Spazio e tempo dell’offensiva israeliana a Gaza

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L’escalation in atto in Medio Oriente è molto diversa dalle precedenti. L’attuale situazione è frutto della sovrapposizione di tutte le minacce potenziali: interne, esterne, regionali e globali, intrecciate tra di loro. Di seguito l’approfondimento di Claudio Bertolotti per l’Ispi, Istituto per gli studi di Politica internazionale.

Questa guerra sarà diversa. Il successo di Hamas, la violenza delle azioni terroristiche, l’impiego strutturato e massiccio di razzi da Gaza e la capacità di penetrazione all’interno del territorio israeliano di commando palestinesi attraverso tecniche, tattiche e procedure strutturate che hanno colto di sorpresa l’intelligence israeliana mettono in evidenza l’emergere di scenari di guerra e minacce molto diversi da quelli che hanno caratterizzato la seconda guerra del Libano, l’operazione “Strong Cliff” (2014) e l’operazione “Wall Guardian” (2021). Queste campagne non possono essere prese a riferimento per i preparativi dell’Israel Defense Forces (IDF) per la guerra ormai in corso, semplicemente perché l’attuale situazione è frutto della sovrapposizione di tutte le minacce potenziali: interne, esterne, regionali e globali, intrecciate tra di loro. 

Oggi le dinamiche delle relazioni internazionali si intersecano con le ambizioni locali di un gruppo terrorista jihadista, Hamas, che ha stretti rapporti e legami con un fenomeno di violenza che abbiamo conosciuto come “Stato islamico” e che si pone come obiettivi principali la distruzione di Israele e l’istituzione di uno stato islamico (art. 11, statuto di Hamas), il contrasto alle iniziative di pace (art. 13) e si contrappone, non riconoscendola, all’Organizzazione delle Nazioni Unite (art. 22). A tali minacce si sommano il rischio di coinvolgimento degli atri attori regionali, statali e non statali – in primis l’interesse dell’Iran nel destabilizzare Israele – come le incursioni del gruppo Jihad islamica e di Hezbollah dal Libano e, ancora, il lancio di razzi dalla Siria. Fino ad oggi l’IDF non ha mai dovuto affrontare tutte queste sfide insieme. Oggi deve farlo e lo farà, ne va dell’esistenza stessa di Israele, dimostrando l’efficacia (o meno) della propria dottrina strategica ed operativa. È un punto di non ritorno. 

Lo sviluppo dell’offensiva israeliana contro i terroristi di Hamas nella striscia di Gaza e a difesa delle probabili minacce interne ed esterne, dalla Cisgiordania al Libano, potrà svilupparsi seguendo i principi della dottrina strategica dell’IDF, così come delineata dal generale Gadi Eizenkot, capo di stato maggiore della Difesa israeliana dal 2015 al 2019, a cui, nel 2020, è seguito il nuovo concetto operativo chiamato “Decisive Victory” che definisce i gruppi come Hamas e Hezbollah non come “insorti” o “guerriglieri”, ma come “eserciti organizzati, ben addestrati, ben equipaggiati per le loro missioni” in grado di migliorare le loro capacità con il tempo. La riforma dell’IDF, che segue i dettami della dottrina strategica e del concetto operativo, è stata anche modellata dalle preoccupazioni sulle prospettive di un’escalation orizzontale, cioè l’apertura di più fronti contemporaneamente, ciò che effettivamente si starebbe realizzando dando luogo a una regionalizzazione dello scontro. Secondo questa logica, il conflitto in corso, che è iniziato a Gaza, potrebbe innescare scontri in Cisgiordania, nel sud del Libano o sulle alture del Golan.

Dalla strategia all’operazione offensiva

Partendo dalla strategia delle IDF, come potrebbe svilupparsi la pianificazione e la condotta di un’operazione contro Gaza in contemporanea con la necessità di proteggere lo Stato di Israele, la sua popolazione e la sua capitale Gerusalemme da azioni militari e terroristiche?  

Per cercare di disegnare uno scenario quanto più probabile dobbiamo tenere in considerazione che la minaccia è multipla e trasversale, sia esterna che interna, poiché proveniente da Siria (uno stato frammentato e instabile), Libano (a rischio di implosione), Iran (soggetto che trae il maggior vantaggio dall’indebolimento di Israele), così come dalla Cisgiordania, da attori non statali operativi a livello locale e regionale, come il libanese Hezbollah e il gazawi Hamas – o dal contributo di organizzazioni militari esterne – come confermerebbe l’arrivo in Libano di Abu ala al-Walai, il comandante della formazione sciita Kata’ib Sayyid al Shuhada, che ha strettissimi legami con il corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche dell’Iran e del gruppo Badr – e dalla galassia jihadista che sta accorrendo a supporto del terrorismo di Hamas. E ancora, tra le minacce identificate dalla dottrina strategica che oggi incombono come macigni su Israele, anche le organizzazioni terroristiche senza legami con particolari stati o comunità, in particolare Jihad islamico palestinese, il gruppo “Stato islamico” e altri. 

