Israele-Hamas: Nasrallah rompe il silenzio

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Il leader di Hezbollah avverte: “Cessare il fuoco per evitare una guerra regionale”, ma Israele dice ‘no’ alle pause chieste da Blinken. Leggiamo il punto dell'ISPI, Istituto peer gli Studi di Politica internazionale.

“Alcuni si aspettavano che io oggi annunciassi la guerra. Ma siamo in guerra dall’8 ottobre”. In un discorso dai toni incendiari e davanti a folle di sostenitori che gremivano le piazze del Libano, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, è intervenuto sulla guerra in corso tra Israele e Hamas per la prima volta dallo scoppio del conflitto. Tuttavia, retorica a parte, le parole del leader delle milizie sciite – principale forza militare nonché vero e proprio esercito indipendente - hanno chiarito la posizione dell’organizzazione riguardo gli eventi in corso e le possibilità di un’escalation che coinvolga il Libano. Il suo era un discorso molto atteso, non sono dalle opinioni pubbliche e dai governi della regione, poiché avrebbe potuto annunciare l’entrata in guerra del movimento e con esso dell’intero Libano, contro Israele. Considerato che la capacità militare di Hezbollah è di molto superiore a quella di Hamas, un suo coinvolgimento su larga scala rischierebbe di derubricare le violenze attualmente in corso nella Striscia a un capitolo secondario di una guerra più ampia e dalle conseguenze imprevedibili. Invece, nell’intervento durato circa un’ora, Nasrallah ha ribadito che alla fine “il popolo palestinese vincerà la sua battaglia” e che il Libano sarà “sempre al fianco dei fratelli palestinesi”, ma non ha annunciato alcuna escalation. Anzi, il religioso ha sottolineato che l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso “è stato progettato e realizzato al 100% dal movimento di resistenza palestinese” e che Hezbollah e le altre forze di resistenza della regione “non ne erano state informate”.

Cosa ha detto Nasrallah?

Anche se non aveva parlato finora, era difficile pensare seriamente che il leader di Hezbollah non stesse seguendo attentamente le evoluzioni in corso a Gaza. E molti in Libano – un paese in ginocchio a causa di una deriva economica e istituzionale senza precedenti – temevano che il movimento potesse decidere di trascinarli in una guerra che si rivelerebbe catastrofica per il paese. Invece, nel suo discorso, Nasrallah ha dichiarato che “siamo già in guerra dall’8 ottobre”. Poi, rivolgendosi ai leader dei paesi petroliferi arabi ha intimato loro di non fornire più petrolio a Israele. “Non vi chiediamo di mandare i soldati, ma di avere un minimo di onore e di cessare di inviare petrolio a Israele”, ha dichiarato. Nasrallah ha detto di ritenere gli Usa “i principali responsabili dei massacri perpetrati a Gaza” e ribadito che si deve operare per “far cessare il fuoco”. In alternativa, ha chiarito, Hezbollah è pronto a tutte le opzioni, “e possiamo farvi ricorso in qualsiasi momento”. I combattimenti al confine tra Libano e Israele “non si limiteranno” alla portata vista finora, ha aggiunto. Nel complesso però, concordano gli osservatori, il capo delle milizie sciite sembra aver preso le distanze dall’attacco del 7 ottobre – a cui pure ha plaudito – senza mostrare particolare volontà di ingaggiare una nuova guerra contro lo Stato ebraico, avvertendo nel contempo che “tutte le opzioni restano sul tavolo”.

Blinken chiede una pausa?

Intanto, questa mattina, il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha iniziato la sua visita nella regione incontrando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Nel corso dei colloqui, come anticipato prima della sua partenza da Washington, il Segretario ha chiesto ‘pause’ per consentire l’ingresso degli aiuti a Gaza, dove proseguono i bombardamenti e l’avanzata dell'esercito israeliano. Gli Stati Uniti si sono detti più volte favorevoli a questa ipotesi ma non ad un cessate-il-fuoco vero e proprio, contro il quale hanno votato più volte in varie sedi Onu. Quello di oggi è il secondo incontro di Blinken con il primo ministro israeliano da quando è iniziato il conflitto lo scorso 7 ottobre, in seguito al brutale attacco di Hamas, in cui oltre 1400 israeliani, per lo più civili, sono rimasti uccisi e circa 240 presi in ostaggio. Da allora, gli attacchi di Israele contro la Striscia di Gaza hanno ucciso almeno 9mila persone, tra cui 3.760 bambini, ha detto giovedì il ministero della Sanità a Gaza gestito da Hamas, mentre esperti indipendenti delle Nazioni Unite hanno avvertito che i palestinesi nel territorio sono a “grave rischio di genocidio”. “Chiediamo a Israele e ai suoi alleati di accettare un cessate il fuoco immediato. Il tempo a nostra disposizione sta per scadere”, ha affermato in una nota il gruppo dei relatori speciali delle Nazioni Unite. L’arrivo di Blinken è coinciso con la decisione del governo israeliano di rimandare migliaia di lavoratori palestinesi transfrontalieri - in Israele e Cisgiordania - nella Striscia di Gaza.

Già si pensa al dopo-Netanyahu?

Intanto, però, sul terreno la guerra non sembra conoscere battute d’arresto. Nelle ultime ore, infatti, l’esercito israeliano sta serrando l’accerchiamento intorno a Gaza City ed è di poco fa la notizia – riferita dal ministero della Sanità palestinese – secondo cui diverse persone sarebbero morte e decine di altre ferite in un attacco israeliano contro un convoglio di ambulanze vicino all'ospedale al-Shifa.  Inoltre, subito dopo l’incontro con Blinken, il premier Netanyahu ha annunciato che “non ci saranno pause fino a quando gli ostaggi non saranno rilasciati”. Il primo ministro israeliano ha annunciato inoltre – con parole che stonavano messe accanto a quelle dell’inviato statunitense che invocava una ‘pausa’ nelle violenze sulla popolazione civile - che non consentirà neanche l’ingresso di carburante nell’enclave. D’altronde, alcuni temono che il premier possa spingere per una escalation – osserva Politico – proprio mentre i suoi giorni al potere sarebbero arrivati al termine. “Ci sarà una resa dei conti con la società israeliana su ciò che è accaduto” osserva un funzionario israeliano “e alla fine della catena, la responsabilità si ferma sulla scrivania del premier”.

Il commento. di Mattia Serra, ISPI MENA Centre

“Al di là del pathos e della retorica, il discorso di Nasrallah sembra essere una risposta a due domande. A chi chiede chi fosse l'artefice dell'attacco del 7 ottobre, il leader di Hezbollah risponde che è stata la resistenza palestinese, negando quindi il coinvolgimento del partito-milizia o dell'Iran nella decisione di intraprendere l'attacco. A chi invece chiede se Hezbollah entrerà nel conflitto, Nasrallah risponde che il partito-milizia nel conflitto è già entrato, e lo ha fatto l'8 ottobre. Una formula che sembra indicare che Hezbollah sta già facendo la sua parte e, quindi, un allargamento del conflitto non è considerato per ora necessario. Tuttavia, il livello di tensione rimane alto e in un contesto così fragile, basta un singolo errore a far precipitare la situazione”.

(Fonte: ISPI; Foto: Shalom.it)