India: scontri interetnici, non religiosi, in Manipur. Appello e preghiera per la pacificazione
Profondo dolore e preoccupazione per i disordini e le violenze avvenute nello stato di Manipur, nel Nordest dell'India, accanto a un accorato appello al rispetto della vita umana e della giustizia: è quanto esprime lo "United Christian Forum of North East India" (Ucf), organismo ecumenico, di fronte alle violenze interetniche che hanno sconvolto nei giorni scorsi lo stato, placate solo dopo l'intervento delle forze dell'ordine e l'imposizione del coprifuoco. Il primo bilancio di alcuni giorni di violenze su larga scala registra incendi dolosi, demolizione di proprietà e perdite di vite umane (circa 58 morti), profanazione di luoghi religiosi (anche chiese cattoliche e conventi devastati) oltre 7.500 persone costrette a lasciare le proprie case. Gli scontri vedono opporsi l’etnia maggioritaria dei meitei, in prevalenza di religione indù, e le comunità tribali (di vari gruppi), in larga maggioranza cristiane.
A monte - sottolinea l'agenzia vaticana Fides - vi era la richiesta della comunità dei meitei di ottenere lo “status di popolazione tribale" (tribal status), che permetterebbe loro non solo di godere degli aiuti assegnati alle comunità svantaggiate, ma anche di spostarsi nei territori riservati ai tribali, che così ne sarebbero, però, fortemente danneggiati. Costoro hanno allora organizzato il 3 maggio scorso una “marcia di solidarietà tribale” che li ha portati a confrontarsi con la maggioranza meitei: di qui lo scoppio di violenza generalizzata.
"Esortiamo tutte le parti coinvolte a esercitare moderazione e lavorare per una risoluzione pacifica della situazione", ha scritto lo Ucf, ribadendo che "i cristiani credono nel valore della vita umana e nell'importanza del rispetto della dignità di ogni individuo". “Chiediamo a tutti i membri della società di astenersi dal compiere atti violenti e di impegnarsi invece in un dialogo pacifico per affrontare le loro preoccupazioni”, si afferma, esprimendo condoglianze alle famiglie di coloro che sono morti nei disordini e invitando le autorità preposte ad adottare misure appropriate per consegnare gli autori alla giustizia. “Invitiamo inoltre il governo – scrive l’organismo - ad affrontare i problemi di fondo che hanno contribuito a questa situazione e ad adoperarsi per una soluzione duratura".
I "problemi di fondo" li ha spiegati il gesuita Walter Fernandes, già direttore dell’Indian Social Institute di Delhi, che ha vissuto per decenni nel nord-est dell'India: “Il conflitto - ha scritto - è tra popolazioni tribali e popoli non tribali, ma alcune forze politiche stanno cercando di trasformarlo in un conflitto religioso. È vero che i tribali nel Manipur sono in larga parte cristiani e la maggior parte dei meitei, che rappresentano il 53% della popolazione, è indù. I meitei vivono sul 10% della terra e vogliono essere dichiarati 'tribù riconosciuta' (scheduled tribe) per accedere alla terra che è protetta come 'terra dei tribali'. L'Alta Corte ha emesso una sentenza a loro favore. Si cerca di distogliere l'attenzione da questo problema, assegnando alla vicenda un colore religioso”.
Aggiunge lo "United Christian Forum of North East India": "In tali situazioni è essenziale promuovere la pace, l'armonia e la comprensione tra tutte le comunità per prevenire ulteriori spargimenti di sangue e sofferenze", annunciando una campagna di preghiera e un impegno diretto per la pacificazione. La preghiera è “un mezzo potente per affidarsi all'intervento e alla guida di Dio e unire le persone", si afferma. Per disinnescare la logica del conflitto interreligioso, il forum ha invitato persone i diverse fedi, cristiane e indù, a riunirsi per invocare le benedizioni di Dio e per il bene comune, fatto di pace, giustizia, rispetto e la reciproca solidarietà.
In un intervento pubblicato da AsiaNews, mons. Thomas Menamparampil, arcivescovo emerito di Guwahati e voce di spicco delle comunità cattoliche del nord-est dell’India, nega anch'egli l'origine religiosa degli scontri, inquadrandoli però nel clima esacerbato dall'ideologia del nazionalismo indù. "Quello che era iniziato come uno scontro interetnico ha assunto in fretta una connotazione religiosa nell'atmosfera polarizzata che l’ideologia maggioritaria dell’Hindutva ha creato a livello nazionale. Diverse chiese Kuki sono state distrutte o danneggiate e il personale religioso è stato molestato".
"Negli Stati di confine come il Manipur è necessaria una collaborazione intercomunitaria piuttosto che conflitti e rivalità - aggiunge il presule -. Si dovrebbero adottare misure di rafforzamento della fiducia. Nessuna comunità deve sentirsi ingannata o scavalcata. I privilegi esistenti non devono essere tolti alle comunità più deboli. Allo stesso tempo, ci dovrebbe essere uno sforzo comune verso una collaborazione generale, in modo che anche la comunità di maggioranza continui a prosperare come in passato. Il dialogo per trovare soluzioni immediate e una pianificazione creativa dell'economia per un benessere condiviso sono l'unica strada che possiamo auspicare".