Guardando al documento strategico emerge come Israele abbia fino ad oggi fatto affidamento su un duplice approccio difensivo-offensivo. Da un lato, dunque, la strategia di sicurezza difensiva, basata sull’impegno ad assicurare l’esistenza di Israele creando una deterrenza efficace e neutralizzando le minacce ed evitando, per quanto possibile, lo scontro diretto. Dall’altro lato, l’adozione e l’applicazione del concetto militare offensivo, partendo dall’assunto di base che il nemico non possa essere sconfitto attraverso una postura difensiva e che, pertanto, è necessario usare la forza militare in una posizione offensiva. 

Ma entrambi gli approcci si sarebbero dovuti basare, come essenziale elemento di forza, sulla conoscenza della minaccia attraverso l’intelligence. Un elemento essenziale che invece è mancato a Israele e il cui risultato sono gli oltre 1200 morti e 2800 feriti registrati in due giorni di feroce barbarie da parte delle Brigate al-Qassam, braccio armato del gruppo terrorista Hamas.  

La strategia di Hamas

La risposta alla reazione israeliana da parte di Hamas sarà di resistenza estrema e decisa, questo è certo. Hamas ha fatto la sua scelta, una scelta di morte e sacrificio, di fatto condannando i territori palestinesi a una lunga e sanguinosa guerra ideologica e identitaria. Khalid Mashal, leader e membro fondatore di Hamas, ha fatto appello ai musulmani di tutto il mondo per dar vita venerdì 13 al “diluvio di Al-Aqsa”, una dimostrazione manifesta di rabbia annunciata nei paesi musulmani e anche tra la diaspora musulmana nel mondo. Al tempo stesso ha chiesto aiuto finanziario a tutti i musulmani, incitando un “Jihad finanziario” volto a sostenere i combattenti di Gaza per risarcirli della distruzione sionista. La cosa più importante: ha chiesto a tutti i musulmani a livello globale di portare avanti il jihad, di combattere ed essere martiri per Al-Aqsa, colpendo e uccidendo gli ebrei, a partire da quelli che vivono nei paesi circostanti: Giordania, Siria, Libano ed Egitto. L’appello finale di Khalid Mashal è stato rivolto a tutti i palestinesi, affinchè vadano a morire combattendo per la terra di Palestina.  

Un appello che non lascia spazio a dubbi interpretative e che, per gli abitanti di Gaza, si è trasformato in una condanna. I gazawi che se ne sono andati via dalla Striscia, potendolo fare, hanno già deciso di non essere coinvolti in un conflitto ad alto rischio. Ma molti resteranno, anche contro la loro stessa volontà e saranno utili ai fini militari e propagandistici del gruppo jihadista poiché l’obiettivo di Hamas è quello di provocare il maggior numero di vittime tra i civili di Gaza e indurre Israele a ridurre le azioni su obiettivi militari in cui sono presenti anche civili inermi. Questa è una decisione razionale e calcolata, al di fuori dallo jus in bello, che Hamas e Jihad islamica palestinese hanno preso. In tal senso sono state rilevate forti pressioni da parte dei due gruppi terroristi nei confronti delle famiglie palestinesi affinchéè nessuno lasci le proprie abitazioni. Una decisione presa dalla leadership di Hamas, prima posta come richiesta ai palestinesi di Gaza e poi imposta con la forza, pena la fucilazione sul posto con l’accusa di tradimento.

Le due opzioni militari nella striscia di Gaza

Si parla sempre più con insistenza di un’invasione terrestre di Gaza da parte di Israele. Due le opzioni sul tavolo. Vediamole. 

Tecnicamente si deve parlare di “operazione offensiva” che può essere caratterizzata da dinamiche ed esiti diversi. Da un lato potremmo assistere a un’operazione con unità militari ridotte, altamente specializzate, sostenute dal fuoco terrestre, come carri armati, artiglieria, forze aeree e droni. Parliamo di un’azione “puntiforme” volta a colpire e sanzionare target predesignati di Hamas. È un’operazione che non prevede una permanenza di lungo periodo all’interno della Striscia di Gaza. Si tratta però di un’ipotesi possibile ma poco probabile. 

