Siria: ribelli verso Homs
Prosegue l’avanzata dei ribelli antigovernativi verso Homs, terza città del paese e snodo strategico cruciale. Focolai di rivolta anche a sud e a est, Damasco è il prossimo bersaglio. Questo il focus di Alessia De Luca per l'ISPI.
Palestinesi di Gaza che augurano la vittoria al popolo siriano, siriani che inneggiano alla Palestina libera: si moltiplicano in queste ore sui social i video e le immagini che mostrano come gli ultimi, incredibili, sviluppi siriani altro non sono se non un pezzo del conflitto più ampio già in atto in Medio Oriente. Dopo aver preso Aleppo e Hama, rispettivamente la seconda e la quarta città del paese, i ribelli antigovernativi guidati da Hayat Tahrir As-Sham (HTS) avanzano a rapida velocità verso Homs, terza città del paese e snodo cruciale per l’accesso alla costa, roccaforte della minoranza alawita del presidente Bashar Al-Assad. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, le milizie armate sono a cinque chilometri dalla periferia della città, dopo aver preso il controllo di Rastan e Talbisseh, tra Hama a Homs, segnalando “la totale assenza di forze del regime” in quelle aree. I resoconti – che non è possibile verificare in modo indipendente – sono però suffragati dalle notizie di migliaia di persone in fuga dalla città, dalla serata di ieri e durante tutta la notte scorsa. Il controllo di Homs influenzerà anche il futuro della guerra nel vicino Libano, poiché i ribelli puntano a chiudere le vie di rifornimento di Hezbollah. Significativamente, nelle ultime ore, Israele ha ripreso a bombardare i valichi di frontiera tra Libano e Siria, poco dopo la riapertura, violando ulteriormente il fragile accordo di cessate il fuoco firmato la settimana scorsa. Scontri si sarebbero registrati anche a sud di Damasco, in particolare a Daraa – culla della rivolta contro il regime di Assad nel 2011 – dove uomini armati avrebbero assaltato diversi posti di blocco. Diverse fonti riferiscono che le forze governative si sarebbero ritirate anche dalle loro postazioni a Deir Ezzor mentre nelle provincie druse di Suweida e Quneitra le defezioni tra i ranghi dell’esercito starebbero aumentando.
Al-Jolani a tutto campo?
In una lunga ed esclusiva intervista alla CNN è lo stesso Abu Mohammed Al-Jolani, leader del principale gruppo che guida l’opposizione armata in Siria, Hts, a spiegare quali sono gli obiettivi dell’offensiva: “Il nostro scopo, in definitiva, è rovesciare il regime del presidente Bashar Al-Assad”. Nella sua prima intervista da anni – l’ultima con un organo d’informazione occidentale era stata su France 24 un anno fa – da una località segreta della Siria, il leader di Hts ha parlato dei piani per creare un governo basato sulle istituzioni e su un “consiglio eletto”. “Quando parliamo di obiettivi, quello della rivoluzione rimane il rovesciamento di questo regime. È un nostro diritto utilizzare tutti i mezzi disponibili per raggiungere questo obiettivo” ha affermato, aggiungendo che “i semi della sconfitta del regime sono sempre stati al suo interno… gli iraniani hanno tentato di far rivivere il regime, prendendo tempo, e in seguito anche i russi hanno cercato di sostenerlo. Ma la verità rimane: questo regime è morto”. Nel corso dell’incontro, Al-Jolani – che ha usato il suo vero nome, Ahmed al Sharaa, invece del nome di battaglia con cui è ampiamente conosciuto, ha proiettato l’immagine di un leader pragmatico e aperto al dialogo, in netto contrasto on quella dei leader di Al Qaeda, a cui il gruppo era affiliato fino al 2017 quando la formazione si chiamava Jabhat al Nusra.
Erdogan avverte Assad?
Anche il presidente turco Recep Tayyep Erdogan ha rilasciato una dichiarazione senza precedenti riguardo gli avvenimenti in Siria: “Dopo Idlib, Hama e Homs, ovviamente l’obiettivo (delle forze ribelli, ndr) sarà Damasco. La marcia delle forze di opposizione continua. Ci auguriamo che questa avanzata in Siria continui senza incidenti o problemi”, ha affermato Erdogan, parlando con i giornalisti dopo avere partecipato alla preghiera del venerdì dalla moschea di Hazrat Ali a Istanbul. “Abbiamo lanciato un appello a Bashar Al-Assad, abbiamo detto: forza, determiniamo assieme il futuro della Siria. Purtroppo, non abbiamo ricevuto una risposta positiva”. Le parole del presidente sembrano spazzare via ogni dubbio circa la posizione e il coinvolgimento di Ankara nel sostenere l’avanzata antigovernativa che, con la sua fulminante marcia verso la capitale e in assenza di una forte controffensiva da parte delle truppe siriane, rappresenta la più grave minaccia al regime di Damasco da un decennio a questa parte. Fin dall’inizio del conflitto siriano, nel 2011, Ankara – che nega qualsiasi coinvolgimento nell’offensiva e ha afferma di non voler assistere a una nuova ondata di migranti verso i suoi confini – ha chiesto ad Assad di impegnarsi con il popolo siriano per trovare una “soluzione politica”.
La diplomazia batte un colpo?
Mentre gli aggiornamenti sul terreno si susseguono ora dopo ora, confermando il rapido avanzamento delle milizie antigovernative, qualcosa si muove anche sul fronte della diplomazia. I ministri degli Esteri di Turchia, Iran e Russia si incontreranno sabato a Doha per discutere della situazione in Siria, ha affermato una fonte diplomatica turca. I tre paesi hanno regolarmente tenuto colloqui sul futuro del paese dal 2017, in un formato trilaterale parte del Processo di Astana. Secondo diversi osservatori con ogni probabilità si tratterà dell’ultima possibilità di scongiurare uno schianto del regime siriano. Ma solo se Assad si dimostrerà pronto a fare delle concessioni politiche. Se così non fosse, difficilmente potrà contare sui suoi principali sponsor. È stata l’assenza di supporto da parte dei suoi alleati, unita alla frustrazione economica e alla mancanza di preparazione del suo esercito, a causare la drammatica débacle dell’Esercito arabo siriano (SAA) da tutte le postazioni finora conquistate dagli insorti. In mancanza di un accordo politico, la caduta di Homs potrebbe spianare la strada verso Damasco, facendo rapidamente precipitare gli eventi.
Il commento di Ugo Tramballi, ISPI Senior Advisor
“Vladimir Putin credeva di aver raggiunto i suoi obiettivi in Siria. Nell’impossibilità di normalizzare tutto il paese sotto il giogo della famiglia Assad, i russi si erano accontentati di liberare dalle milizie la Siria “che conta”: la capitale, le città più importanti e la costa, sulla quale la flotta russa riguadagnava uno sbocco nel Mediterraneo. Poi, dal deserto e dai quartieri delle città devastate dai bombardamenti di dieci anni fa, è ricomparsa Hayat Tahrir al-Sham. Allora non era una delle milizie più importanti: ora minaccia Damasco”.
[Fonte: ISPI; Foto: RomaSette]