La crescente influenza dell’Islam in Bosnia-Erzegovina
Seppur la Bosnia Erzegovina si situi in un contesto geografico europeo, presenta tuttavia una peculiarità che non tutti si aspetterebbero: ben il 50% della sua popolazione è di fede islamica. Le radici di tale inclinazione religiosa si rimandano al potere ottomano rimasto nell’area fino agli inizi del ‘900. L'analisi di Armando Donninelli su Geopolitica.info.
Successivamente, alla fine dello stesso secolo, nel medesimo contesto si è combattuto uno dei più sanguinosi conflitti interetnici del nostro tempo ove, secondo dati forniti dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (TPIJ), i musulmani sono stati tra le principali vittime civili. Su un totale di quasi 100.000 morti, si stima che solo la comunità musulmana ne abbia da sola perso quasi i 2/3.
Secondo Harun Karcic, giornalista e autore di importanti pubblicazioni in materia di geopolitica dei Balcani, tale conflitto ha creato i presupposti per una crescita, sotto diversi profili, dell’influenza islamica in Bosnia Erzegovina.
La crescita di tale influenza non si adduce unicamente alle dinamiche interne del Paese. Infatti, tra gli attori esterni più attivi è da menzionare la Turchia che, cercando di riallacciare legami storici con il territorio, al tempo stesso, ha tentato di porre nuove basi per un’influenza sempre maggiore nella vita interna del Paese balcanico soprattutto attraverso l’ambito religioso.
Vi è poi il ruolo dei Paesi del Golfo Persico. Sfruttando i legami creatisi nel periodo della guerra in Bosnia, negli scorsi vent’anni hanno gradualmente proiettato gran parte dei loro investimenti proprio nella regione. In particolare, si tratta di cospicui trasferimenti di capitale destinati a vari settori tra i quali, quelli più imponenti, nell’ambito delle infrastrutture. Essi sono volti alla creazione di un vincolo oltreché economico anche di carattere politico e di affiliazione religiosa.
Va inoltre evidenziata l’azione dell’islamismo radicale che, con l’insegnamento di dottrine elaborate in contesti terzi, ha creato le basi per elementi nuovi, come ad esempio il caso dei foreign fighters di nazionalità bosniaca impiegati tra le fila dell’ISIS.
Il ruolo della Turchia
A partire dal 2002, cioè dall’avvento al potere in Turchia del partito di orientamento islamico AKP, Ankara ha operato con grande impegno per rinsaldare gli storici legami con la Bosnia Erzegovina. Lo strumento principale di tale azione è stato il grande flusso di denaro per restaurare i monumenti, comprese le moschee, risalenti al periodo del dominio ottomano, spesso trascurati durante il comunismo e non di rado danneggiati nel conflitto degli anni ‘90.
La Turchia ha poi agito nel settore dell’educazione attraverso borse di studio, creazione di scuole e corsi di formazione. Tali attività, nelle quali sovente ha un ruolo centrale la componente religioso, sono state viste in modo positivo dalla maggior parte dei bosniaci in quanto Ankara si fa promotrice una visione moderata dell’Islam, simile a quello riconosciuto tradizionalmente in Bosnia Erzegovina.
Il governo turco, sotto la guida dell’AKP, ha poi provveduto a rafforzare gli scarsi legami economici precedentemente esistenti. Nel 2003 è stato stipulato tra i due Paesi un accordo libero scambio che, conseguentemente, ha fatto lievitare l’interscambio commerciale tra i due Paesi dai 70 milioni di dollari di allora fino ad oltre un miliardo di dollari di oggi. Proseguendo in questa strategia Ankara, tramite imprese turche comunque collegate al governo, ha fatto rilevanti investimenti nel settore minerario ed alimentare del Paese balcanico.
Quest’attivismo della Turchia viene visto complessivamente in modo positivo dai cittadini bosniaci. Nel 2017 l’International Republic Institute ha condotto un sondaggio in Bosnia-Erzegovina da cui risulta che la percezione della Turchia come Paese amico e alleato fidato è molto diffusa tra la popolazione, in particolare tra le persone di fede islamica.
L’influenza della Turchia è cresciuta anche grazie ai buoni rapporti che ha con la Serbia e agli sforzi congiunti dei due Paesi per cercare di far rispettare gli Accordi di Dayton del 1995 e che sono alla base della convivenza tra gruppi etnici in Bosnia-Erzegovina. La componente islamica della popolazione vede in lui un correligionario e un protettore da quello che viene percepito come il nemico più pericoloso, vale a dire la Serbia.
