India: non si ferma la violenza interetnica nel Manipur, ma primi semi di un possibile dialogo

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Il bilancio delle vittime delle violenze in corso nello Stato indiano di Manipur (in India nordoccidentale) tra le comunità etniche Kuki e Meitei è salito a 98 persone uccise, come ha comunicato l'ufficio del Primo Ministro del Manipur. Secondo quanto riferito, più di 300 persone sono rimaste ferite, si sono verificati oltre 4.000 casi di incendio doloso mentre circa 37.000 persone sono attualmente in rifugi di soccorso. Secondo altre fonti locali - puntualizza l'agenzia vaticana Fides -, le vittime sarebbero oltre 200, in quanto continuano registrarsi quotidianamente casi di violenza. Il 2 giugno, oltre 200 case sono state bruciate nella zona di Sugnu, mentre sarebbero circa 300 gli edifici, chiese, cappelle o sale di culto cristiano (delle diverse confessioni), danneggiate o distrutte.

Il conflitto etnico tra le comunità Kuki e Meitei è iniziato il 3 maggio e da allora la situazione resta a instabile. Le violenze sono iniziate dopo una marcia di protesta cui hanno partecipato oltre 60.000 persone, organizzata dall'Unione degli studenti tribali del Manipur. Gli studenti si opponevano alla richiesta, inoltrata dall'Alta Corte del Manipur al governo statale, di inviare una raccomandazione al governo centrale perché includesse le comunità Meitei nella categoria di "Scheduled Tribe", (tribù riconosciuta), il che permetterebbe loro di accedere a vantaggi e soprattutto terreni riservati ad altri gruppi indigeni.

Il 30 maggio scorso il ministro dell'Interno dell'Unione, Amit Shah, ha visitato lo stato e ha chiesto a entrambe le comunità di mantenere 15 giorni di pace. Nonostante ciò, la violenza non è cessata. Il governo centrale indiano ha istituito una commissione per indagare sulle cause e sulla diffusione delle violenze. La commissione dovrebbe presentare il suo rapporto entro sei mesi. Secondo alcune organizzazioni locali della società civile, il primo ministro Biren Singh è tra coloro che hanno responsabilità dell'escalation della violenza. I Kuki affermano che le forze di sicurezza stanno lavorando con i Meitei per attaccare le loro comunità, mentre essi stanno solo agendo solo per autodifesa.

Nelle comunità tribali è diffusa la convinzione che vi sia un chiaro pregiudizio nel modo in cui i mass-media hanno riportato la violenza: secondo i rapporti stampa, gli ultimi casi di violenza siano stati compiuti dai militanti Kuki, provocando scontri con le forze di sicurezza del Manipur. In una conferenza stampa, il primo ministro Singh ha anche affermato che “oltre 40 terroristi" Kuki sono stati uccisi dalle forze di sicurezza in operazioni di difesa”. Tuttavia, nelle comunità locali si nota che attualmente, a causa del blocco della rete Internet, esteso fino al 10 giugno, e a causa della mancanza di accesso nelle aree collinari, i media hanno accesso solo alla narrazione di la comunità Meitei.

In questa delicata e intricata situazione, le comunità cattoliche locali notano che c'è un bisogno significativo di aiuti umanitari. Sebbene il governo abbia annunciato pacchetti di aiuti, le comunità affermano che ben pochi aiuti sono giunti nelle aree tribali. L’arcivescovo emerito di Guwahati, Thomas Menamparampil, ha notato che la violenza prosegue da oltre un mese ed è chiaro che misure adottate finora non sono state sufficienti per fermarla e gestire la crisi. Allo scopo di garantire la protezione delle comunità vulnerabili e degli stati sfollati, l'Arcivescovo ha avviato un monitoraggio della situazione e disposto una visita ad alcune zone raggiungibili, per far valere la sua vasta esperienza nei rapporti inter-etnici, e gettare i primi semi di un movimento di dialogo, riavvicinamento, riconciliazione.

(Fonte: Fides; Foto: Immagine di repertorio)