L'INTERVENTO / I cattolici a servizio del Paese

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Di Franco Garelli, sociologo (da Vita Pastorale di luglio)

La 50a Settimana sociale dei cattolici italiani, a Trieste dal 3 al 7 luglio, si delinea all’insegna delle sorprese. Quella di maggior richiamo pubblico ed ecclesiale riguarda le figure molto autorevoli che hanno garantito la loro presenza, in quanto sia papa Francesco sia il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, partecipano in due momenti diversi ai lavori di questo importante appuntamento. Per la tradizione delle Settimane sociali questa doppia e prestigiosa presenza di Francesco e del presidente Mattarella costituisce un fatto unico, del tutto particolare, che può segnalare un doppio riconoscimento: da un lato l’assoluta rilevanza che viene attribuita al tema prescelto in questa occasione (Al cuore della democrazia); dall’altro il favore con cui oggi si guarda alle Settimane sociali come “strumento” per meglio qualificare la presenza dei cattolici a servizio del Paese.

Un’altra sorpresa, questa meno eclatante ma comunque significativa, riguarda la modifica (introdotta dal Comitato preparatorio) del titolo di questa istituzione cattolica. Fino a ieri – come si legge nel documento base – la dizione era “Settimana sociale dei cattolici italiani”, mentre d’ora in poi si chiamerà “Settimana sociale dei cattolici in Italia”, per sottolineare un intento più inclusivo: come attenzione «alla presenza nel nostro Paese e nelle nostre comunità di persone provenienti da tanti luoghi del mondo, da Paesi cristiani ma non solo, da Paesi in guerra, da Paesi dove la democrazia e i diritti umani vengono negati». Trieste, inoltre, sede dell’evento e luogo di confine, è da questo punto di vista la città simbolo dell’incontro di persone che giungono da ogni dove, anche di cristiani la cui fede è maturata nelle terre più diverse.

Novità si riscontrano anche sul tema al centro di questa Settimana sociale, che è quello classico della partecipazione sociale e politica, espresso nel titolo Al cuore della democrazia. Al riguardo, ciò che colpisce non è la scelta di un argomento che rientra a pieno titolo nella tradizione delle Settimane sociali, istituite (più di cent’anni or sono) per stimolare – in ogni stagione storica – l’elaborazione culturale ed etico-sociale dei cattolici su temi di particolare rilevanza pubblica; quanto la particolare prospettiva con cui si intende affrontare in questa circostanza il tema della democrazia.

Detto in altri termini, la riflessione sulla democrazia che ruota attorno all’appuntamento di Trieste sembra avere un volto assai diverso rispetto al modo politicamente più specifico e qualificato con cui questo tema è stato trattato nelle precedenti Settimane sociali; e a come, perlopiù, lo si affronta quando si parla dell’urgenza che i cattolici si impegnino anche in campo politico.

Per la verità, non manca nel documento preparatorio il richiamo al contributo che i cattolici devono dare «per rispondere alle sfide che l’Italia, l’Europa e il mondo sono chiamati ad affrontare»; così come qua e là si fa riferimento alle «difficoltà che la democrazia incontra in varie parti del mondo», individuabili nella scarsa tenuta delle istituzioni, nel mancato coinvolgimento popolare nei processi decisionali, nella crescita di un individualismo che ostacola l’idea del bene comune. Tutti aspetti che indicano i problemi di fondo su cui i cattolici che operano in politica devono impegnarsi per dare un volto più umano e più solidale alle nostre società. Ma dopo questi accenni iniziali, il discorso sul tema della democrazia e della partecipazione sociale e politica, vira in un’altra direzione.

Più che entrare nel merito delle questioni che oggi mettono a rischio la nostra democrazia (per rendere il mondo cattolico più consapevole della posta in gioco e per spingerlo a maggiormente attivarsi in questo campo), la Settimana sociale di Trieste tratta del tema della democrazia in termini generali o propedeutici, più in modo ideale che connesso ai problemi dell’epoca attuale (e, in particolare, della situazione italiana), più con un taglio pre-politico che politico.

C’è certamente un accenno critico in questa mia osservazione, anche se posso comprendere le ragioni di questo diverso orientamento. La critica sta nel rischio che con questa impostazione la Settimana sociale non rifletta (o non si esponga) sulle questioni che oggi lacerano il dibattito pubblico, da cui dipendono le sorti della nostra democrazia.

E che in tal modo possa venir meno sia alla sua funzione di orientare la coscienza ecclesiale su temi di grande rilevanza pubblica, sia di offrire stimoli e riflessioni ai cattolici, ancor oggi impegnati in campo politico e in campo istituzionale. E ciò in una stagione particolare del nostro Paese, in cui si sta discutendo di una serie di riforme costituzionali (quella del premierato, della perdita di rilevanza del ruolo del presidente della Repubblica, dell’autonomia delle Regioni) che possono profondamente modificare il volto politico dell’Italia; e in una situazione di diffuso astensionismo elettorale (come s’è visto, ancora una volta, nelle recenti elezioni europee), nonché attraversata da istanze populiste e sovraniste che si riversano anche sulle scelte dell’Italia a livello europeo.

Tuttavia, il nuovo orientamento in tema di democrazia da parte dell’attuale Settimana sociale si può comprendere, in quanto teso a coltivare nei cuori il desiderio della democrazia, a far riscoprire la bellezza della partecipazione, a costruire dal basso dei legami tra le persone in grado poi di produrre delle “buone decisioni”. Si sta, dunque, applicando al campo di riflessione e di azione delle Settimane sociali (che ha sempre più riguardato la presenza sociale e politica dei cattolici e la loro possibilità di incidere nella “città terrena”) lo stesso metodo che è stato scelto per realizzare il Sinodo della Chiesa italiana tuttora in corso. La sinodalità è un processo di costruzione ecclesiale, che porta i suoi frutti sui tempi lunghi; così come la democrazia è l’educazione dei cuori, un atteggiamento da costruire nel tempo. Tutto vero, tutto sacrosanto, perché per i cattolici la conversione dei cuori e il fattore educativo suonano come delle “verità” decisive.

Ma vi sono dei campi (quelli da sempre trattati dalle Settimane sociali) che richiedono anche altri stimoli e altre riflessioni. Perché il volto della Chiesa è anche quello dei credenti laici che operano politicamente nella contingenza storica, si battono per un modello di società più inclusivo, per coniugare sicurezza e solidarietà, per evitare derive politiche autoritarie che mettono a repentaglio le condizioni della democrazia. È anche a questa parte dei credenti impegnati in politica che la Chiesa e la comunità cristiana devono far sentire la loro voce, dare supporto di idee e di discernimento.

A meno che si ritenga che la presenza cattolica in politica sia ormai marginale o insignificante, e che essa non sia più in grado di incidere nella realtà. Per poi lasciare magari ai vescovi l’incombenza di intervenire su temi che la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre ritenuto di specifica competenza del laicato cattolico ben formato e maturo.

[Photo Credits: Conferenza Episcopale Italiana]