Il nazionalismo religioso come minaccia per la pace

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Rappresenta una profonda analisi sul nazionalismo religioso e le sue minacce alla pace mondiale l'articolo del gesuita padre David Hollenbach, professore presso la School of Foreign Service della Georgetown University di Washington DC, comparso sul Quaderno 4142 di Civiltà Cattolica, del 21 gennaio scorso. Ne riproponiamo ampi stralci.

Negli ultimi anni la religione si è fatta sempre più presente nei dibattiti della politica internazionale. Lo si deve al fatto che alcune comunità religiose sono parte attiva in conflitti che oggi occupano la scena internazionale. I movimenti nazionalisti di ispirazione religiosa sono tra i fattori più pericolosi che oggi possono portare al conflitto. D’altra parte, le comunità religiose sono anche importanti attori della pace; e papa Francesco, in particolare, con le sue azioni e con i suoi insegnamenti ha dato un importante contributo religioso alla pace. Questo articolo si propone di illustrare con svariati esempi come il nazionalismo religioso minacci la pace. Metterà poi in evidenza varie forme di resistenza basata sulla fede, che vengono opposte al nazionalismo religioso. In conclusione, rileverà come la "cultura dell’incontro" di papa Francesco possa costituire un valido rimedio al nazionalismo religioso, e quindi un grande aiuto a costruire la pace.

Nazionalismo religioso oggi: Russia e Stati Uniti

L’esempio contemporaneo più evidente del contributo religioso a un conflitto è la funesta guerra russa contro l’Ucraina che il presidente Vladimir Putin ha iniziato con il forte sostegno del patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa. Le ostilità vengono condotte senza alcun riguardo per le norme etiche che governano i conflitti, o per le garanzie sancite dal diritto internazionale. Dal punto di vista etico, le azioni della Russia stanno violando sia lo jus ad bellum sia lo jus in bello stabiliti dall’etica della guerra secondo la tradizione della guerra giusta. Dal punto di vista legislativo, la Carta delle Nazioni Unite afferma che "i membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato". Inoltre, le Convenzioni di Ginevra, che disciplinano i mezzi consentiti in caso di conflitto, dichiarano che, "allo scopo di assicurare il rispetto e la protezione della popolazione civile e dei beni di carattere civile, le Parti in conflitto dovranno fare, in ogni momento, distinzione fra la popolazione civile e i combattenti, nonché fra i beni di carattere civile e gli obiettivi militari, e, di conseguenza, dirigere le operazioni soltanto contro obiettivi militari". Questi inderogabili modelli morali e giuridici internazionali vengono chiaramente violati dall’aggressione della Russia contro l’Ucraina e dall’uso indiscriminato della forza contro i civili.

Questo discostarsi della Russia dalle norme morali e legali fondamentali è l’esempio probabilmente più forte di quali pericoli possa indurre il nazionalismo religioso nei nostri giorni. Di fatto, per giustificare l’agire attuale della Federazione che presiede, Putin ha spesso fatto appello a valori sia religiosi sia nazionalistici. Egli infatti afferma che l’Ucraina non è un Paese indipendente, e quindi non è dotata di una sovranità tale da meritare il rispetto richiesto dalla Carta delle Nazioni Unite. Piuttosto, essa fa parte della Russia, e quindi l’"operazione militare" che egli stesso ha avviato non costituisce affatto una violazione della sovranità e dell’integrità territoriale di uno Stato indipendente. Insomma, Putin presenta la guerra come una tutela dell’Ucraina verso le pressioni illegittime dell’Unione europea, della Nato e, in generale, dell’Occidente. Basa questa affermazione su motivazioni sia storiche sia religiose. Per esempio, quando nel 2014 le truppe russe aggredirono la Crimea, che apparteneva all’Ucraina, Putin fece appello alla storia per giustificare la sua affermazione che "nei cuori e nelle menti della gente la Crimea è sempre stata parte integrante della Russia". Il Presidente ha ripetuto spesso questa affermazione. Nel luglio 2021 ha dichiarato che russi e ucraini sono "un solo popolo" e, pochi giorni prima di dare inizio alle ostilità, ha detto: "Per noi l’Ucraina non è solo un Paese vicino. È una parte inalienabile della nostra storia, della nostra cultura e del nostro spazio spirituale". A supporto di tali dichiarazioni di carattere storico, egli adduce garanzie religiose: fa appello alle comuni radici dell’identità russa e ucraina, risalenti al battesimo del principe Vladimir (Volodymyr, in ucraino) nella tradizione cristiana orientale, avvenuto nel 988.

