Usa 2024: Trump quasi immune

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La sentenza della Corte Suprema sull’immunità parziale del Presidente degli Stati Uniti è una vittoria per Trump e una minaccia per la democrazia statunitense. Questo il focus di Alessia De Luca per l'ISPI.

Con un voto a maggioranza di 6 contro 3, i giudici della Corte Suprema hanno stabilito che i presidenti degli Stati Uniti godono di una parziale immunità tale da schermarli da possibili indagini per gli atti ufficiali compiuti durante il mandato. La sentenza – che ha spaccato i giudici di orientamento conservatore e quelli progressisti – di fatto respinge la decisione di una Corte d’appello federale che aveva stabilito che l’ex presidente Donald Trump potesse essere giudicato per i presunti crimini commessi durante la sua presidenza allo scopo di manipolare i risultati delle elezioni del 2020. Alla luce del pronunciamento, il caso dovrà quindi ritornare ai tribunali di grado inferiore che dovranno riesaminarlo per valutare se le azioni compiute da Trump fossero ‘ufficiali’, e quindi coperte da immunità, o ‘private’ e come tali perseguibili. Nelle more, la sentenza porta già il suo carico di conseguenze, eliminando ogni possibilità che il candidato repubblicano alla Casa Bianca affronti un altro processo penale prima delle elezioni di novembre. Con l’aggravante che, se venisse rieletto, Trump nominerebbe nuovi vertici al Dipartimento di Giustizia ottenendo, con ogni probabilità, di far archiviare il caso. Non stupisce perciò che dal suo club Mar-a-Lago in Florida, il tycoon abbia accolto il verdetto come un successo: “Grande vittoria per la nostra Costituzione e democrazia. Orgogliosi di essere americani!”.  Lo scorso ottobre, i suoi legali avevano presentato istanza per ricusare ogni accusa, sostenendo che l’ex presidente – in quanto tale – godeva dell’immunità assoluta.

Il presidente che volle farsi re?

Non si è fatta attendere neanche la reazione dell’attuale presidente, Joe Biden, che ha affermato che la decisione crea un precedente pericoloso perché sottrae i presidenti al controllo della legge, dando loro un potere illimitato. “Non ci sono re in America. Nessuno, nessuno è al di sopra della legge, nemmeno il presidente degli Stati Uniti” ha detto Biden, sottolineando che la sentenza modifica questo assunto in modo radicale. “Io so che rispetterò i limiti dei poteri presidenziali che ho avuto per tre anni e mezzo, ma qualsiasi presidente – incluso Donald Trump – sarà ora libero di ignorare la legge”, ha detto ancora il presidente, che ha fatto della protezione della democrazia un elemento chiave della sua campagna elettorale. A differenza della sera del dibattito, in cui era apparso confuso e fragile, Biden si è presentato davanti ai microfoni in forma e combattivo. Come ha notato qualcuno, però, il suo intervento è durato solo pochi minuti, e il presidente non ha accettato domande dai giornalisti. Mentre i democratici appaiono sempre più spaccati sulla possibilità di sostituire il loro candidato dopo la débacle di giovedì scorso, in un vertice a Camp David i familiari del presidente lo hanno esortato a continuare la corsa. E secondo Bloomberg, il comitato nazionale dei democratici sta valutando di anticipare la sua nomina ufficiale a metà luglio.

Come Nixon, più di Nixon?

