Siria: tredici anni dopo, il silenzio

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A tredici anni dall’inizio delle ostilità, quello siriano può considerarsi a tutti gli effetti un conflitto dimenticato. Ma se la situazione politica risulta complessa, anche quella economica rimane molto preoccupante, trasformando la Siria in una delle più grandi crisi umanitarie e in una delle più grandi crisi di rifugiati al mondo. Ne parla Asmae Dachan sulla rivista ecumenica Confronti.

Di Asmae Dachan (da Confronti)

A tredici anni dall’inizio delle ostilità, quello siriano può considerarsi a tutti gli effetti un conflitto dimenticato. Dopo il terremoto del 6 febbraio del 2023, che ha colpito la Turchia mediorientale e la Siria occidentale, che ha riacceso i riflettori sulla grave emergenza umanitaria in corso, la Siria è nuovamente scomparsa dalle agende internazionali, per ricomparire il primo aprile scorso, in occasione del bombardamento israeliano sul consolato iraniano a Damasco, che ha provocato la morte di Mohammad Reza Zahedi, un comandante del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche e di altre sedici persone. Anche in questo contesto la Siria, che resta formalmente uno Stato sovrano, non ha avuto voce in capitolo né sul piano politico, né su quello militare e sembra essere stata semplicemente il terreno di guerra per un’offensiva da parte di Israele contro Teheran.

Geopolitica dei rapporti con la Siria

La Siria fa parte del cosiddetto Asse della Resistenza, un’alleanza di gruppi sostenuti dall’Iran che ha lanciato attacchi contro Israele, che si sono intensificati dopo gli attentati del 7 ottobre. Ufficialmente però, Damasco non si avventura in attacchi contro Israele, ma ne continua a subire i bombardamenti. «Gli israeliani hanno chiaramente avvertito Assad che se la Siria fosse stata usata contro di loro avrebbero distrutto il suo regime», ha dichiarato a fine aprile a France24 un diplomatico occidentale che ha chiesto l’anonimato.

Andrew Tabler del The Washington Institute ha affermato, dal canto suo, che gli Emirati Arabi Uniti e la Russia, il maggior alleato siriano, hanno consigliato ad Assad di restare fuori dall’offensiva israeliana a Gaza e dalle tensioni nella regione. Sempre secondo Tabler «Assad spera che l’Occidente e i Paesi Arabi lo compensino per la sua posizione moderata, arrivando a eliminare le sanzioni».

L’altro grande alleato di Damasco, la Russia, che con Israele mantiene ottimi rapporti, ha fatto comunque sapere che a inizio aprile è stata installata una nuova postazione nella parte siriana delle alture del Golan, per tenere la situazione monitorata. Mentre i Paesi arabi lo scorso anno hanno ufficialmente normalizzato le proprie relazioni col regime di Damasco, la posizione degli Stati Uniti e dell’Unione europea resta contraria alla ripresa dei rapporti bilaterali. Il portavoce ufficiale dell’Unione europea per la regione del Medio Oriente e del Nord Africa, Luis Miguel Bueno, durante la sua partecipazione alla Giornata del dialogo ha affermato che la posizione dell’Unione europea è contraria alla normalizzazione con il regime siriano, dichiarando che non ci sarà nessun contributo europeo alla ricostruzione, e che le sanzioni non verranno revocate, a meno che il regime non si impegni in un vero processo politico, nel quadro della Risoluzione Onu 2254.

A fine aprile il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato l’Illicit Captagon Trafficking Suppression Act, un documento contro la produzione e il traffico di Captagon - comunemente nota come “cocaina dei poveri”, una droga simile all’anfetamina che crea dipendenza e viene prodotta e acquistata a basso costo, con pillole di bassa qualità - proveniente dalla Siria. Il documento prevede nuove sanzioni contro individui, entità e reti affiliate al regime del presidente siriano Bashar Al Assad che producono e trafficano Captagon e segue il Captagon Act già firmato dal Congresso nel 2022.

