Terra Santa: Gruppo ecumenico, cosa rende possibile e importante il “rimanere” dei cristiani nella terra di Gesù, sfigurata dal terrore

Gerusalemme – “In questi giorni dolorosi, essendo parte integrante della realtà che ci circonda, camminiamo attraverso valli oscurate dalla morte, dallo sfollamento, dalla fame e dalla disperazione”. E’ questa la condizione in cui il Gruppo di riflessione ecumenica “Una Voce di Gerusalemme per la giustizia” (A Jerusalem Voice for Justice) ha deciso di scrivere una lunga lettera-messaggio “al nostro popolo e ai nostri pastori”, per richiamare a quali sorgenti può attingere e a quale missione è chiamata la la presenza dei cristiani nel tempo di orrore e dolore che sta sfigurando la Terra Santa, la Terra di Gesù.
Il Gruppo di riflessione ecumenica “A Jerusalem Voice for Justice”, aggregatosi in maniera spontanea, si è costituito di recente davanti allo nuovo scatenarsi di violenza e terrore in Terra Santa, per condividere e offrire spunti di analisi e discernimento sui fatti e sui processi che toccano e tormentano la vita dei popoli nella terra di Gesù. Della rete fanno parte, tra gli altri, Il Patriarca emerito di Gerusalemme dei Latini Michel Sabbah, il Vescovo luterano Munib Younan, il Vescovo greco ortodosso Attallah Hanna, la coordinatrice del Centro ecumenico Sabeel, Sawsan Bitar, il teologo palestinese John Munayer, il padre gesuita David Neuhaus, padre Frans Bouwen dei Missionari d’Africa.
La testimonianza del semplice “rimanere”
“A Gaza – ripetono i firmatari della lettera, descrivendo sommariamente quello che accade in Terra Santa – “è in corso un genocidio che rischia di estendersi anche ad altre parti della Palestina. La pulizia etnica a Gaza, attraverso la distruzione sistematica di case, ospedali e istituzioni educative, avanza di giorno in giorno. Pratiche simili sono applicate in Cisgiordania, attraverso gli attacchi violenti dei coloni israeliani con la complicità dell’esercito israeliano. Le case vengono demolite, interi villaggi distrutti e i loro abitanti resi dei senza-tetto; migliaia di prigionieri sono in detenzione amministrativa senza alcuna protezione legale; la gente viene uccisa o ferita, gli ulivi vengono bruciati, i raccolti distrutti, greggi e armenti uccisi o rubati, le proprietà private sono saccheggiate”.
Davanti a questo tempo di dolore – si legge nella lettera – “Ci spezza il cuore vedere famiglie espulse o costrette a lasciare Palestina-Israele. Non giudichiamo coloro che se ne vanno per scelta, perché conosciamo il peso che tutti siamo chiamati portiamo. Preghiamo per loro e la nostra benedizione li accompagna ovunque essi decidono di andare. Tra noi – membri del Corpo di Cristo radicato nel suolo della Palestina –ci sono però quelli che hanno scelto di restare, di parlare e di agire”.
Il fatto di restare oggi in Terra Santa – rimarcano i membri del Gruppo ecumenico – “non è solo una decisione politica, sociale o pratica. È un atto spirituale. Non rimaniamo perché sia facile, né perché sia una fatalità. Rimaniamo perché siamo stati chiamati a farlo. Nostro Signore Gesù è nato a Betlemme, ha camminato sulle colline della Galilea, ha pianto su Gerusalemme e ha subito una morte ingiusta perché è stato fedele alla sua missione fino alla fine. Non è fuggito dalla sofferenza. Egli vi è entrato, traendo la vita dalla morte. Allo stesso modo, rimaniamo non per romanticizzare la sofferenza, ma per testimoniare la presenza e la potenza del Signore nella nostra martoriata Terra Santa”.
Per i cristiani, in questa ora buia della storia, “restare è dire con la nostra vita: questa terra, ferita e sanguinante, è ancora santa”. Vuol dire “proclamare che la vita dei palestinesi – musulmani, cristiani, drusi, samaritani, bahai – e la vita degli ebrei-israeliani è sacra e deve essere protetta. È ricordare che la risurrezione inizia nella tomba, e che anche ora, nella nostra sofferenza collettiva, Dio è con noi”. Gli autori della lettera citano parole pronunciate dal Patriarca latino di Gerusalemme, il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, nella sua recente visita a Gaza, “Cristo non è assente da Gaza. È lì, crocifisso nei feriti, sepolto sotto le macerie eppure presente in ogni atto di misericordia, in ogni candela nell’oscurità, in ogni mano tesa verso chi soffre”.