Il ruolo dei Paesi del Golfo Persico
Durante il conflitto degli anni ‘90 i paesi del Golfo Persico aiutarono notevolmente i musulmani della Bosnia-Erzegovina, sia nell’assistenza ai profughi che nell’acquisto di armi. Il supporto al Paese balcanico continuò nel periodo post bellico, in particolare nel campo dell’educazione, che cominciava a caratterizzarsi sempre più con inclinazione religiosa, ma anche provvedendo alla formazione nel Golfo Persico di un notevole numero di imam bosniaci destinati poi a operare nel proprio Paese d’origine.
Ciò creò i presupposti per un solido legame che, con l’arrivo del nuovo millennio, si sarebbe ulteriormente rafforzato con consistenti investimenti di carattere economico in un Paese che usciva fortemente danneggiato dal conflitto.
Furono in particolare il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti a impiegare ingenti quantità di denaro per costruire hotel, resort e altre strutture di lusso destinate ad una clientela prevalentemente araba. Quest’ultima, peraltro, è oggi massicciamente presente a Sarajevo e in altre località del Paese.
L’Arabia Saudita, invece, si è concentrata soprattutto sulla diffusione della sua visione conservatrice dell’Islam. In tale ottica si pone la costruzione, finanziata da Riyadh, della moschea Re Fahd, la più grande del Paese. Questo luogo di culto e propaganda, gestito dai sauditi, costituisce un importante punto di riferimento per i fedeli di tutto il Paese, ma è anche guardato con diffidenza da molti analisti per la rigida interpretazione del Corano che è alla base delle sue molteplici attività.
Un discorso a parte merita l’Iran che nel corso del conflitto degli anni 90 era riuscito a instaurare un rapporto privilegiato con il ceto dirigente musulmano, grazie soprattutto all’aiuto militare. Tuttavia, una volta terminata la guerra, le potenze occidentali hanno fatto una forte pressione, coronata da successo, diretta a espellere dal Paese consiglieri e agenti di sicurezza iraniani. Per cercare di continuare ad avere una presenza di rilievo nel Paese balcanico, Teheran fondò l’Istituto Ibn Sina. Specializzato, quest’ultimo, nella diffusione di materiale religioso, nel corso degli anni è riuscito ad ottenere una certa influenza negli ambienti teologici del Paese.
Il ruolo del radicalismo islamico
Secondo Ahmet Alibasic, Professore di Cultura e Civilizzazione Islamica alla Facoltà di Studi Islamici dell’Università di Sarajevo, l’Islam praticato nel Paese è stato in passato caratterizzato da moderazione e tendenza ad assimilare i valori europei. Questo profondo conoscitore dell’Islam della Bosnia Erzegovina ritiene però che il radicalismo islamico, lentamente ma in maniera efficace, abbia iniziato ad espandersi proprio con il conflitto degli anni ‘90.
In quel periodo arrivarono dal Medio Oriente numerosi combattenti in nome della Jihad. Il Direttore del Centro per la Politica di Sicurezza di Belgrado, Predrag Petrovic, ritiene che in totale furono circa 2000 individui a cui, al termine della guerra, a 600 di loro venne concessa la cittadinanza. Consentire la permanenza di queste persone, costituì secondo l’analista, un primo elemento di rottura con la versione tradizionale dell’Islam bosniaco.
Iniziarono a sorgere delle piccole comunità a carattere religioso denominate para-jamaat operanti sul territorio, senza veri e propri controlli, in aree isolate del Paese. Su questo terreno fertile, ha iniziato a diffondersi la dottrina fondamentalista del salafismo. Edina Becirevic, un’esperta di pubblica sicurezza dell’Università di Sarajevo, ritiene che nel paese gli aderenti al salafismo oscillino tra i 20.000 e i 50.000.
La pericolosità di queste strutture è stata confermata da un rapporto elaborato dall’Atlantic Initiative, in base al quale provenivano prevalentemente da tali strutture i circa 200 bosniaci andati a combattere con l’ISIS.
Ad oggi, quindi, la situazione in Bosnia Erzegovina rimane caratterizzata dalla compresenza di comunità musulmane da approcci estremamente eterogenei: le versioni più moderate, caldeggiate anche da forze esterne quali la Turchia, si relazionano con realtà più fondamentaliste favorite dallo sviluppo della tecnologia che ha reso possibile il raggiungimento di numeri considerevoli di fedeli.
Anche se con sfumature diverse l’Islam guadagna sempre maggiore spazio in questo Paese europeo, ciò nell’inerzia dell’Europa e più in generale del Occidente.
(Fonte: Geopolitica.info - Armando Donninelli; Foto: Pixabay/Neva79)