Questo attestato religioso di una comune identità russa e ucraina è stato rafforzato dal leader della Chiesa ortodossa russa, il patriarca Kirill. Egli ha fatto eco a Putin, affermando che gli ucraini fanno parte dei "popoli della Santa Russia". Ha sostenuto che l’impegno della Russia in Ucraina non è soltanto una battaglia di carattere politico, ma ha un "significato metafisico". Ha descritto la guerra come una questione di vita o di morte, che consiste nell’opporsi alle presunte libertà dell’Occidente decadente. Pertanto, la guerra della Russia contro l’Ucraina si radica su valori nazionalistici, che vengono sostenuti tramite appelli rivolti sia alla fede sia alla storia religiosa. Questo nazionalismo russo, appoggiato dalla religione, è in diretta contraddizione con la fede e con l’etica, le quali, sulla base della comune natura di tutti gli esseri umani, rivendicano un rispetto che supera le differenze nazionali e religiose.

Purtroppo si deve constatare che il nazionalismo di ispirazione religiosa è presente anche in altri contesti, in primo luogo negli Stati Uniti. Gli ultimi anni hanno visto l’ascesa del nazionalismo cristiano in quanto forza influente nella politica e nella cultura degli Usa. Sebbene la sua consistenza non appaia facile da valutare, i sociologi Andrew Whitehead e Samuel Perry hanno tratto da dati empirici l’evidenza che il 42% degli statunitensi crede che "il successo degli Usa faccia parte del piano di Dio". Altre quantificazioni statistiche mostrano che quasi la metà degli statunitensi considera il cristianesimo incorporato alla vita civile del loro Paese e all’identità nazionale. Questi sostenitori di un’America cristiana ritengono che le tendenze attuali stiano minando il legame storico che sussiste tra cristianesimo e Usa e che, di conseguenza, l’identità del Paese sia minacciata. Perciò propugnano una politica tesa a restaurare l’identità cristiana della nazione, mescolando una certa idea del cristianesimo con una specifica lettura dell’agenda nazionale degli Stati Uniti. Lo si è visto nelle grandi croci di legno e negli striscioni con la scritta "Gesù salva", che venivano esibiti nel corso del violento assalto al Congresso degli Stati Uniti, dopo le elezioni presidenziali del 6 gennaio 2021.

Tuttavia, sebbene i nazionalisti religiosi statunitensi facciano appello al ruolo di Dio e del cristianesimo nell’istituzione e nella prosperità del Paese, l’identità nazionale che cercano di difendere è più culturale che non basata sui valori cristiani ortodossi. Whitehead e Perry sostengono, sempre sulla base di dati empirici, che l’identità immaginata dai nazionalisti cristiani per gli Stati Uniti è per lo più basata su nativismo, supremazia bianca, patriarcato, eteronormatività, controllo autoritario della vita sociale e grande apprezzamento per i militari. Affermano che di fatto il nazionalismo cristiano negli Usa raramente si preoccupa di impiantare quelle che una teologia ben fondata considererebbe "'“'politiche secondo Cristo', o tantomeno politiche che riflettano l’etica del Nuovo Testamento".