Il “rimanere” dei cristiani, segno di amore per tutti
“Noi” – prosegue il testo della Lettera di “A Jerusalem Voice for Justice” – siamo i figli della risurrezione. La nostra presenza è essa stessa una testimonianza del nostro Signore Risorto, Gesù Cristo”. Una testimonianza che in Terra Santa di manifesta “ininterrotta fin dalla Pentecoste, nei luoghi dove tutto è iniziato”. Una testimonianza che fiorisce in una terra amata “non come una proprietà, ma come un dono. Amiamo i nostri vicini musulmani ed ebrei non in astratto” sottolinea la lettera “ma in solidarietà e con atti concreti. Restare significa continuare a piantare alberi, crescere figli, medicare le ferite e accogliere lo straniero”. Abbracciando una missione che non può essere “quella di ritirarci, ma di costruire: case, chiese, scuole, ospedali e giardini”. Col realismo di riconosce “che in questa vita la pace perfetta è utopica; tuttavia, è attraverso la nostra testimonianza qui che ne godremo ancora più pienamente nel Regno di Dio”.
L’orizzonte di unità in cui si muovono gli spunti condivisi dal Gruppo di riflessione ecumenical è quello di “una Chiesa viva e incarnata nella terra dell’Incarnazione. Sin dal tempo della Pentecoste” ricorda il messaggio “le nostre liturgie sono state cantate in momenti di gioia e di sofferenza, dando espressione a molte lingue e culture: aramaico, greco, armeno, arabo, latino e molte altre ancora. I nostri sacramenti scorrono con antica e invincibile speranza. Oggi preghiamo radicati nelle nostre ricche e antiche tradizioni, ma pienamente presenti e fedeli al mondo che ci circonda”. Uno spazio e un tempo in cui I cristiani sono chiamati a “essere sale e luce proprio nel luogo in cui Cristo pronunciò per la prima volta queste parole. Sale che guarisce le ferite della discriminazione, dell’occupazione, del genocidio e dei traumi in corso. Luce che rifiuta di spegnersi, anche quando il buio è sempre più profondo. E pur quando fossimo ridotti a una manciata di persone, intensificheremo e rafforzeremo il nostro essere sale e luce”.
Allora – ripetono i firmatari della lettera – “diciamoci l’un l’altro: rimaniamo perché siamo chiamati, rimaniamo perché siamo inviati. E viviamo perché Cristo abita in noi”.
Le parole rivolte ai pastori
La Lettera esprime amore e rispetto per Capi e pastori di Chiese e comunità ecclesiali in Terra Santa, ringraziati anche “per le vostre dichiarazioni relative alla dura situazione che stiamo vivendo e in difesa dei valori umani e morali. Ci rallegriamo in particolare” aggiungono gli autori del messaggio – “quando parlate con una sola voce e prendete iniziative comuni, come le recenti visite a Gaza e Taybeh”. Nel contempo, la Lettera prende atto che “a volte i fedeli si lamentano del fatto che alcuni di noi, capi delle chiese, clero e religiosi, sono troppo lontani dal popolo, dalle sue lotte e sofferenze quotidiane”. E “Alcuni, con le loro parole e le loro azioni, sembrano suggerire che questa non è la loro guerra, poiché non ha ancora toccato le loro chiese, conventi e comunità”. La lettera ricorda che “responsabili a tutti i livelli devono tenersi al corrente di ciò che sta accadendo, soprattutto per quanto riguarda gli eventi attuali e le tragedie che stanno colpendo il nostro popolo”. Mentre “coloro che sono venuti da lontano con buone intenzioni per servire nella Chiesa di Gerusalemme devono essere incoraggiati e aiutati a conoscere la storia e la cultura di questa terra e dei suoi popoli. Le nozioni preconcette devono cedere il passo alla conoscenza e alla verità sul conflitto in Palestina-Israele”.
La situazione in Terre Santa – ripete la lettera del Gruppo ecumenico nella sua parte finale – “rimane complessa e incerta. Tuttavia, come cristiani riconosciamo che è un privilegio vivere in questa terra, che è quella in cui nostro Signore Gesù Cristo ha vissuto, ha predicato la Buona Novella, ha sofferto, è morto ed è risorto dai morti. Qui la Buona Novella della Risurrezione è stata annunciata per la prima volta e da qui si è diffusa in tutto il mondo”. Proprio “Il nostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo, ci incoraggia: ‘Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno’ (Luca 12:32). Siamo chiamati nel suo Spirito, e da esso rafforzati, a camminare insieme. Questa è la via della sinodalità, ‘camminare per la via comune’ ”.
[Fonte: Fides; Foto: Facebook/Gabriel Romanelli]