagellare diversi paesi del Medio Oriente siano in larga parte riconducibili a tensioni di natura etnica e/o religiosa, significa promuovere, più o meno implicitamente, l’idea che separare persone e popoli potrebbe portare a soluzioni relativamente veloci e a una possibile stabilizzazione dell’area. In realtà sunniti e sciiti, ma anche cristiani, ebrei e numerosi altri gruppi e/o confessioni religiose, hanno vissuto per secoli in medio Oriente raggiungendo un livello di coesistenza superiore a quello registrato in larga parte del resto del mondo, Europa inclusa: “Se i miei antenati fossero stati musulmani in un paese conquistato da eserciti cristiani, invece che cristiani in un paese conquistato dalle forze dell’Islam”, ha notato lo scrittore franco-libanese Amin Maalouf, “non penso che avrebbero potuto continuare a vivere nelle loro città e villaggi, mantenendo la propria religione per oltre mille anni”. A ciò si aggiunga che la tesi dell’esistenza di un conflitto tra sunniti e sciiti che dura da “1400 anni”, più volte analizzata e criticata nel libro di Marzano, è in questo senso semplificatoria e tende a non considerare il fatto che l’appartenenza a una data confessione religiosa è stata per secoli solo una delle varie modalità (e sovente non la più significativa) adottate dagli autoctoni per esprimere le proprie identità.

Ciò non implica che storicamente non vi siano stati scontri di natura confessionale, di cui si ha infatti notizia già dal medioevo. Tuttavia, la loro natura e portata non è in alcun modo comparabile con quanto avvenuto in tempi più recenti. Come ha notato Fanar Haddad in riferimento all’Iraq: “Nella Baghdad dell’Alto Medioevo si verificarono degli scontri di natura settaria, ma si tratta di fenomeni estremamente diversi rispetto a ciò che è possibile osservare nell’epoca dello stato-nazione”. Queste considerazioni confermano la necessità di fare maggiore luce sul fatto che, per citare un altro volume appena uscito su queste tematiche, “le tensioni aumentano quando l’identità confessionale si lega alle dinamiche politiche” (Toby Matthiesen, The Caliph and the Imam: The Making of Sunnism and Shiism, Oxford UP, Oxford 2023), nonché sull’importanza di contestualizzare e problematicizzare il concetto stesso di “settarismo” – o Tā’ifīya, un neologismo introdotto nella lingua araba nel corso dell’Ottocento.

Fu infatti solo a seguito delle guerre balcaniche (1912-1913), del genocidio armeno (1915-1916) e dell’accordo siglato a Losanna nel 1923 tra la Turchia e le potenze dell’Intesa, che la “razzializzazione delle identità” – ovvero la tendenza ad ascrivere un profilo genetico immutabile a un dato gruppo – e la loro selettiva etno-confessionalizzazione acquisirono per la prima volta nella storia un valore legale. Fu sempre allora che concetti come “trasferimento di popolazione” e “pulizia etnica” divennero, per la prima volta nella storia, delle soluzioni legalmente accettabili per risolvere dei conflitti internazionali.

Lo “Zeitgeist di Losanna” ha coinciso in altre parole con il primo grande fenomeno di rottura nella storia della regione e ha cambiato per sempre le percezioni – e il modo di autopercepirsi – dei suoi abitanti. Qualsiasi realistico tentativo volto a “stabilizzare” l’odierno medio Oriente non può che passare per la comprensione e la decostruzione di ognuna di queste dinamiche, nonché per un simultaneo processo di “ritorno nella storia”. Ciò implica e richiede, come chiarisce bene il volume di Marzano, la riscoperta delle continuità e delle permeabilità che per millenni hanno scandito la vita quotidiana di milioni di individui presenti nella regione. Gli ebrei, i cristiani, i musulmani così come i membri delle millenarie “religioni pagane” del medio Oriente (mandei, zoroastriani, drusi, kalasha, yazidi e molti altri) hanno molto più in comune di quanto si tenda sovente a pensare.

