L'INTERVENTO / Olivier Roy, "vivere insieme? Parliamo di valori, non di norme"
Pubblichiamo l'intervento di Olivier Roy, insigne orientalista, islamista e politologo, al panel conclusivo sul tema "Vivere insieme" - su come sia possibile una pacifica convivenza tra popoli, culture e religioni diverse, in un mondo caratterizzato da crescenti individualismi, odi e divisioni e da sempre più numerosi e aperti conflitti - dell'Incontro internazionale 'Imaginer la paix' organizzato a Parigi dalla Comunità di Sant'Egidio. Roy, da eminente voce francese ed europea, rimette al centro il contratto sociale come accordo sui valori, oltre la tentazione della loro imposizione, fosse per legge, o della chiusura nella minoranza per chi non si identifica in tutti i valori maggioritari.
Di Olivier Roy *
Durante le guerre di religione del sedicesimo secolo, i sovrani hanno cercato di fare la pace organizzando dibattiti e colloqui (Poissy, Augusta) per trovare un accordo su una verità teologica, in altre parole per ristabilire l'unità delle fedi e non per promuovere una tolleranza nei confronti della diversità. È stato, ovviamente, un fallimento.
Oggi il dibattito verte essenzialmente sui valori condivisi piuttosto che su fedi condivise. Il problema del vivere insieme non si pone più in termini di dogma, ideologia o verità, ma in termini di valori. Si parla dei valori della repubblica, dei valori cristiani, dei valori universali.
L'idea quindi è che se condividiamo gli stessi valori possiamo vivere insieme.
Ma questo non è forse reintrodurre dalla finestra un dogma e un sistema di fedi? I valori non fluttuano nell'aria: hanno un fondamento, una storia, un passato.
Condividiamo gli stessi valori? E forse dobbiamo andare oltre: dovremmo condividere gli stessi valori?
In senso lato, forse: tutti (o quasi) vogliono la pace. Ma non appena ci si si pone la domanda successiva “che pace? A quali condizioni?” cominciano a emergere delle divergenze.
Il contratto sociale, che è alla base della nostra moderna concezione della democrazia, non era fondato su un elenco di valori, ma sull'idea che i cittadini possono e devono discutere liberamente sul “bene comune” e quindi che le elezioni riflettono per definizione la diversità delle opzioni politiche. Il “bene comune” non è definito dal suo contenuto, ma come un obiettivo per tutte le persone di buona volontà.
Quindi, partendo dalla constatazione che non condividiamo necessariamente gli stessi valori, come possiamo organizzare il “vivere insieme”? Vedo tre possibili scenari:
- Accettare i valori dominanti (o quelli presentati come tali), con il corollario che chi non li condivide deve accettare che la sua fede (o credo, credenza?) particolare sia confinata nello spazio privato. L'idea, quindi, è che la legge incarni non solo la volontà (che può cambiare) ma l'identità stessa del gruppo dominante (Identitarian public law).
- Neutralizzazione della sfera pubblica e mantenimento di tutte le fedi (o credi, credenze?) nella sfera privata. È il liberismo individualista. Lo stato è solo un arbitro e non promuove altri valori se non quelli della libertà.
- Multiculturalismo: le fedi (o credi, credenze?) possono essere solo collettive e si riferiscono a una tradizione, quindi bisogna accettare la giustapposizione di comunità di credenti (con o senza gerarchia). Tutte le fedi (o credi, credenze??) hanno il diritto di essere rappresentate nello spazio pubblico. Lo stato è solo un arbitro.
Problema: perché nessuna di esse è (più) soddisfacente:
1) La libertà di coscienza non è solo il diritto di tenere per sé le proprie idee, ma anche il diritto di affermarle in pubblico. Accettare che lo stato incarni un sistema di valori specifici che sono imposti a tutti è pericoloso per la democrazia. Perché dove comincia e dove finisce lo spazio pubblico? Quanto possono essere visibili le pratiche religiose, dalla postura individuale (velo, tonaca) a una manifestazione collettiva (processione)?
2) Le comunità religiose non condividono (o non condividono più) gli stessi valori, a causa della secolarizzazione e della scristianizzazione chiedono l'accesso allo spazio pubblico e rivendicano il loro diritto di parola come portatori di valori diversi che tuttavia considerano come valori universali (fondati sulla legge naturale): Benedetto XVI parla pubblicamente di princìpi non negoziabili, della vita (aborto, eutanasia), Francesco chiede di accogliere i migranti.
3) Il multiculturalismo non funziona più (e non ha mai funzionato): i marcatori identitari (il velo) non sono l'espressione di una tradizione, ma di un entrata più individualistica che comunitaria nello spazio pubblico. Questo però solleva anche la questione del conflitto di valori: diritto all'aborto, diritti lgbt, eccetera
Che fare, dunque?
Dobbiamo fare riferimento a valori aperti e non chiusi, e quindi uscire da una visione normativa dei valori per affrontare la questione del bene comune. Questo presuppone, innanzitutto, il rispetto, l’ascolto e il dialogo. I valori non sono dogmi.
Poi, naturalmente, dobbiamo accettare l'idea che, a un certo punto, bisogna fare delle scelte, soprattutto nel diritto. Ma il rispetto della legge non deve negare il diritto al dissenso.
* OLIVIER ROY è professore all'Istituto Universitario Europeo e titolare della Cattedra Mediterranea al Robert Schuman Centre for Advanced Studies dal settembre 2009. In anni passati è stato direttore di ricerca al Centre national de la recherche scientifique (CNRS) francese e professore sia alla School for Advanced Studies in the Social Sciences (EHESS) sia all'Istituto di studi politici di Parigi (IEP). Dal 1984 è consulente al ministero degli Affari Esteri francese. Nel 1988 Roy ha lavorato come consulente anche dell'Ufficio delle Nazioni Unite, incaricato di coordinare i soccorsi in Afghanistan (UNOCA).
[Foto: Institut Français Italia]