Libia: tutti i misteri irrisolti che Bija porta con sé. Anche quelli italiani
L’ ex ufficiale della Guardia costiera – coinvolto in traffici di esseri umani, armi, droga e petrolio – è stato ucciso davanti all’Accademia navale che dirigeva. Figura controversa, non è mai stato chiarito che ruolo abbia avuto nelle trattative tra Italia e Libia sui migranti. Scavo: «Alcune nostre istituzioni sapevano chi fosse. Eppure non si è fatto nulla». Distratta l'informazione italiana. Da Nigrizia, intervista di Gianni Ballarini a Nello Scavo, inviato di Avvenire, tra i giornalisti che più hanno seguito la parabola del criminale libico assassinato domenica scorsa.
È un’ombra (ossessione?) che lo accompagna pure in ferie. Neppure una settimana di riposo e di stacco dai fronti di guerra (ucraino e israelo palestinese) ed ecco che si riapre il suo di fronte. Nel pomeriggio di ieri arriva a Nello Scavo, inviato dell’Avvenire, una telefonata da Tripoli: «Hanno ucciso Bija».
Abd al-Rahaman al-Milad, detto Bija (o Bidja) era un ex ufficiale della guardia costiera libica diventato, poi, responsabile dell’Accademia navale a Janzour, città della costiera libica a una ventina di km da Tripoli. Accademia dove formano i cadetti. Quelli che, almeno in parte, saliranno a bordo delle motovedette regalate dall’Italia per perlustrare il Mediterraneo alla ricerca di migranti.
Bija era un personaggio controverso. Certamente un criminale. Nel giugno del 2018, il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti aveva imposto sanzioni contro sei persone, tra cui lui, per «aver minacciato la pace, la sicurezza o la stabilità in Libia, attraverso il loro coinvolgimento nel traffico di migranti».
Nel luglio 2018, il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva incluso Bija nell’elenco delle persone sottoposte a sanzioni per il suo coinvolgimento nell’affondamento di imbarcazioni che trasportavano migranti e per la sua collaborazione con altri trafficanti.
«Era ritenuto a capo di una vera cupola mafiosa ramificata in ogni settore politico ed economico dell’area di Zawyah», città sulla costa occidentale libica. A metà ottobre 2020 venne imprigionato dall’ex Governo di accordo nazionale libico (Gna), sulla base di un mandato di arresto spiccato dall’ufficio del Procuratore generale. Le accuse erano sempre quelle: traffico di esseri umani e contrabbando di carburante. Rilasciato nell’ aprile del 2021, è stato accolto a Zawiya, come un eroe. Prima di essere rilasciato è stato perfino promosso: da capitano a maggiore.
Questo, in poche righe, il personaggio che Scavo aveva seguito nel suo quotidiano lavoro giornalistico. Ma tutto cambia ai primi di ottobre del 2019. L’inviato dell’Avvenire viene in possesso di una fotografia scattata l’11 maggio del 2017. Raffigurava un tavolo di lavoro, nel Cara di Mineo, tra esponenti del governo libico e quello italiano.
Tra i fotografati c’era pure Bija. «Quando il minibus coi vetri oscurati entra nel Cara di Mineo, solo in pochi conoscono la composizione della misteriosa delegazione da Tripoli». Iniziava così il pezzo di Scavo. Oggi, il volto di uno dei presenti è conosciuto da chiunque si occupi delle caotiche vicende libiche.
Ieri Abd al-Rahaman al-Milad è stato ammazzato mentre viaggiava con la sua auto proprio a Janzour davanti alla caserma dell’Accademia navale che dirigeva. La dinamica dell’agguato è ancora da accertare.
La lunga chiacchierata con Nello Scavo, tuttavia, inizia con un’autocritica. È rivolta al mondo dell’informazione: «Negli ultimi due anni è stato sottovalutato ciò che stava accadendo sul terreno libico. Abbiamo raccontato, giustamente, dei barconi e delle traversate nel Mediterraneo, delle polemiche conseguenti. Ma molto di quello che accade in mare è figlio di ciò che sta avvenendo in Libia, delle sue dinamiche silenziose, e che abbiamo smesso di raccontare. I riflettori, per le dimensioni dei conflitti, sono stati puntati sull’ Ucraina e su Israele e Palestina. Allo stesso tempo ci siamo dimenticati della Libia».
Anche se, in realtà, non si è mai smesso di parlare di Libia
Ma solo per la questione migranti. Oppure per le politiche legate al Piano Mattei. Ma questi piani, queste politiche hanno un senso se fanno i conti con quello che accade realmente in quel paese. Non sto puntando il dito solo su questo governo.
I Memorandum d’intesa con Tripoli sono stati rinnovati da tutti gli esecutivi. Ma chi oggi governa, nel 2017 (anno del primo Memorandum, firmato dall’allora presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni e dal Capo del governo di riconciliazione nazionale libico, Fayez Mustapa Serraj, ndr) era all’opposizione. Avrebbe gioco facile ad accusare e contestare al centrosinistra l’incoerenza sul tema libico e sui migranti. Invece, silenzio.
Ci sono una ventina di interrogazioni parlamentari: la maggior parte sono inevase. Non c’è una nota ufficiale che spieghi che cosa è successo. Che cosa è venuto a fare Bija in Italia per una settimana. Tappa per tappa. Sappiamo che 2-3 giorni è stato a Roma. Poi al Cara di Mineo e al porto di Catania. In foto recenti lo si vede a bordo delle motovedette regalate dall’Italia.
