Mons. Shomali, "niente pace in Medio Oriente senza uno Stato palestinese indipendente"

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Al termine dell'operazione militare israeliana in Cisgiordania,  definita “di antiterrorismo”, il vicario patriarcale per la Giordania, monsignor William Shomali, commenta ai microfoni di Vatican News ciò che è accaduto e afferma che solo una soluzione politica può porre fine al conflitto che da 75 anni insanguina il Medio Oriente.

Monsignor Shomali, l’operazione israeliana su Jenin con diverse vittime palestinesi, dopo l’uccisione di 4 israeliani in Cisgiordania, l’attacco ieri a Tel Aviv, dove un auto si è lanciata contro i pedoni, secondo Hamas in risposta ai raid israeliani, ora i razzi da Gaza e la reazione israeliana: una catena di violenze che si è innescata ancora una volta e che non si sa dove può portare…

Esattamente. Noi siamo in un circolo vizioso, una catena che ha un inizio, ma non un termine e che non finirà se non con un trattato di pace, dove saranno previsti due Stati, uno israeliano e uno palestinese. È la risoluzione delle Nazioni Unite, la soluzione accettata dalla maggioranza degli Stati, anche dagli Stati Uniti. Soltanto Israele non l'accetta, perché considera la Cisgiordania come parte di Israele perché un tempo era la Giudea e la Samaria e là non può nascere uno Stato libero. Il problema, dunque, non è solo la violenza di oggi, di ieri, di ieri l'altro, il problema è ideologico.  È un problema di principio: se i palestinesi hanno diritto ad avere il loro Stato o no. Senza una soluzione politica ho paura che la situazione vada di peggio in peggio.

Questo però sembra un ostacolo veramente insormontabile. Oppure c'è stato qualche momento in cui sembrava che fosse possibile un dialogo in questo senso con Israele?

Hanno dialogato per anni. Noi tutti ci ricordiamo tutte le sessioni di negoziato che hanno avuto luogo nel passato a partire da Oslo 1 e Oslo 2, e poi a Madrid, River Plantation, Sharm el Sheik, le visite dei segretari di Stato americani qui, gli incontri fra Arafat e Peres. Anche con Rabin. Hanno avuto riunioni dopo riunioni. Ma il fatto è che il problema è di natura ideologica, non solo politica, non solo militare, non solo di antipatia fra due popoli, è un problema ideologico, perché Israele, ripeto, considera la Cisgiordania come parte di Israele e accetta al massimo di dare una autonomia ai palestinesi, anche un miglioramento della loro situazione economica se vogliono, ma mai il fatto che abbiano uno Stato con l'esercito, con moneta, aeroporto, con tutti i costituenti di uno Stato libero come gli altri Stati. È qui il problema, Israele chiama la Cisgiordania non territorio occupato, territori occupati, ma territori disputati e si sa la differenza fra i due termini.

Ma un compromesso nel senso dell'autonomia del suo popolo è del tutto inaccettabile da parte dell'Autorità nazionale palestinese?

Ma quale compromesso? Prima i palestinesi volevano tutta la Palestina storica perché fino al 1920 solo il 5% dei territori erano comprati dagli ebrei, ma a poco a poco loro hanno preso villaggi, città, proprietà ecc... e  adesso hanno il 78% del territorio. I palestinesi accettano quello che si chiama in inglese swapping, cioè lo scambio di territori: dove Israele ha bisogno di allargarsi i palestinesi sono disponibili a dare i territori e ricevere da Israele in cambio una parte del deserto del Negev o altrove. Ma finché rimane il 22% ai palestinesi e il 78% agli israeliani, i palestinesi possono accettare solo il compromesso di uno scambio di territori, possono anche accettare un compromesso su altri problemi, per esempio sul ritorno dei profughi, sulle diverse soluzioni per Gerusalemme, ma non sullo Stato palestinese libero. E qui c'è il problema e non si può far tacere un popolo. Io sono triste per gli ebrei che muoiono, sono palestinese ma non sono contento che degli ebrei vengano uccisi in qualsiasi modo. Ma se vogliamo essere seri e risolvere il problema in modo definitivo occorre una soluzione comprensiva, completa e non un compromesso non accettabile che lascia che la violenza continui.

Il suo è un appello alla comunità internazionale, alle Nazioni Unite...

L'Onu ha dato già delle risoluzioni che chiedono a Israele di ritirarsi dai territori occupati. Israele si è ritirato da due settori, A e B, ma rimane la zona C, che è la metà dei territori occupati, dove sono gli insediamenti israeliani che sono 200 con 700 mila coloni. E anche questo rende la soluzione dei due Stati non fattibile al 100% , perché avendo 200 insediamenti che sono fra città e villaggi - si chiamano appunto insediamenti -, loro impediscono la realizzazione di questa soluzione internazionale. La nazione più forte che può aiutare il raggiungimento della pace sono gli Stati Uniti. L'appello che faccio è agli Stati Uniti, perchè prendano più seriamente questa faccenda di una soluzione conclusiva.

Lei, monsignor Shomali, e gli altri uomini della Chiesa di fronte a un popolo così senza speranza, almeno al momento, che cosa dite? Che parole trovate per infondere alle persone fiducia, nonostante tutto?

Noi non vogliamo dare false speranze alla gente, ma quello che possiamo dire è che la preghiera può aiutare. Io ci credo. Non faccio prediche. Dopo due guerre mondiali l'Europa è diventata Unione europea, dopo che decine di milioni di europei sono stati uccisi . Dunque perchè questo miracolo europeo non può accadere anche qui? Anche qui la pace è sempre possibile, ma solo il Signore può aiutarci veramente a desiderarla e a implementarla. Ma per il momento non vediamo i segni che annuncino questa pace, ma ci crediamo. Questa è la prima cosa, la seconda è che possiamo almeno alleggerire le sofferenze di quelli che soffrono adesso, per esempio a Jenin a migliaia le persone sono fuggite dal campo profughi della città, ora sono fuori, senza casa, senza cibo. In questo si può aiutare la gente, umanamente, ma più di questo non possiamo fare, eccetto un appello alle superpotenze.

(Fonte: Vatican News - Adriana Masotti; Foto: Patriarcato Latino di Gerusalemme)