Le divisioni confessionali che continuano a dilaniare larga parte del medio Oriente (ma anche del nord Africa) hanno dunque meno a che vedere con conflittualità di carattere religioso – è significativo al riguardo che già ai tempi della guerra tra Iran e Iraq (1980-88) larga parte degli sciiti iracheni si schierasse con i propri connazionali sunniti in chiave antisciita/iraniana – e molto a che spartire con un altro tipo di problematiche, in larga parte connesse, oltre che con questioni economiche, agli effetti di medio e lungo termine del nazionalismo, ai risvolti seguiti alla prima guerra mondiale. Grande influenza hanno avuto anche eventi storici più recenti come la rivoluzione iraniana del 1979, le conseguenze delle sanzioni economiche imposte a Baghdad a seguito della prima guerra del Golfo (1990-1991), l’invasione americana del 2003 in Iraq e i risvolti legati alla “primavera araba” (sovente descritta in loco come “al-marar al-Arabi”, “l’amarezza araba”), quando molte delle comunità presenti nella regione hanno rivolto la propria attenzione sempre più “verso l’interno” in cerca di protezione. Arturo Marzano analizza questo complesso retroterra sottolineando che un conto è essere consapevoli che “l’utilizzo di retoriche religiose sia parte di una strategia all’interno di uno scontro politico-economico tra stati per la supremazia regionale” e un altro è il fatto di “ritenere che la motivazione principale di un conflitto sia di natura confessionale, sostenendo peraltro che si tratti semplicemente di un nuovo round di una guerra religiosa secolare tra sunnismo e sciismo”.

In Terra laica vengono avanzate numerose possibili spiegazioni per fare luce sui deficit e le strumentalizzazioni che hanno sovente portato a individuare nella religione il principale elemento costitutivo delle identità e dei conflitti in medio Oriente. Tra esse spicca l’“impostazione dello studio della storia in Italia, che, secondo l’autore, “è ancora molto eurocentrica, quando non italocentrica”. È qui opportuno aggiungere che l’eurocentrismo non è legato al focus geografico di una data analisi, bensì è riconducibile alle categorie di analisi adottate per realizzarla: ciò significa che non basta scrivere un libro interamente centrato sull’Africa, sull’America Latina o sull’Asia per essere immuni da ciò che alcuni studiosi hanno definito l’“Ego-Europa”. È forse proprio questa una delle componenti alla base di ciò che Boaventura de Sousa Santos ha definito “violenza epistemica”, ovvero il processo attraverso cui figure, popoli e contesti non-occidentali sono stati sovente “silenziati”, o descritti come passivi e/o intrinsecamente violenti. Il volume di Arturo Marzano ha tra i suoi principali meriti proprio quello di dimostrare, con uno stile accessibile, come quella stessa “violenza epistemica” venga ancora oggi sovente utilizzata per strumentalizzare il ruolo delle religioni, a scapito di complesse e millenarie dinamiche sociali, culturali, economiche e politiche.

Alcune parti del libro avrebbero beneficiato di maggiori dettagli. Quando si discute del “sistema del Millet”, sarebbe stato ad esempio utile far presente che le cosiddette “pratiche dei Millet” sono riconducibili in larga parte a processi flessibili maturati dal basso verso l’alto (e non, dunque, a un “sistema” imposto dall’alto). Nella sezione dedicata a Hebron, è assente la Yéchivah Slobodka, la scuola rabbinica, aperta nel 1925, frequentata da un nutrito gruppo di studenti ashkenaziti persuasi della necessità di vivere del tutto separati tanto dalla maggioranza araba locale, quanto dal vecchio Yishuv: dinamiche rilevanti per comprendere aspetti più ampi e strutturali ai quali si fa accenno a più riprese nel libro. Ancora, nel capitolo dedicato alla rivalità tra Iran e Arabia Saudita, sarebbe stato utile soffermarsi sul fatto che, fino alla rivoluzione iraniana del 1979, gli interessi di Riyadh e Teheran mostravano numerosi punti di contatto e i due paesi attribuivano alle loro differenze legate alla religione un valore secondario: fu Riyadh a darle una connotazione confessionale per rispondere a quella che era da essa percepita come una seria minaccia ai suoi interessi nazionali. Ma si tratta per l’appunto di dettagli che non sminuiscono l’utilità e il valore di un libro ben scritto e ben argomentato, adatto a chiunque non si accontenti di narrazioni lineari che postulano il ruolo intrinsecamente conflittuale delle religioni e dei popoli che animano quel ricco, millenario, universo chiamato medio Oriente.

(Fonte: L'Indice dei libri del mese - Lorenzo Kamel)