Geir Pedersen, inviato speciale per la Siria alle Nazioni Unite ha affermato, riferendo gli ambasciatori al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che «All’ombra della guerra a Gaza si intensifica la crisi umanitaria in Siria». Pedersen ha chiesto una riduzione della tensione a livello regionale, a partire da un cessate il fuoco immediato a Gaza. Oltre alle ricadute regionali, ha espresso profonda preoccupazione proprio per il conflitto in corso all’interno della stessa Siria. «In realtà non ci sono segni di calma in nessuno dei teatri della Siria - solo conflitti irrisolti, violenza e acuti focolai di ostilità, ognuno dei quali potrebbe rappresentare una nuova scintilla», ha dichiarato. «Riguardo alle ostilità di lunga data in Siria», ha insistito sul fatto che «qualsiasi tentazione di ignorare o semplicemente contenere il conflitto siriano stesso sarebbe un errore».

Una Siria divisa

Allo stato attuale la Siria è de facto suddivisa in tre aree di influenza: quella centrale, che va dalla costa ai confini iracheni, la cosiddetta Siria utile, che è tornata sotto il controllo del governo di Damasco, sostenuto dalla Russia e dall’Iran, quella del Nord-Est, sotto il controllo delle Forze democratiche siriane, composte prevalentemente da milizie curde, che godono della protezione degli Usa e quella del Nord-Ovest, dove si concentra ciò che resta dell’opposizione armata, sotto il controllo turco, dove sono presenti varie fazioni armate e due gruppi terroristici, Jabhat al-Nusra e Hay’at Tahrir al-Sham (Hts).

Quest’ultimo recentemente ha lanciato numerosi attacchi transfrontalieri nel Nord-Ovest, così come sono stati registrati attacchi di droni turchi e scontri a fuoco tra gruppi di opposizione armata e forze democratiche siriane nel Nord-Ovest. La regione Sud-occidentale è stata teatro di scontri aperti tra ex gruppi di opposizione armata e forze governative siriane. Gli attacchi terroristici dello Stato islamico in Iraq e nel Levante (Isil/Daesh) continuano nel deserto siriano e nel Nord-Est.

Amnesty International ha recentemente diffuso un rapporto sulle morti di massa, le torture e altre violazioni contro le persone detenute proprio in seguito alla sconfitta dello Stato islamico. Si tratta di almeno 56mila persone, compresi donne e bambini arrestati arbitrariamente e sottoposti a tortura. Secondo il documento, si tratta di 11.500 uomini, 14.500 donne e 30.000 bambini detenuti in almeno ventisette strutture e due campi di detenzione: al-Hol e Roj. I campi sono controllati dai soldati curdi e dalle pattuglie statunitensi. Tra i detenuti figurano siriani, iracheni e cittadini stranieri provenienti da circa settantaquattro altri Paesi. Si è molto discusso, negli scorsi anni, circa la possibilità di rimpatriare gli stranieri, portando gli adulti in giudizio nel Paese d’origine e affidando i minori alle cure di qualche parente, ma solo pochi Stati lo hanno fatto. Recentemente il Tajikistan ha rimpatriato una cinquantina di donne e bambini. Il rimpatrio è avvenuto quasi un mese dopo l’attacco a una sala da concerto alla periferia di Mosca che ha ucciso 144 persone. Il massacro è stato compiuto da quattro presunti aggressori che sono stati arrestati e identificati come cittadini tagiki. L’Isis-K ha rivendicato la responsabilità e ha affermato che quattro dei suoi combattenti avevano preso di mira la sala in Russia.

Contro il gruppo terrorista Hts, da oltre due mesi la popolazione di Idlib, città del Nord-Ovest abitata da milioni di sfollati interni in grave crisi umanitaria, continua a scendere in piazza. I manifestanti chiedono la fine della loro egemonia e delle loro prevaricazioni. Allo stesso tempo proseguono, da settembre dello scorso anno, le manifestazioni nella città di Sweida, dove è grande protagonista la comunità drusa, per chiedere la fine del regime di Bashar al Assad.

