Israele: la tenuta della coalizione messa a dura prova

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A differenza di Netanyahu, che non ha ancora ricevuto un invito alla Casa Bianca, Benny Gantz, che fino a prima del 7 ottobre era all’opposizione, è stato ricevuto a Washington, dove ha incontrato la vicepresidente Kamala Harris, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il segretario di Stato Antony Blinken e alcuni senatori. Netanyahu è furioso con Gantz: non solo per l’evidente smacco subito ma anche, come ha scritto Rina Bassist (al-Monitor), per essersi recato negli Stati Uniti senza avergli preventivamente chiesto il permesso. La frattura è confermata dalle dichiarazioni di John Kirby (portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale americana), il quale ha sottolineato che è stato Gantz a chiedere di essere ricevuto dagli americani. Era chiaro fin dal principio che la visita sarebbe stata interpretata come un colpo basso nei confronti di Netanyahu, ma evidentemente sia Gantz che le autorità di Washington hanno valutato che era il caso di procedere e lasciare, dunque, che tutta la disapprovazione dell’amministrazione americana nei confronti di Netanyahu emergesse pubblicamente. «Poche cose fanno piacere a Washington, in questi tempi complessi, come vedere Netanyahu e i suoi fare una scenata per il favoritismo mostrato nei confronti di Gantz», ha scritto Ben Caspit.

Se da un certo punto di vista era già chiaro quanto fosse fragile la coalizione di governo in Israele, dall’altro è certo che la visita di Gantz ha esasperato le tensioni. Il Financial Times si è soffermato su due aspetti in particolare. Primo: l’ambasciata israeliana a Washington ha ricevuto indicazioni di «boicottare gli incontri di Gantz». Una decisione che «mina lo status della più importante ambasciata israeliana e danneggia intenzionalmente la sua capacità di funzionare correttamente in un momento di sfide senza precedenti», ha scritto l’ex ambasciatrice Tova Herzl sul Times of Israel. Secondo: gli alleati di Netanyahu hanno accusato l’ex ministro della Difesa di agire come un cavallo di troia, e quindi di non fare gli interessi di Israele. Secondo il ministro dei Trasporti Miri Regev, membro del Likud e una delle collaboratrici più vicine a Netanyahu, la visita di Gantz è un «atto di sovversione».

In soccorso dell’ex ministro della Difesa è arrivato un editoriale del Jerusalem Post. Da un lato critica fortemente Harris per aver dato l’impressione che Israele è il solo responsabile della catastrofe a Gaza (al contrario del Times of Israel, che parla di un approccio bilanciato di Harris), ma dall’altro sostiene che l’attuale vicepresidente avrà un peso sempre maggiore nell’amministrazione americana e nel partito democratico. Gantz ha quindi fatto bene a incontrarla e a rinsaldare il rapporto con lei.

Secondo la ricostruzione del Wall Street Journal, sulla quale comunque concordano sostanzialmente tutti i media internazionali, la visita di Gantz «riflette le crescenti tensioni» tra i membri del Gabinetto di guerra di Israele, «che si contendono il potere politico». Intanto cresce il grado di apprezzamento di Gantz all’interno del Paese: secondo diversi sondaggi, come quelli citati dall’Associated Press, se si tenessero oggi le elezioni, Gantz otterrebbe un numero sufficiente di voti per diventare primo ministro. Al contrario, le percentuali di Netanyahu continuano a scendere, con buona parte della popolazione che lo ritiene responsabile di quanto avvenuto il 7 ottobre scorso. I problemi per Netanyahu non arrivano però soltanto dalla popolarità di Gantz e dalle sue imprese estere. Un capitolo a parte, forse decisivo, riguarda i rapporti con le forze religiose dell’estrema destra, che potrebbero provocare la caduta di Netanyahu. L’architetto dell’operazione potrebbe essere un altro membro del gabinetto di guerra: il ministro della Difesa Yoav Gallant. L’argomento di discussione è l’esenzione dalla coscrizione militare per gli ebrei ultraortodossi, che secondo un reportage del New York Times, che ne racconta il modo di vivere e la relazione con i laici israeliani, compongono ormai circa il 13% della popolazione (da 40.000 nel 1948, a più di un milione oggi). La crescita demografica di questo gruppo all’interno dello Stato ebraico ha fatto sì che i privilegi di cui gode, negoziati alle origini dello Stato di Israele, siano diventati secondo molti israeliani non solo ingiusti ma anche insostenibili.

Attualmente i giovani studenti delle scuole rabbiniche sono esentati dal servizio militare, ma la Corte Suprema ha stabilito che entro fine mese una legge dovrà regolarizzare la situazione, in un senso o nell’altro. Tuttavia, ha scritto Anshel Pfeffer su Haaretz, al momento della formazione del governo nel 2022 Netanyahu promise ai partiti ultraortodossi che avrebbe promosso una legge per fissare una volta per tutte l’esenzione dal servizio militare per gli studenti delle yeshiva. Ora Gallant ha dichiarato che presenterà una legge di questo tipo solo nel caso in cui tutta la coalizione si dichiarerà favorevole. Il problema è che, a differenza di oggi, quando Netanyahu fece la promessa ai partiti della destra religiosa, il partito di Benny Gantz non faceva parte della coalizione. Dunque, se Gallant manterrà la sua parola, la legge avrà bisogno anche dell’approvazione di Gantz, ciò che secondo Pfeffer è «molto improbabile» avvenga. Se la legge non passerà entro la scadenza imposta dalla Corte suprema, il governo sarà costretto a interrompere i finanziamenti nei confronti di quelle yeshiva i cui studenti rifiutano di servire nell’esercito. Se ciò avvenisse, sarebbe molto difficile che i partiti religiosi che compongono la maggioranza di governo restino al loro posto.

(Questo articolo, di Claudio Fontana, è stato pubblicato sul sito della Fondazione Oasis, al quale rimandiamo; Photo Credits: The Washington Institute)