In Francia la destra non sfonda

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Alle elezioni parlamentari francesi la coalizione di sinistra del Nouveau Front Populaire arriva in testa contro ogni aspettativa. Ensemble di Macron al secondo posto, superando il Rassemblement National di Le Pen e Bardella. Ma dal voto emerge un’Assemblea Nazionale spaccata. Questo lo Speciale di Matteo Villa e Antonio Villafranca per l'ISPI.

Gli elettori francesi hanno votato, e hanno riconsegnato un’Assemblea nazionale spaccata e senza una chiara maggioranza. Secondo i risultati preliminari una cosa è certa: il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen e Jordan Bardella non solo non raggiunge la maggioranza assoluta, ma al momento sarebbe la terza formazione, mentre le sinistre unite nel Nuovo Fronte Popolare (NFP) otterrebbero una maggioranza (ma solo relativa) dei seggi. Per la Francia si apre così un periodo di incertezza che non ha eguali nella storia della Quinta Repubblica, e che ricorda più il caos della Quarta (1946-1958), quando 24 governi si succedettero in soli 13 anni.

Ciò che è certo è che il presidente Macron non potrà sciogliere le camere nei prossimi dodici mesi, e che dovrà dunque andare alla ricerca di una soluzione all'interno di questa Assemblea nazionale. Altrettanto certo è che per trovare una maggioranza che escluda il Rassemblement National sarà necessario imboccare una strada molto stretta e in salita. Non solo perché per essere larga questa maggioranza dovrà tenere dentro tutti gli altri partiti, o quasi. Ma anche perché il NFP ha incentrato la sua campagna sui fallimenti del macronismo almeno tanto quanto sulla minaccia rappresentata dall’ascesa dell’estrema destra.

Cosa succede adesso?

Comunque vada, è probabile che queste elezioni abbiano decretato la fine del “macronismo”. Nel 2017, Macron era stato eletto dopo aver promesso di arginare le ali estreme (sia l’estrema destra dell’allora Fronte nazionale, sia le “sirene” della sinistra comunista e statalista) con una nuova ricetta liberale e di centro. Il presidente aveva lanciato un centro “razionale”, che ambiva ad andare al di là dei colori politici e che in effetti aveva catturato i consensi dell’elettorato moderato sia socialista, sia neogollista.

Adesso, invece, proprio Macron dovrà cercare una maggioranza coinvolgendo sia i neogollisti Repubblicani, sia il NFP, al cui interno si trovano non solo i socialisti ma anche e soprattutto la sinistra populista di Mélenchon. Per raggiungere numeri sufficienti a governare, al presidente servirà una coalizione che dovrà necessariamente essere grande e multiforme – ma che non avrà niente a che vedere con la maggioranza del primo mandato, quando il partito fondato da Macron, La République en Marche, aveva ottenuto da solo il 53% dei seggi, cui si sommava il 7% degli alleati MoDem.

Non solo: sarà necessario capire chi sarà disposto a fare il primo ministro, mettendosi alla testa di una coalizione così eterogenea e composita. Una coalizione pronta a recriminare davanti a quegli stessi compromessi che saranno necessari per tenerla insieme, e costantemente attaccata da destra da un RN più forte all’opposizione. Il fatto che il presidente non possa sciogliere le camere prima di dodici mesi non significa infatti che non si possa tornare alle urne già tra un anno: in tal caso, oltre alla inevitabile frammentazione della maggioranza di governo, il premier designato sarebbe consapevole di avere un mandato “a tempo”. Non certo le condizioni migliori perché possa emergere una figura forte, che peraltro governerebbe all’ombra di un presidente non noto per la sua collegialità e disponibilità al confronto.

Cosa cambia per le politiche francesi?

In una situazione di questo tipo, gli interrogativi non possono che riguardare anche la questione della spesa pubblica. Mélenchon ha dichiarato che, se i macroniani vogliono avere una chance di governare assieme a loro, il programma elettorale del NFP “andrà attuato tutto”.

E qui è inevitabile constatare quanto le promesse elettorali del NFP fatichino a conciliarsi con i già dissestati conti pubblici francesi. Ad aprile, l’IMF stimava che quest’anno il deficit pubblico francese si sarebbe assestato intorno al 5% del PIL. In leggera riduzione rispetto al 5,5% dell’anno scorso, ma ancora lontano dalla soglia del 3% richiesta da Bruxelles, che proprio quest’anno ha riattivato le regole (rinnovate) del Patto di stabilità e crescita e che ha già annunciato l’intenzione di aprire la procedura d’infrazione nei confronti della Francia a metà luglio. Inoltre, anche se le regole fiscali europee fossero ancora sospese, le traiettorie di deficit e debito sarebbero insostenibili: in vent’anni, il debito francese è cresciuto dal 66% al 112% del PIL.

Qui, le misure proposte dal NFP rischierebbero di aggravare ulteriormente il problema. Per esempio, la promessa di mettere un tetto al prezzo dei beni “essenziali”, come l’energia o alcuni beni alimentari, costerebbe 24 miliardi di euro l’anno. Ulteriormente costosa sarebbe la marcia indietro sulla riforma delle pensioni dell’anno scorso, riportando l’età pensionabile da 64 a 62 anni (in Italia siamo a 67).

In tutto, il costo delle proposte potrebbe superare i 100 miliardi di euro nel 2025, ovvero oltre il 3% del PIL in più. Per finanziarlo almeno in parte, il NFP propone una raffica di nuove tasse (sui patrimoni, sugli asset finanziari, sulle imprese e sui redditi più alti).

Così il rischio per un nuovo governo sarebbe duplice. Se cedesse alle richieste di maggior spesa, potrebbe essere trascinato in un “momento Truss” dai mercati – dal nome della premier britannica Liz Truss e dal suo “mini budget” che ne causò la caduta dopo soli 44 giorni di governo. Se, invece, il primo ministro designato si dimostrasse più intransigente, rischierebbe di alienarsi rapidamente la parte più oltranzista del NFP ed esporre a un rapido esaurimento questa esperienza politica di “grande coalizione”.

Comunque vada, insomma, in Francia proseguirà l’instabilità cominciata due anni fa, dopo elezioni che avevano privato Macron della sua ampia maggioranza. Ma con sfide e rischi moltiplicati rispetto a un mese fa.

[Questo articolo di Matteo Villa e Antonio Villafranca è stato pubblicato sul sito dell'ISPI, al quale rimandiamo; Photo Credits: ISPI]