È difficile spiegare, ora, il perché sia stato ammazzato e da chi. Ma lei si è fatto un’idea, anche generica?
Partiamo dal presupposto che Abd al-Rahaman al-Milad era un personaggio centrale della vita pubblica libica. Forse è stato vittima di una faida interna alla sua brigata Shuhada al Nasr. Oppure può essere stato un segnale rivolto all’attuale governo di Tripoli, con cui aveva rapporti stretti. Magari un messaggio che qualcosa di nuovo sta per accadere. Era un tipo che si muoveva su molti piani.
Voci non confermate parlano di contatti anche con i russi vicini al generale Haftar, che ha il controllo dell’est del paese. Vere oppure no? Ora è interessante capire che cosa accadrà. Vedere che seguito avrà questo omicidio. Bisogna, inevitabilmente, aspettare qualche giorno.
Bija aveva mille sfaccettature. E mille complicità. Pensi a quella con il cugino Mohammed Koshlaf.
Nel suo libro Mal di Libia, la giornalista Nancy Porsia – che come lei ha seguito passo dopo passo le vicende libiche – scrive di Koshlaf che «chi pronuncia il suo nome lo fa in un sussurro appena». Ci sono racconti che «evocano quasi poteri sovrumani».
È accusato pure lui di traffico internazionale di esseri umani, torture e altri crimini. È direttore del Centro di detenzione ufficiale di Zawiyah e coinvolto nella gestione di altri campi di prigionia per i migranti. Bija e il cugino gestiscono il servizio di vigilanza petrolifera privata che protegge la più grande raffineria libica, sempre a Zawiyah.
I loro nomi sono finiti in un’indagine condotta dalla procura di Agrigento prima che il fascicolo finisse a Palermo. Si parla non solo di traffico di esseri umani, ma anche di armi, droga e petrolio. Affari diventati il core business di Bija.
E, come la mafia italiana, aveva infiltrato suoi uomini nei principali centri di potere libici. L’ultima relazione dell’antimafia italiana dedica un capitolo alla Libia, con i suoi porti usati come logistica per il traffico degli stupefacenti in accordo con la ´Ndrangheta.
In un tweet successivo all’assassinio, lei ha scritto che la morte di Abd al-Rahaman al-Milad «è una buona notizia solo per chi temeva che un giorno, magari davanti a un tribunale internazionale, potesse vuotare il sacco. A febbraio avevamo rivelato che da tempo era indagato in Italia. La giustizia non ha fatto in tempo». Chi è contento della sua morte?
Era custode di tanti segreti. Chi ci spiegherà, ad esempio, le ragioni del suo viaggio in Italia? Ha dimostrato di essere una figura protetta ai più alti livelli. L’Onu all’unanimità (cosa rara) aveva rinnovato le sanzioni contro di lui. Era ricercato dalla Corte penale internazionale. Non è successo niente. Anzi, è stato promosso. Tripoli l’aveva riconosciuto come una figura non sacrificabile.
Tocchiamo il capitolo Italia. Marco Minniti, in particolare. L’ex ministro dell’interno è stato quello che ha preparato la strada per la firma del Memorandum. Si è intestato la politica del finanziare i “notabili” libici per impedire le partenze dei migranti. Ed è con lui ministro che arrivò Bija in Italia. Minniti ha sempre detto che non sapeva affatto chi fosse. A suo avviso quali sono le sue responsabilità?
Una delle regole che mi son dato e che cerco di rispettare sempre è riconoscere la buona fede delle persone. E questo vale anche per Minniti. Mi si deve spiegare, però, come può essere successo che una settimana prima dell’arrivo di Bija in Italia, il Centro alti studi della difesa abbia pubblicato un documento in cui si indicava Bija tra i principali responsabili dei traffici di essere umani.
Forse la mano destra delle nostre istituzioni non conosce cosa fa quella sinistra? Il Centro studi dove ha preso quelle informazioni se non da fonti proprie, arrivate o dal ministero dell’interno o da quello della difesa o da quello degli esteri? Mi chiedo poi: ma se ci sono stati tanti rapporti ufficiali, anche dopo il 2019, in cui si descrive il ruolo di Bija, quello delle guardie costiere, quello dei “responsabili” dei centri di detenzione, ecco se sapevamo tutto questo perché abbiamo continuato a pagare e consegnare le motovedette?
Perché nei vari Memorandum non si è imposta l’esclusione di questi personaggi criminali, altrimenti non sarebbe stata consegnata alcuna motovedetta? Sosteniamo e finanziamo i campi dove persone sono prive di ogni diritto e torturate. Perché io, lei, i cittadini italiani devono essere complici con i nostri soldi di questa politica? Non può passare tutto questo sotto silenzio.
Ultima curiosità. In seguito alle sue inchieste ha ricevuto minacce e, per questo, le è stata assegnata una scorta…
La interrompo. Non amo parlare di questa mia vicenda personale. Posso solo dirle che non ho mai sporto denunce. E che per la prima volta un ministro della Giustizia, Carlo Nordio, in occasione del rinnovo della mia scorta ha parlato ufficialmente di «minacce di esponenti della mafia libica». Mafia libica. Vorrà pur dire qualcosa.
[Questo articolo di Gianni Ballarini è stato pubblicato sul sito di Nigrizia, al quale rimandiamo; Photo Credits: Nigrizia]