La somiglianza tra i nazionalismi religiosi in Russia e negli Stati Uniti è chiara: si invocano le tradizioni religiose per sostenere una specifica visione del futuro verso cui la nazione sarebbe tenuta a orientarsi. È lecito ritenere che in entrambi i casi i programmi proclamati non siano realmente religiosi, ma che la religione venga manipolata per sostenere un’agenda nazionalista. Eppure, sia nel caso russo sia in quello statunitense, le interpretazioni della storia religiosa e dei valori religiosi vengono di fatto regolarmente invocate a sostegno di programmi che i loro fautori considerano genuinamente religiosi. Poiché i sostenitori di tutti quei movimenti nazionalisti attribuiscono ai loro propositi un fondamento trascendente, è possibile etichettare tali movimenti come "nazionalismo religioso". Lo storico Appleby ha affermato che, anche laddove gli intenti nazionalistici o etnici manipolano la religione, come accadde nell’ex Jugoslavia all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, quella di "nazionalismo religioso" costituisce una descrizione appropriata per tutti quei movimenti i cui sostenitori vedono nella religione un aiuto per definire il proprio programma politico.

Oppositori religiosi del nazionalismo religioso

Oggi però molte comunità religiose si oppongono con forza a queste correnti del nazionalismo religioso. Un’importante dichiarazione ortodossa, Per la vita del mondo: verso un ethos sociale della Chiesa ortodossa, condanna fermamente la guerra russa in Ucraina. Questa dichiarazione è stata pubblicata il 27 marzo 2020 con l’approvazione del patriarca ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli, e ha il sostegno dei dirigenti di quasi tutto il mondo ortodosso, fatta eccezione per la Chiesa ortodossa russa con sede a Mosca. Il testo ricorda che nel 1872 il Concilio di Costantinopoli condannò la subordinazione della fede ortodossa alle identità etniche e agli interessi nazionali. Contesta apertamente i riferimenti fatti dal presidente Putin e dal patriarca Kirill alla storia religiosa russa e all’etica cristiana, per sostenere la guerra in Ucraina. Un altro documento, di carattere meno autorevole, la Dichiarazione sull’insegnamento del «mondo russo» (Russkii Mir), diffuso il 13 marzo 2022 e firmato da numerosi leader e studiosi della Chiesa ortodossa, considera l’unione del nazionalismo russo e della fede ortodossa come un’"eresia" e "profondamente avversa all’ortodossia, alla fede cristiana e all’umanità".

Anche negli Stati Uniti c’è stata una forte opposizione religiosa ai recenti movimenti nazionalisti cristiani. Il Comitato congiunto battista per la libertà religiosa (Baptist Joint Committee for Religious Liberty) ha contribuito a promuovere un movimento, denominato "Cristiani contro il nazionalismo cristiano", che si oppone al tentativo di fondere le identità cristiane e americane in quanto "travisamento del Vangelo di Gesù e minaccia per la democrazia americana". Esso sostiene che questa distorsione viene accresciuta dal modo in cui il nazionalismo cristiano "spesso si sovrappone e fornisce una copertura alla supremazia bianca e alla sopraffazione razziale". Il movimento ha ricevuto l’appoggio dei leader religiosi della maggior parte delle principali Chiese protestanti negli Stati Uniti, tra cui i battisti americani, gli episcopaliani, la Chiesa evangelica luterana d’America, i quaccheri, la Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti e il Consiglio nazionale delle Chiese.

Questa resistenza al nazionalismo religioso ha radici profonde nella maggior parte delle principali tradizioni religiose. Infatti, sia l’ebraismo sia il cristianesimo sostengono che ogni persona è stata creata a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,27). Pertanto, tutte le persone hanno in comune una sacralità che oltrepassa quei confini da cui nascono le identità nazionali. Anche nella religione musulmana questo riconoscimento trascende i confini nazionali, culturali e religiosi. L’unicità di Dio è l’idea centrale della fede musulmana, e tale unicità si riflette nell’unità della razza umana. Il Corano proclama che quest’ultima è stata creata da Allah come umma wahida, "una comunità" (Sura 2,213). Alla comunità musulmana, quindi, è affidato il compito di sostenere l’unità umana, nonostante le divisioni nazionali e religiose che sono sorte nel corso della storia. Un’analoga concezione dell’unità umana si riscontra anche in altre tradizioni.

