Un mondo di persone in fuga

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Conflitti e insicurezza generano un numero record di sfollati. Ma ad accoglierli sono i paesi più poveri mentre quelli ricchi mancano di affrontare le cause profonde delle migrazioni forzate. Leggiamo il punto di Alessia De Luca per l'ISPI.

Mai prima d’ora c’erano stati tanti sfollati. Una persona ogni 69 nel mondo è in fuga da guerre, violenza o persecuzioni e ogni minuto 20 persone sono costrette ad abbandonare le proprie case.  In tutto sono 120 milioni, più del doppio della popolazione italiana, circa 1,5% della popolazione mondiale. Se formassero un paese, sarebbe il tredicesimo più popoloso al mondo, subito dopo il Giappone. Circa la metà sono bambini. A far ingrossare le fila di quest’umanità in fuga – tra cui figurano 43 milioni di rifugiati – sono i conflitti sempre più diffusi, la crisi climatica, l’insicurezza alimentare ed energetica. Tutti fattori che negli ultimi anni hanno costretto un numero sempre crescente di persone ad abbandonare le proprie case o il proprio paese alla ricerca di sicurezza e protezione. A riferirlo è il rapporto Global Trends 2024 diffuso da Unhcr in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, che si celebra ogni anno il 20 giugno. Secondo i dati, nel 2024 il 73% di tutti i rifugiati al mondo provengono da soli cinque paesi: Afghanistan (6,4 milioni), Siria (6,4 milioni), Venezuela (6,1 milioni), Ucraina (6 milioni) e Palestina (6 milioni).

Una storia lunga 73 anni?

Quando nel 1951 le Nazioni Unite istituirono la Convenzione sui rifugiati, per proteggere i diritti dei rifugiati in Europa all’indomani della Seconda Guerra Mondiale i rifugiati erano circa 2 milioni. Nel 1967, la convenzione fu ampliata per includere tutti gli sfollamenti nel resto del mondo. Nel 1980, il numero di rifugiati registrato dalle Nazioni Unite superò per la prima volta i 10 milioni. Le guerre in Afghanistan ed Etiopia degli anni ’80 hanno fatto raddoppiare quel numero, arrivato a 20 milioni nel 1990. Da allora il numero di rifugiati è rimasto abbastanza costante per i due decenni successivi fino a quando l’invasione statunitense in Afghanistan nel 2001 prima e quella dell’Iraq nel 2003 poi, insieme alle guerre civili in Sud Sudan e Siria, hanno portato il numero di rifugiati a superare i 30 milioni entro la fine del 2021. La guerra in Ucraina, iniziata nel 2022, si è rivelato un innesco di rifugiati tra i più gravi dalla Seconda Guerra Mondiale, con 5,7 milioni di persone costrette a fuggire dal paese in meno di un anno. Nel 2023, il conflitto in Sudan tra l’esercito e i paramilitari delle Forze di supporto rapido ha aumentato il numero di rifugiati di altri 1,5 milioni.  Negli ultimi mesi, la guerra nella Striscia di Gaza ha peggiorato la condizione di un popolo per le cui esigenze di rifugiati le Nazioni Unite hanno creato un’agenzia specifica: l’Unrwa, dedicata a sostener i bisogni dei rifugiati palestinesi.

Dove si stabiliscono i rifugiati?

Oggi quasi il 70% dei rifugiati e di altre persone bisognose di protezione internazionale vivono in paesi vicini a quelli di origine e il 75% dei rifugiati viene accolto nei paesi a basso e medio reddito. Ad esempio, quasi tutti i rifugiati in Iran e Pakistan sono afghani, mentre la maggior parte dei rifugiati in Turchia sono siriani. Negli ultimi dieci anni, il numero dei rifugiati è aumentato in questi principali paesi ospitanti, ad eccezione della Turchia, dove i numeri sono diminuiti del 14% dal 2021. A livello globale, la Germania è l’unico grande paese ospitante che non confina con i principali paesi di origine dei grandi flussi, mentre le maggiori popolazioni di rifugiati sono ospitate da Iran (3,8 milioni), Turchia (3,3 milioni), Colombia (2,9 milioni), Germania (2,6 milioni) e Pakistan (2 milioni). Anche per questo l’Unhcr ribadisce che, nonostante i toni spesso emergenziali, la portata reale dei flussi verso l’Italia e l’Europa tende ad essere sovrastimata: se tre quarti dei rifugiati viene accolto nei paesi a basso e medio reddito, lo scorso anno le persone sbarcate sulle coste italiane sono state poco meno di 160mila”.

Aiutarli a tornare a casa?

“Dietro a questi numeri, in netto aumento, si nascondono innumerevoli tragedie umane. Questa sofferenza deve spingere la comunità internazionale ad agire con urgenza per affrontare le cause profonde degli sfollamenti forzati”, ha dichiarato Filippo Grandi, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. “È giunto il momento che le parti in conflitto rispettino il diritto bellico e il diritto internazionale. Il fatto è che senza una cooperazione migliore e sforzi concertati per affrontare conflitti, violazioni dei diritti umani e crisi climatica, il numero di persone costrette alla fuga continuerà a crescere, portando nuova miseria e costose risposte umanitarie”. Gli ha fatto eco il Segretario Generale Antonio Guterres ricordando che “dal Sudan all’Ucraina, dal Medio Oriente al Myanmar, alla Repubblica Democratica del Congo e oltre, i conflitti, il caos climatico e gli sconvolgimenti stanno costringendo un numero record di persone ad abbandonare le proprie case e alimentando profonde sofferenze umane”. Di fronte a questo fenomeno in crescita, ha dichiarato il Segretario Generale “dovremmo impegnarci a riaffermare la responsabilità collettiva del mondo nell’assistere e accogliere i rifugiati… nel sostenere i loro diritti umani, compreso il diritto di chiedere asilo… nel salvaguardare l’integrità del regime di protezione dei rifugiati… e, infine, nel risolvere i conflitti in modo che coloro che sono costretti a lasciare il loro paese le comunità possano tornare a casa”.

Il commento di Matteo Villa, Senior Research Fellow ISPI

"Quello di oggi non è di certo il periodo più violento della storia umana. A peggiorare in maniera drammatica è stata però la nostra capacità di risolvere i conflitti. Siria, Venezuela, Afghanistan -- e Palestina, naturalmente. Anno dopo anno, aumentano le "crisi protratte": conflitti che durano da tempo senza essere risolti, e che fanno di chi è costretto a lasciare il proprio paese un rifugiato permanente. Così diventa sempre più difficile tornare indietro, e si riducono anche le opportunità per guardare avanti. In Europa in molti oggi si chiedono se le persone ucraine fuggite dall'invasione del 2022 non siano destinate a una sorte simile".

[Questo articolo di Alessia De Luca è stato pubblicato sul sito dell'ISPI, al quale rimandiamo; Photo Credits: ISPI]