La Corte Suprema – la cui maggioranza conservatrice è stata cementata dalle nomine di Trump quando era alla Casa Bianca – potrebbe ora avergli restituito il favore con una sentenza che come ha fatto notare un ex funzionario della Casa Bianca “avrebbe consentito a Richard Nixon di sopravvivere al Watergate”. Nel pronunciamento, il giudice capo John Roberts ha spiegato che l’immunità è necessaria per proteggere un “esecutivo indipendente” dalla capacità di prendere “decisioni impopolari quando necessario” e stabilito preventivamente che le interazioni di Trump con i funzionari del dipartimento di giustizia e con il vicepresidente Mike Pence sono da considerarsi ‘atti ufficiali’ e come tali coperti da immunità. “L’onere di provare il contrario spetta ai procuratori” ha scritto Roberts. In aperto dissenso, la giudice Ketanji Brown Jackson ha definito il verdetto “il tentativo di creare un nuovo paradigma”, un mondo in cui il presidente “sarà esente da responsabilità legali per omicidio, furto, frode o qualsiasi altro reato: tutto dipenderà dal fatto che abbia commesso l’atto nella sua veste ufficiale o privata. Una domanda la cui risposta sarà sempre e inevitabilmente: dipende”. Altrettanto critica la giudice Sonia Sotomayor per cui le conseguenze di questo pronunciamento vanno molto oltre “il destino del singolo caso” di Trump. “La Corte crea di fatto intorno al presidente un’area in cui la legge è assente, ribaltando lo status quo in vigore sin dai tempi dei padri fondatori. Questa nuova immunità per gli atti ufficiali ora è come un’arma carica in mano a qualunque presidente desideri mettere i propri interessi, la propria sopravvivenza politica, o il proprio tornaconto economico al di sopra degli interessi della nazione” ha scritto Sotomayor, aggiungendo: “Timorosa per la nostra democrazia, dissento”.

Una settimana da ricordare?

Il pronunciamento dei giudici sull’immunità presidenziale segna una nuova svolta inattesa in una campagna finora priva di grandi colpi di scena. Sei mesi fa, la lunga serie di procedimenti penali a suo carico aveva convinto molti osservatori che l’ex presidente avrebbe passato la campagna elettorale a vedere il suo consenso erodersi mentre affannava tra gli impegni elettorali, passando da un’aula di tribunale ad un comizio. Ora il calendario dei suoi appuntamenti in pubblico appare denso di incontri fino a novembre e i sondaggi lo danno in vantaggio su Biden in alcuni degli stati ‘swing’, che decideranno l’esito del voto. In altre parole, la serie di ostacoli che sembravano intralciare la sua corsa fino a qualche mese fa, sembrano essersi improvvisamente dissolti e il campo democratico si interroga su come sia stato possibile trovarsi nella situazione in cui si trova a 18 settimane dal voto. Al colmo dell’esultanza, i legali di Trump sperano ora di rovesciare anche la recente condanna nel caso Stormy Daniels: sebbene quel processo riguardasse azioni precedenti l’incarico presidenziale, sostengono gli avvocati, il caso era costruito su prove risalenti al suo periodo alla Casa Bianca, e come tali – alla luce della sentenza – inammissibili. “Giovedì, venerdì e lunedì messi insieme sono stati i tre giorni migliori dell’intera campagna di Trump” ha detto il funzionario del partito repubblicano Ford O’Connell. “Giovedì sera è stato un terremoto politico. E quello che è successo da allora ha dato a Trump ancora più slancio”.

Il commento di Mario Del Pero, ISPI e Sciences Po

“È una chiara vittoria per Donald Trump, questa decisione della Corte Suprema che garantisce al Presidente forme ampie, ancorché vaghe e opache, d’immunità nell’esercizio delle sue funzioni. Ed è un’ulteriore estensione di privilegi e prerogative della Presidenza, che in mani irresponsabili potrebbero generare preoccupanti abusi di potere. Le ambiguità rimangono molte, che definire con nettezza atti ufficiali e non-ufficiali del Presidente è praticamente impossibile, e le corti saranno chiamate spesso a intervenire. Trump vince, ché ottiene parzialmente quel che voleva e vede i due processi federali nei quali è incriminato indeboliti e ulteriormente posticipati. Deve stare attento a non volere stravincere: a non invocare una immunità totale che non gli è stata concessa ed è invisa a una larga maggioranza di elettori, anche repubblicani”.

[Questo articolo di Alessia De Luca è stato pubblicato sul sito dell'ISPI, al quale rimandiamo; Photo Credits: WDSU]