La cultura dell’incontro nel pensiero di papa Francesco

Il superamento del nazionalismo religioso ci spinge quindi a riconoscere la dignità e il valore di tutte le persone, a prescindere dalla loro identità religiosa o nazionale. La fede genuina richiederà quello che papa Francesco ha definito un autentico "incontro" con la dignità personale degli altri, e comporta il dovere di rispondere a tale dignità con rispetto e cura. Per Francesco, "l’incontro" è un’attiva presa di coscienza della presenza e dell’effettivo valore dell’altro: è una sorta di risveglio alla realtà dell’altro, cioè alla sua dignità e alle sue necessità (...).

Il Papa sottolinea che l’incontro ha la sua prima manifestazione nell’interazione interpersonale, che raggiunge la sua pienezza nell’amore reciproco. Ma insiste anche sul fatto che l’incontro può avvenire comunitariamente, quando una comunità si impegna positivamente con un’altra, riconoscendone i valori e i diritti. L’incontro quindi può avvenire socialmente e può contribuire a formare macrorelazioni a livello sociale, economico e politico. Quando ciò avviene, l’incontro contribuisce alla promozione della giustizia e della pace all’interno delle comunità, e tra le nazioni a livello globale. E questo incontro comunitario può portare a quella che Francesco chiama "amicizia sociale", i cui effetti ricadranno anche sulle istituzioni politiche, favorendo in esse quello che può essere chiamato un "amore politico". Queste dimensioni sociali dell’incontro tra persone e comunità spingeranno ad adoperarsi per "creare istituzioni più sane, ordinamenti più giusti, strutture più solidali" (FT 186). Promuoveranno lo sviluppo di quella che Francesco chiama una "cultura dell’incontro".

All’inizio di Fratelli tutti, il Papa fa notare che alla preparazione di questa enciclica è stato invogliato in modo speciale dal grande imam della moschea di Al Azhar al Cairo, Ahmad Al-Tayyeb. Il Papa e il Grande Imam si erano già incontrati per preparare insieme il Documento sulla fratellanza umana, che hanno emanato congiuntamente ad Abu Dhabi nel febbraio 2019.

Finora nessun Pontefice aveva mai affermato che un importante documento papale fosse stato influenzato direttamente da un leader religioso non cristiano. Pertanto, gli incontri tra il Papa e il Grande Imam potrebbero condurre a un significativo progresso delle relazioni cristiano-musulmane sul piano istituzionale e a lungo termine. Le comunità cristiane e musulmane costituiscono insieme poco più della metà della popolazione mondiale; quindi, il passaggio dal conflitto e dalla violenza, che hanno spesso segnato le loro relazioni precedenti, all’interazione nel reciproco apprezzamento e nella solidarietà pacifica è certamente di grande significato storico e potrebbe rappresentare un importante contributo alla pace e alla giustizia globali.

La "cultura dell’incontro" di papa Francesco rafforza dunque la resistenza religiosa al nazionalismo religioso, che oggi rappresenta una grave minaccia per l’umanità. Spetta a noi accogliere l’invito di Francesco a incontrare le persone concrete e a riconoscerne le reali necessità. Ci viene chiesto anche di rispondere efficacemente a tale invito, creando istituzioni capaci di sostenere incontri che oltrepassino i confini divisivi del nostro mondo. Simili incontri e istituzioni sono decisivi per far progredire la pace e la giustizia, che oggi sono tanto necessarie.

(di David Hollenbach, da La Civiltà Cattolica, Quaderno 4142, 21 gennaio 2023)