Più praticabile è invece l’uso massiccio di truppe dopo un’intensa attività di bombardamento mirato. L’impiego di una grande massa di militari per distruggere e contrastare l’operazione contro-insurrezionale di Hamas, condotta su diverse linee difensive quando Israele invaderà Gaza, rappresenta un’ipotesi più probabile. Va anche detto che Hamas in questi anni si è riorganizzato dal punto di vista delle strutture di difesa. Basti pensare alla fitta rete di tunnel consolidati, ben studiati a livello ingegneristico e capaci di garantire comunicazioni e spostamenti veloci al loro interno. Questo sarà molto pericoloso e per Israele comporterà l’uso della fanteria più adatta, rispetto ai mezzi corazzati, a contrastare Hamas. Il problema potrebbe essere la permanenza sul lungo periodo che provocherà una reazione superiore a quella di un’operazione di breve respiro, con il rischio di un aumento di perdite da parte israeliana, di Hamas, dei suoi alleati della Jihad islamica e della popolazione civile. 

Parlando di numeri, le IDF hanno confermato lo schieramento di almeno 100.000 soldati a sud, in prossimità della striscia di Gaza, di fatto cingendola d’assedio, e l’impiego di una parte dei 360.000 riservisti richiamati in servizio, per attività di controllo del territorio e bonifica dalla presenza di elementi ostili in territorio israeliano adiacente alla Striscia di Gaza e della Cisgiordania, così come nelle principali aree urbane, da Gerusalemme a Tel Aviv. Un’ulteriore aliquota è destinata a presidiare i confini con la Siria e il Libano, da dove è più probabile arriveranno azioni parallele e di disturbo. 

Intensi gli sforzi per riprendere il controllo delle aree di confine con Gaza, con la posa di campi minati anti-uomo e anti-veicoli al fine di evitare nuove incursioni da parte di Hamas, con ciò confermando uno stato di controllo ancora parziale dei sistemi di videosorveglianza e rilevamento lungo le barriere di protezione israeliane.

Le fasi dell’offensiva di Israele

L’esercito israeliano attuerà un piano d’operazione strutturato su tempi differenziati d’impiego di unità e armamenti.  

La fase preventiva si fonda sullo stato di assedio, un blocco marittimo e terrestre, volto a limitare l’approvvigionamento di armi e materiali bellici ai gruppi militanti, nonché possibili esfiltrazioni di terroristi verso Israele e l’infiltrazione di altri terroristi a supporto di quelli schierati a Gaza. 

La fase intermedia della preparazione (quella attuale), che anticipa l’invasione terrestre vera e propria, prevede attacchi mirati. Così come stiamo assistendo in questi primi giorni, l’IDF sta concentrando i suoi attacchi di precisione, aerei e di artiglieria, contro obiettivi militari (di Hamas e della Jihad islamica a Gaza), come strutture, centri di comando e controllo e direttamente contro comandanti anche di medio e basso livello, con l’obiettivo di indebolire la capacità di combattimento dell’organizzazione. 

A seguire, come attività conclusiva della fase preparatoria, è prevedibile la condotta di operazioni terrestri limitate per distruggere tunnel sotterranei utilizzati da gruppi militanti e per neutralizzare minacce dirette. 

Tutte queste fasi prevedono la simultanea condotta di operazioni psicologiche per influenzare l’opinione pubblica e minare il morale dei militanti avversari e, al contempo, l’attivazione di canali di negoziazione diplomatica con cui Israele potrebbe trattare per la liberazione degli ostaggi. 

La condotta di tutte queste fasi rappresenta il preludio al movimento delle unità sul terreno e la convergenza sulla striscia di Gaza, pur tenendo conto della necessità d’impiego contemporaneo di unità impegnate a contrastare, sul fronte esterno, le incursioni e i tentativi di attacco da parte di Hezbollah, dal Libano, e della Siria mentre, sul fronte interno, molte unità saranno impegnate a prevenire e contrastare i tentativi di attacchi e le azioni terroristiche nelle aree urbane che verranno attuate da Hamas per distrarre il maggior numero possibile di unità israeliane altrimenti impiegabili nella striscia di Gaza. L’obiettivo operativo di Hamas, almeno in questa fase, è quello di disperdere e frammentare lo sforzo militare di Gerusalemme.

Le direttrici d’attacco e le principali aree di scontro

Nel complesso, per quanto riguarda la valutazione tecnica del terreno, le colline e le alture possono fornire posizioni vantaggiose per l’osservazione e il controllo del campo di battaglia. Le vie di comunicazione, la geografia del terreno e la presenza di difese nemiche influenzeranno le direzioni d’attacco e i percorsi dei carri armati. Un aspetto importante a premessa di un’offensiva terrestre è la valutazione del potere impeditivo intrinseco del campo di battaglia, sia naturale che artificiale. 

Di fronte all’avvio dell’operazione militare terrestre le forze israeliane potranno subire pesanti perdite, come già avvenuto in passato (2014), nel tentativo di avanzare nei centri urbani. Hamas e altre fazioni hanno mine anticarro e missili guidati anticarro che possono utilizzare efficacemente insieme al fuoco dei mortai e all’utilizzo di droni specificatamente adattati per colpire dall’alto carri e mezzi di trasporto blindati.  

