Sudan. Deriva libica?
La caduta della capitale del Nord Darfur (e dunque di tutta la regione occidentale) nelle mani delle Forze di supporto rapido potrebbe dare una svolta determinante al conflitto. Dopo 14 mesi di combattimenti uno degli scenari più accreditati che si prospettano è quello di uno smembramento del paese con la formazione di due governi nelle zone controllate rispettivamente dall’esercito e dai paramilitari. Cosa che pensano diversi osservatori e che temono molti sudanesi. E di cui si intravedono già i primi segnali. Ne riferisce Bruna Sironi su Nigrizia.
Non si ferma in Sudan la battaglia per il controllo di El Fasher.
La scorsa settimana un tentativo delle Forze di supporto rapido (RSF) di prendere il controllo della città si è risolto con la morte di uno dei loro più importanti comandati, Ali Yaqoub, alla testa delle operazioni in Nord Darfur. Ali Yaqoub era uno dei capi militari sanzionati all’inizio di maggio dagli Stati Uniti per aver contribuito a fomentare il conflitto nella regione e per essersi macchiato di gravi violazioni dei diritti umani.
Secondo un comunicato dell’esercito (SAF), nella battaglia la milizia avrebbe perso anche un migliaio di uomini – tra morti, feriti e prigionieri – e un centinaio di mezzi militari, compresi quelli che trasportavano le munizioni.
La morte di Yaqoub, confermata dalle stesse RSF, è considerata dall’esercito nazionale e dai suoi alleati una perdita gravissima non solo sul piano militare, ma anche sul piano della tenuta complessiva della milizia. Erano suoi, infatti, i legami con alcuni autorevoli leader tribali darfuriani che sostengono l’azione delle RSF con una spinta all’arruolamento dei loro giovani. Arruolamenti che le RSF continuano a portare avanti anche oltreconfine, in Ciad, Repubblica Centrafricana e Sud Sudan.
Le RSF, invece, minimizzano la perdita mentre continuano il loro posizionamento anche in diversi quartieri della città. Le SAF sono asseragliate nel loro quartier generale e ricevono rifornimenti paracadutati.
Il tentativo di prendere El Fasher è stato effettuato il giorno successivo alla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU che chiede di mettere fine all’assedio della città. Il documento, presentato dalla Gran Bretagna, è stato votato da 14 dei 15 componenti; la Russia si è astenuta.
L’episodio è significativo della considerazione di cui godono in questo momento in Sudan le richieste e le preoccupazioni della comunità internazionale.
Le SAF non sono da meno. In un discorso tenuto alle truppe in occasione della festa del pellegrinaggio (Eid al Adha, una delle più importanti del calendario musulmano), che cade in questi giorni, il generale Yasir al-Atta, assistente del comandante di stato maggiore, ha dichiarato che la guerra si concluderà sul campo di battaglia con la sconfitta delle RSF, non ad un tavolo negoziale.
Certamente non è un segnale positivo in generale, e in particolare alle RSF per motivarle ad alleggerire l’assedio di El Fasher.
Scenario libico
D’altra parte la presa della città potrebbe dare una svolta al conflitto, portando ad una soluzione di tipo libico. Lo pensano diversi osservatori e lo temono molti sudanesi.
Le SAF – che controllano il Sudan orientale, una parte del Sudan centrale e di Khartoum, e i territori lungo il corso del Nilo, ed esprimono il governo di fatto del paese – hanno dichiarato nelle scorse settimane che stanno lavorando ad una nuova carta costituzionale, in vista dell’insediamento di un nuovo governo, “legittimo”.
Se le RSF riuscissero ad installarsi a El Fasher, la capitale storica della regione che ormai dominano saldamente, potrebbero pensare di fare lo stesso. Ce ne sono già alcuni segnali. Un sito di informazioni locale, Radio Tamazuj, basato in Sud Sudan e di solito molto ben informato sul conflitto sudanese, dice che a Nyala, capitale del Sud Darfur, nei giorni scorsi si sono insediate nuove istituzioni amministrative e governative civili.
Il processo sarebbe in corso anche in altre zone della regione, con il beneplacito delle RSF e il convolgimento dei leader comunitari.
Nella conferenza stampa di presentazione del nuovo governo, Al-Zain Ahmed Al-Haj, capo dell’amministrazione civile, ha comunicato i nomi dei dieci ministri componenti il governo del Sud Darfur, e ha dichiarato che sta procedendo il processo di formazione di tutte le istituzioni amministrative ad ogni livello. La notizia non è stata finora ripresa da altri media.
Il post cita l’analista politico sudanese Hatim Ayoub Abu Al-Hassan che ritiene il provvedimento, che farebbe da contraltare al governo di Port Sudan, come una mera forma di pressione per rafforzare le proprie posizioni ad un eventuale tavolo negoziale e per avere consenso nelle aree sotto il loro controllo. Secondo Abu Al-Hassan le RSF non potrebbero procedere oltre, insediando un governo di fatto a livello regionale.
Sembra non essere dello stesso parere Yasir Arman, politico di lungo corso e membro autorevole del Tagadum, il coordinamento delle forze democratiche contrarie alla guerra. In un’analisi diffusa nei giorni scorsi parla esplicitamente della possibilità che le RSF stabiscano un loro governo, indipendente da Port Sudan, se riuscissero a prendere il controllo di El Fasher.
A quel punto il Sudan sarebbe diviso in due stati, secondo il modello libico, ancor più instabile di quanto non sia la Libia stessa, per la maggior complessità delle relazioni tra i gruppi etnici e i movimenti religiosi e politici sudanesi.
A parere di Arman, la ricerca di legittimità del governo di fatto di Port Sudan attraverso la promulgazione di una nuova Costituzione e l’insediamento di un nuovo governo, potrebbe aver messo in moto uguali ambizioni nelle RSF, portando di fatto ad una situazione destinata a prolungare la guerra, lo smembramento del paese e le sofferenze dei sudanesi.
Ma, argomenta Arman, la legittimità non si fonda su un pezzo di carta e su nuove istituzioni. SAF e RSF hanno già perso la propria per gli abusi commessi durante il conflitto e per aver condotto il paese alla catastrofe umanitaria.
[Questo articolo di Bruna Sironi è stato pubblicato sul sito di Nigrizia, al quale rimandiamo; Photo Credits: Nigrizia]