Economia a picco

Se la situazione politica risulta complessa, anche la situazione economica rimane molto preoccupante, con i prezzi dei prodotti alimentari che sono raddoppiati nell’ultimo anno e la sterlina siriana che dal 2020 ha assistito a un calo di quindici volte del suo valore rispetto al dollaro degli Stati Uniti. In un suo recente intervento Ramesh Rajasingham, funzionario dell’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (Ocha), ha messo in risalto l’impatto di ordigni inesplosi, mine terrestri e altre armi simili sui civili. «I terreni agricoli sono particolarmente colpiti, con conseguenze significative sulla produzione alimentare e sui mezzi di sussistenza», ha affermato, sottolineando che spesso i bambini costituiscono la maggior parte delle vittime. Rajasingham ha aggiunto che con l’avvicinarsi dell’estate aumenterà il rischio di siccità, ondate di caldo, colera e altri rischi per la salute, a fronte dei servizi idrici e igienico-sanitari già limitati. «Ciò a sua volta aumenterà i rischi per la salute sessuale e riproduttiva e la protezione delle donne e delle adolescenti, che tendono ad essere esposte a livelli più elevati di violenza di genere a causa della mancanza di privacy all’interno e intorno alle strutture igieniche», ha avvertito. Anche il Commissario europeo alla gestione delle crisi, Janez Lenarčič, lo scorso aprile, in apertura dei lavori della Giornata del dialogo, nell’ambito delle attività della quinta giornata della Conferenza di Bruxelles per sostenere il futuro della Siria, ha espresso grande preoccupazione per la situazione in Siria.

«La Siria si è trasformata in una delle più grandi crisi umanitarie e in una delle più grandi crisi di rifugiati al mondo», ha affermato Lenarčič, dichiarando di ritenere il regime siriano responsabile del peggioramento delle condizioni generali del Paese. «I siriani vivono sotto la costante minaccia di violenza, arresti arbitrari, tortura, sparizioni forzate e omicidi», ha aggiunto il commissario europeo, «e dobbiamo renderci conto che la responsabilità di questa situazione ricade principalmente sul regime di Assad, che pratica la repressione e la corruzione e rimane riluttante a impegnarsi nel processo politico che aprirebbe la porta alla ricostruzione». Lenarčič ha parlato anche della necessità di trovare soluzioni di pace durature, sottolineando che «il tessuto della società siriana si sta disintegrando con oltre il 70% dei siriani bisognosi di aiuti umanitari».

Secondo le stime delle Nazioni Unite oltre 14 milioni di siriani sono stati costretti ad abbandonare le proprie case dall’inizio delle ostilità, con oltre sette milioni di sfollati interni e altrettanti nella condizione di profughi. Nel Nord-Ovest della Siria, un milione di bambini non vanno a scuola. Quasi il 60% dei campi e dei siti per sfollati interni non hanno scuole o centri educativi. Secondo lo European Civil Protection and Humanitarian Aid Operations 1,8 milioni di bambini nel Nord-Ovest della Siria necessitano di sostegno psicosociale e protezione da violenza, abusi, abbandono e sfruttamento.

Una nota positiva, in questo quadro complesso e per molti versi desolante, è il progresso che si continua a registrare dal punto di vista giudiziario, lì dove i siriani in esilio hanno denunciato uomini del regime, responsabili di torture e abusi di vario tipo, fingendosi profughi. L’ultimo caso a Stoccolma, dove è iniziato il processo contro il generale Mohammed Hamo, che attualmente risiede in Svezia, con l’accusa di favoreggiamento in azioni che violano il diritto internazionale, descritti dall’accusa come “un crimine grave”. Il Pubblico ministero sostiene che il sessantacinquenne – che è stato Generale di brigata nell’esercito siriano tra gennaio 2012 e luglio 2012 – ha partecipato alla guerra che «ha incluso sistematicamente attacchi effettuati in violazione del principio di distinzione, cautela e proporzionalità», aggiungendo che gli attacchi sono stati “indiscriminati”.

[Questo articolo di Asmae Dachan è stato pubblicato sul numero di giugno della rivista Confronti; Photo Credits: Unicef Italia]