Tregua in Libano, il ‘no’ di Netanyahu

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Stati Uniti e alleati chiedono un cessate il fuoco di 21 giorni in Libano, ma Netanyahu rifiuta. Questo il focus di Alessia De Luca per l'ISPI.

Botta e risposta tra Israele e paesi occidentali sulla proposta di una sospensione temporanea delle ostilità con Hezbollah. Questa mattina il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha opposto un secco rifiuto alla proposta avanzata da Stati Uniti e Francia e sottoscritta da diversi paesi europei e arabi per un cessate il fuoco di 21 giorni volto a scongiurare il rischio di un’escalation che potrebbe precipitare l’intero Medio Oriente in guerra. “La notizia riguardante un cessate il fuoco è errata, il primo ministro non ha rilasciato alcuna dichiarazione in merito”, ha reso noto l’ufficio del premier israeliano poco dopo la sua partenza per partecipare alla 79esima Assemblea Generale dell’Onu in corso a New York. Poche ore dopo, Stati Uniti, Australia, Canada, Unione Europea, Francia, Germania, Italia, Giappone, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Qatar hanno rilasciato una nuova dichiarazione congiunta chiedendo una soluzione diplomatica alla crisi e un cessate il fuoco immediato. “La situazione tra Libano e Israele dall’8 ottobre 2023 è intollerabile e presenta un rischio inaccettabile di una più ampia escalation regionale. Questo non è nell’interesse di nessuno, né del popolo di Israele né del popolo del Libano” recita il documento, che invita “tutte le parti, compresi i governi di Israele e Libano, ad approvare immediatamente il cessate il fuoco temporaneo, in linea con la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, durante questo periodo e a dare una reale possibilità a una soluzione diplomatica”. Poco dopo, in un attacco mirato le forze israeliane hanno ucciso a Beirut il capo delle forze aree di Hezbollah, Mohammed Hussein Sarour.

Evitare una guerra totale?

L’obiettivo dell’iniziativa è chiaro: ridurre la possibilità che gli scontri al confine tra Israele e Libano e i massicci bombardamenti israeliani che hanno provocato in meno di quattro giorni oltre 600 morti e migliaia di feriti, trascinino l’intera regione in una guerra totale. “Siamo ancora in tempo per raggiungere un accordo che possa allontanare l’escalation e cambiare radicalmente l’intera regione” ha detto il presidente Biden intervistato nel programma “The View” della ABC. La Casa Bianca, secondo il NewYork Times, spera anche che un passo indietro dalla guerra con Hezbollah possa mettere pressione a Yahya Sinwar, il leader di Hamas, affinché accetti un accordo che ponga fine a quasi un anno di combattimenti a Gaza e porti alla liberazione degli ostaggi israeliani ancora nelle mani dei miliziani dagli attacchi del 7 ottobre 2023. La spinta per porre fine ai combattimenti è arrivata anche all’indomani di dure prese di posizione in molti degli interventi dei leader del Sud globale presenti all’Onu, critici per il sostegno dell’amministrazione americana al governo di Netanyahu. In molti hanno espresso il timore che l’apertura di un secondo fronte, oltre a quello che a Gaza ha già causato oltre 41mila morti, possa attrarre nel conflitto attori molto più grandi come l’Iran, che considera Hezbollah il suo più importante rappresentante nella regione.

Netanyahu ostaggio dell’estrema destra?

Sul secco rifiuto opposto dal premier Netanyahu alla proposta di cessate il fuoco, Jacob Magid, capo dell’ufficio di corrispondenza del Times of Israel, svela un interessante retroscena secondo cui Israele avrebbe espresso in privato pareri positivi sull’iniziativa, prima che una serie di ministri rilasciassero dichiarazioni sprezzanti nei confronti della proposta. In particolare, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich aveva affermato che Hezbollah “dovrà essere annientato” e che “non bisogna dare al nemico il tempo di riprendersi dai duri colpi ricevuti e di riorganizzarsi dopo 21 giorni”. Allo stesso modo la fazione di estrema destra del ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir avrebbe minacciato di far cadere l’esecutivo se il governo avesse concordato un cessate il fuoco con Hezbollah. “La condotta di Netanyahu – ha commentato una fonte diplomatica occidentale al giornalista – è un’estensione del modo in cui ha gestito i colloqui sulla liberazione degli ostaggi a Gaza, accettando privatamente di mostrarsi flessibile per poi rilasciare subito dopo dichiarazioni pubbliche volte a tranquillizzare la sua base politica, anche a rischio di ostacolare i progressi”.

Per gli Usa nuove accuse di complicità?

Alla luce di tutto questo, l’escalation rappresenta un nuovo inquietante problema per l’amministrazione Biden, che ha sacrificato parte del suo capitale politico a livello internazionale sull’altare delle spregiudicate decisioni di Netanyahu. Ciononostante, nel corso degli ultimi mesi, gli Stati Uniti hanno ripetutamente escluso ogni possibilità di rivedere le forniture di armi per convincere Israele a un cessate il fuoco. A questo proposito, la crisi si dipana proprio mentre la Casa Bianca si trova a gestire una nuova serie di accusel’organizzazione indipendente ProPubblica ha rivelato che nei mesi scorsi le due massime autorità del governo statunitense in materia di assistenza umanitaria avevano concluso che Israele avrebbe deliberatamente bloccato le consegne di cibo e medicine a Gaza. Si sarebbe trattato di un rapporto esplosivo, considerato il fatto che legge statunitense prevede di interrompere le spedizioni di armi ai paesi che impediscono la consegna di aiuti umanitari sostenuti dagli Stati Uniti. Ma Blinken e l’amministrazione non hanno accettato nessuna delle due conclusioni. “Pochi giorni dopo – riferisce ProPubblica nel suo dettagliato reportage – Blinken ha rilasciato una dichiarazione attentamente formulata al Congresso, in cui si affermava: Al momento non valutiamo che il governo israeliano stia proibendo o comunque limitando il trasporto o la consegna di assistenza umanitaria statunitense”. Accuse che peseranno sull’immagine degli Stati Uniti e sulla capacità di influenzare gli aventi in corso in Medio Oriente e non solo.

Il commento di Agostina Latino, Università di Camerino e LUISS 

“La Dichiarazione congiunta, frutto di un’inedita compagine di paesi, rappresenta un tentativo di bypassare il ritardo, ormai patologicamente cronico, con cui le Nazioni Unite cercano infruttuosamente di ottemperare al loro ruolo di guardiane della pace mondiale. Se, infatti, la realtà prende l’ascensore mentre il diritto arranca per le scale, la temuta escalation fra Libano e Israele ha ormai preso una consistenza tale da non poter aspettare i tempi e le procedure necessari al Consiglio di Sicurezza per adottare una risoluzione vincolante. La richiesta di un immediato cessate il fuoco per 21 giorni lungo la “linea blu”, ossia l’incerto confine fra i due Paesi, pur contenuta in uno strumento di soft law, con portata dunque meramente raccomandatoria e non dotata di obbligatorietà, ha almeno il pregio dell’immediatezza”.

[Fonte: ISPI; Foto: Pro Terra Sancta]