La politica di papa Francesco sull’Ucraina? “Fallimentare” secondo l’Economist

In vista del primo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina, è uscito sulla stampa internazionale uno dei giudizi più impietosi sulla diplomazia messa in campo da papa Francesco per porsi come mediatore e favorire la fine del conflitto. Una politica addirittura “fallimentare” l’ha giudicata l’Economist in un articolo pubblicato a cavallo del Natale. “Papa Francesco non è riuscito a essere un mediatore spirituale in Ucraina”, il titolo del prestigioso settimanale britannico. “La sua sfiducia nei confronti dell’America sembra impedirgli di vedere con chiarezza Vladimir Putin”.
L’Economist ha ripercorso gli snodi principali della diplomazia del Pontefice in questo anno di guerra partendo dall’assidua attenzione di Francesco per il Paese attaccato. “Ogni volta che papa Francesco alza lo sguardo dai suoi scritti, gli viene in mente l’Ucraina. Sulla sua scrivania siede un’icona che ha acquisito quando era arcivescovo di Buenos Aires come regalo di addio da uno dei suoi vescovi, Sviatoslav Shevchuk, che nel 2011 è tornato a Kiev per guidare la Chiesa greco-cattolica ucraina. Era tra i pochi beni che Francesco portò a Roma”, ha ricordato. “La profondità della sua preoccupazione per l’Ucraina è diventata evidente l’8 dicembre, quando si è commosso fino alle lacrime”, menzionando le sofferenze del Paese durante l’invocazione in Piazza di Spagna a Roma, ai piedi della Statua dell’Immacolata.
Tuttavia, con l’avvicinarsi del Natale, ha sottolineato l’Economist, “è stato chiaro che gli sforzi di Francesco per posizionarsi come mediatore tra Russia e Ucraina sono falliti”. Il Papa “è un outsider in uno scontro tra due Paesi a maggioranza ortodossa”. Quasi un intruso, insomma. E “si è anche ripetutamente inimicato sia ucraini che russi con le sue dichiarazioni e omissioni”.
Il magazine finanziario ha ricordato che all’inizio della guerra, il Papa ha condannato l’invasione come “aggressione armata inaccettabile”, ha denunciato i massacri di Bucha e ha baciato una bandiera ucraina inviatagli dalla città. In un’intervista ha avvertito il capo della Chiesa ortodossa russa, il patriarca Kirill, di non diventare “il chierichetto di Putin”. Ma non ha identificato la Russia come “l’aggressore”. In un’intervista pubblicata a giugno sembrava anzi rivolgersi ai leader russi, dicendo che l’invasione era stata “forse in qualche modo provocata” e mettendo in guardia dal considerare la guerra come una semplice storia di bene contro male.
Più recentemente Francesco è stato più critico nei confronti del Cremlino, in particolare dopo l’incontro con l’arcivescovo Shevchuk il 7 novembre scorso. E in quel mese ha irritato il regime di Mosca dichiarando che le truppe di due minoranze etniche, ceceni e buriati, erano le più crudeli. Dopo di che il Vaticano ha dovuto inviare un’insolita lettera di scuse.
“Questo zigzagare – ha sentenziato l’Economist – riflette alcune delle caratteristiche salienti del pontificato di Francesco. È aperto alle interviste e riluttante ad ascoltare i diplomatici ufficiali del Vaticano, formando invece le sue opinioni nelle conversazioni con una cerchia mutevole di interlocutori”. Ma il primo Papa latinoamericano “ha anche una profonda sfiducia nei confronti degli Stati Uniti e ritiene che il posto del Vaticano si trovi da qualche parte tra l’Occidente e i suoi nemici. La sua incapacità di vedere l’ovvio in Ucraina evidenzia i limiti di tale tentativo di equidistanza”.
Purtroppo, gli scarsi risultati raggiunti dalla diplomazia vaticana, l’impossibilità per il Papa di assumere un ruolo di mediatore, e anche quella di recarsi a Kiev e a Mosca, come più volte ha esplicitato di voler fare, dànno ragione all’inesorabile analisi del settimanale della City. E in tal senso, parole pressoché definitive sullo stallo diplomatico in cui si trova la Santa Sede le ha dette il segretario per i Rapporti con gli Stati, arcivescovo Paul Richard Gallagher il 20 gennaio, interpellato dai giornalisti a margine di un dibattito sulla pace promosso da Comunione e Liberazione.
Alla domanda se a un anno dall’inizio della guerra possa esserci un’iniziativa della Santa Sede, Gallagher ha risposto: “No, noi cerchiamo di mettere i nostri buoni uffici a disposizione di tutti. Il Papa rimane sempre di questa opinione: che la Santa Sede deve essere pronta, disponibile ma per fare una iniziativa propria. Uno deve sentire il desiderio dell’altro e che sia anche l’ambizione degli altri. In questo momento le ambizioni delle parti in guerra non sono per una iniziativa di pace”.
Oltre a ribadire che per ora il Papa non andrà a Kiev, alla domanda se creda che nessuna delle due, Russia e Ucraina, vogliano il negoziato, Gallagher ha replicato: “Loro dicono sempre che forse c’è un ruolo per la Santa Sede, ma perché ci sia una pace giusta bisogna avere trattative, negoziati, e non sembra ci siano. Non sembra che le parti siano pronte a riceverli e che possano accettare le proposte dell’altro. Siamo ancora in una situazione di conflitto, di guerra, e questo è il linguaggio del momento”.
E sul fatto che lui stesso, per la soluzione del conflitto, abbia evocato di recente l’impensabile, ha spiegato: “forse c’è qualcuno, qualche gruppo di persone o istituzione, che può tirare fuori un coniglio dal cilindro. Non bisogna escludere niente. La situazione è talmente grave e non solo per l’Ucraina, o per l’Europa, ma per tutto il mondo. Non c’è una parte del mondo che non sia coinvolta dal conflitto. Tanto che bisogna continuare a pregare e a implorare: forse solo l’aiuto divino ci tirerà fuori da questa situazione”.