Parlando di potere impeditivo naturale, il riferimento va alla geografia. Partendo dalla consapevolezza che la geografia di Gaza è limitante per le operazioni israeliane, possiamo indicare le più probabili linee di comunicazione e direttrici di penetrazione che saranno sfruttate per la condotta dell’offensiva. Pur tenendo conto del fatto che le operazioni militari sono soggette a molte variabili e decisioni strategiche. 

Dove potrebbe avvenire lo schieramento di carri armati israeliani in funzione di supporto di fuoco all’offensiva contro i miliziani di Hamas a Gaza? 

Sulla base delle informazioni da fonti aperte, è possibile valutare che il dispiegamento di carri armati israeliani in funzione di supporto di fuoco all’offensiva contro i miliziani di Hamas a Gaza potrebbe avvenire vicino o all’interno della Striscia di Gaza stessa. Colonne di mezzi blindati dirette verso Gaza sono state avvistate in queste ultime ore così da lasciar supporre che l’ingresso in Gaza sia di fatto inevitabile. Un fatto che è associato all’ordine di evacuare tutti i residenti israeliani nelle vicinanze della Striscia di Gaza. 

Lo schieramento di carri armati israeliani potrebbe avvenire nelle aree di Bureij a sud di Gaza City dove c’è una linea di cresta che domina il centro urbano; area che potrebbe essere strategica per il controllo del terreno elevato e per il supporto di fuoco. 

All’estremo nord di Gaza, vicino al valico di Erez, si trovano aree rurali e ampi terreni agricoli utili allo schieramento di unità di supporto al combattimento.  

Un’altra area di possibile schieramento dei carri armati utili al supporto delle unità di fanteria si trova a est di Khan Yunis, a sud della città di Gaza, dove i mezzi corazzati possono muoversi più facilmente e prendere posizioni di fuoco; si tratta di una posizione geografica che potrebbe facilitare il dispiegamento rapido delle forze terrestri. 

Un terzo punto di accesso è in prossimità della Philadelphi Route vicino a Rafah, nell’estremo sud. Storicamente area di interesse per il controllo delle attività di contrabbando tra Gaza ed Egitto, quest’area potrebbe essere importante per impedire il traffico di armi e munizioni nella Striscia di Gaza e per stabilire una zona di sicurezza.

L’inevitabile “urban warfare”: tra guerriglia e insurrezione

L’insurrezione può avere successo contro una forza occupante che non può contare sul supporto della popolazione. La lezione dell’Afghanistan ci ha dimostrato che l’insurrezione può vincere, ma solo quando si muove all’interno di un tessuto sociale favorevole, o comunque non ostile. In Israele non potrà mai vincere in termini convenzionali, ossia ottenendo la distruzione di Israele, poiché è troppo forte la coesione nazionale degli israeliani e elevato il numero di arabi musulmani che sostengono Israele. Al contrario, i soldati israeliani si troveranno a dover affrontare un’operazione nella striscia di Gaza, fisiologicamente ostile in cui il ruolo giocato da una parte della popolazione civile a sostegno di Hamas potrà essere incisivo per il successo della stessa operazione e per le difficoltà che l’IDF dovrà affrontare sul campo, in particolare nelle aree urbane, ambiente ostico per eccellenza che apre a un’opzione tutt’altro che auspicabile. 

Per le IDF lo scenario militare assolutamente da evitare è quello che prevede l’ampio uso di forze di manovra, quindi carri armati, non solo a supporto ma anche in prossimità, se non addirittura all’interno delle aree urbane. È l’ultimo degli scenari auspicabili per lo staff militare impegnato nel processo di pianificazione operativa perché i mezzi corazzati in aree urbane potrebbero essere scarsamente efficaci e più vulnerabili avendo una stazza notevole e capacità di manovra molto limitata. Mentre l’esercito israeliano ha esperienza di combattimento con mezzi corazzati nelle città palestinesi, non ultimo in Cisgiordania durante la seconda intifada, si valuta che Hamas abbia una grande riserva di missili anticarro Kornet, già usati efficacemente anche da Hezbollah in Libano, contro i carri israeliani.  

Infine, è da porre in evidenza una lezione appresa dalla guerra in Ucraina: Hamas, come già dimostrato il 7 ottobre, ha sviluppato una propria capacità di attacco mediante droni che possono sganciare bombe su veicoli e truppe. Un’evoluzione che, di fatto, accresce il livello di minaccia per le truppe convenzionali sul campo.

(Fonte: ISPI – Claudio Bertolotti; Foto: Amnesty International)